Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14927 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/06/2017, (ud. 04/05/2017, dep.15/06/2017),  n. 14927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso ricorso 12795-2016 proposto da:

Z.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato MARCO MACHETTA

rappresentato e difeso dall’avvocato CARMINE FARACE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, CF. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4875/29/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, depositata il 12/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/05/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON;

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 14 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto da Z.C. avverso la sentenza n. 1702/43/14 della Commissione tributaria provinciale di Milano che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRPEF ed altro 2008. La CFR osservava in particolare che la pretesa fiscale trovava fondamento nella correttezza della metodologia accertativa “sintetica” utilizzata, mentre il contribuente non aveva assolto al proprio onere contro probatorio. Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione lo Z. deducendo quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 36, poichè la CTR ha affermato la carenza di specificità dei motivi del suo gravame avverso la sentenza della CTP.

La censura è inammissibile.

Va infatti osservato che pur essendo vero che la sentenza impugnata contiene l’affermazione censurata, tuttavia non ne ha tratto la coerente conseguenza della dichiarazione di inammissibilità dell’appello, che invece ha esaminato e deciso nel merito.

Bisogna dunque ribadire che “In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta”, poichè esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione” (Sez. L, Sentenza n. 22380 del 22/10/2014, Rv. 633495 – 01).

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, poichè la CTR non ha motivato, se non apparentemente, la propria decisione nel merito della controversia, argomentando sulle questioni devolutele nel secondo grado del giudizio.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 01).

La sentenza impugnata corrisponde paradigmaticamente alla configurazione del vizio motivazionale di legittimità quale prospettata nel citato principio di diritto.

La CTR infatti ha così argomentato: “L’accertamento dell’Ufficio è sorretto da concreti elementi di fatto che portano a ritenere non solo l’assoluta incongruenza della dichiarazione ad curo zero, ma anche la congruenza con il reddito sintetico individuato dall’Ufficio sulla base dei parametri che denotano una capacità contributiva adeguata. L’appellante si è limitano a fornire giustificazioni prive di documentazione avente idonea valenza probatoria senza peraltro alcuna contestazione sostanziale degli elementi utilizzati dall’Ufficio per pervenire al reddito complessivo netto”.

A ciò non si è aggiunto null’altro.

Risulta perciò evidente il dedotto vizio motivazionale, trattandosi di una “pseudo motivazione”, priva di alcuno specifico riferimento ai fatti di causa ed alle correlative questioni di merito prospettate e discusse dalle parti; insomma di una motivazione che nella sua totale autoreferenzialità ed apoditticità si pone ben al di sotto del “minimo costituzionale” (SU 8053/2014).

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al secondo motivo, essendo inammissibile il primo e risultando assorbiti il terzo ed il quarto, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo motivo ed assorbiti il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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