Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14926 del 06/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2011, (ud. 08/03/2011, dep. 06/07/2011), n.14926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30869/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

Z.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 146/2005 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 20/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERROSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.C. propose ricorso avverso un avviso di accertamento per Irpef 1992, notificatogli dall’ufficio imposte dirette di Grosseto sul presupposto della di lui partecipazione, con quota del 35 %, alla Zuccheri s.n.c., la quale aveva aderito al ed. concordato di massa di cui al D.L. 30 settembre 1994, n. 564, conv. con mod. in L. n. 656 dello stesso anno.

La commissione tributaria provinciale di Grosseto accolse l’impugnazione.

Questa decisione fu confermata dalla commissione tributaria regionale della Toscana con sentenza in data 20.9.2005, sulla considerazione che, all’atto dell’adesione della s.n.c. al concordato di massa, nessuna norma prevedeva che la sua definizione, ai fini dell’Ilor, facesse stato – come poi stabilito dal D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 9 bis, comma 18, – quanto all’imponibile irpef dei singoli soci, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate propongono ora ricorso per cassazione affidato a un motivo.

L’intimato non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con unico motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del T.U.I.R., D.L. n. 564 del 1994, art. 3, D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, D.P.R. n. 699 del 1973, artt. 41 bis e 43, “nonchè dei principi generali in materia di condono e di redditi da partecipazione in società di persone”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

L’impugnata sentenza viene censurata per contrasto col principio giurisprudenziale, già da questa Corte fissato, secondo cui l’intervenuta definizione del reddito da parte della società di persone costituisce titolo per l’accertamento nei confronti delle persone fisiche che non hanno a loro volta definito i redditi prodotti in forma associata, ancorchè in relazione a periodi d’imposta anteriori all’entrata in vigore del D.L. n. 79 del 1997.

2. – Preliminarmente: va osservato che il ricorso è inammissibile nella misura in cui è proposto dal Ministero dell’economia e finanze, che non fu parte degli anteriori gradi di merito e che è soggetto distinto dall’agenzia fiscale, ente a sua volta dotato di autonomia soggettiva di diritto pubblico ex D.Lgs. n. 300 del 1999.

Risulta dalla sentenza esservi stata, negli anteriori gradi di merito, assunzione in via esclusiva, da parte dell’agenzia delle entrate, della gestione del contenzioso, con conseguente spettanza a essa soltanto dell’esercizio dei correlati poteri processuali in ordine all’impugnazione in sede di legittimità (per tutte, sez. un. n. 3116/2006).

3. – Ancora preliminarmente devesi dar seguito all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, “in tema di imposte sui redditi, una volta divenuto incontestabile il reddito della società di persone a seguito della definizione agevolata di cui al D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 9 bis, convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 1997, n. 140, nel giudizio di impugnazione promosso dal socio avverso l’avviso di rettifica del reddito da partecipazione non è configurabile un litisconsorzio necessario con la società e gli altri soci” (Cass. n. 2827/2010).

L’affermazione registra il dissenso di Cass. n. 3576/2010. Ma, a giudizio del collegio, non appare superabile in considerazione del rilievo che l’esigenza di unitarietà dell’accertamento – che giustappunto identifica la ratio del litisconsorzio necessario anche nella peculiare ottica rilevante in materia (sez. un. 14815/2008), ove la inscindibilità è determinata dall’oggetto del ricorso nello specifico nesso tra atto impositivo e contestazione del contribuente (e v. infatti sez. un. 1052/2007) – viene meno con l’intervenuta definizione da parte della società, costituente titolo per l’accertamento nei confronti delle persone fisiche, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis.

Sicchè, non controvertendosi della qualità di socio, ovvero della quota partecipativa a ciascuno spettante, ma, unicamente, degli effetti della definizione agevolata da parte della società su ciascun dei soci, ognuno di questi può opporre, a una definizione che costituisce titolo per l’accertamento nei suoi confronti, soltanto ragioni di impugnativa specifiche e quindi di carattere personale.

4. – il ricorso dell’agenzia delle entrate è fondato stante che il principio sancito dal D.L. 28 marzo 1997 n. 79, art. 9 bis, comma 18, conv. in L. 28 maggio 1997 n. 140, secondo cui l’intervenuta definizione del reddito da parte delle società di persone costituisce titolo per l’accertamento, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata, è applicabile anche in relazione ai periodi d’imposta anteriori all’entrata in vigore della L. n. 140 del 1997. Questa Corte si è già espressa in tal senso (v. Cass. n. 14418/2005) e al relativo principio di diritto va data continuità. Invero il reddito di partecipazione agli utili del socio di società di persone costituisce, ai fini dell’Irpef, reddito proprio del contribuente (art. 5 T.U.I.R.), al quale è imputato sulla base di una presunzione di effettiva percezione.

Pertanto, ove il socio non abbia dichiarato, per la parte di sua spettanza, il reddito societario nella misura risultante dalla rettifica operata dall’amministrazione finanziaria a carico della società i fini dell’Ilor, residua a suo carico l’obbligazione di pagamento del supplemento d’imposta (v. sez. un. n. 125/1993 e, dopo questa, per tutte Cass. 9461/2002).

Indipendentemente allora dal disposto del citato art. 9-bìs che, con efficacia per gli accertamenti successivi, stabilisce che l’intervenuta definizione dell’accertamento con adesione da parte di società di persone costituisce titolo per l’accertamento nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata, deve ritenersi che al socio è attribuita per la medesima annualità la quota parte dell’imponibile risultante dall’imposta versata dalla società per la definizione della lite fiscale, costituendo, l’imputazione detta, un riflesso della corretta applicazione del principio di trasparenza di cui all’art. 5 del T.U.I.R.. Di modo che, in definitiva, nel D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, conv. in L. n. 140 del 1997, altro non si trova che una ricezione del suddetto preesistente orientamento giurisprudenziale applicabile anche agli accertamenti anteriori.

5. – In ultimo devesi osservare che non rileva il richiamo operato dal giudice di appello all’art. 9 bis, comma 17, del D.L. cit., dal momento che trattasi di disposizione che, in tal caso, semplicemente fa salvi – a seguito della riapertura, disposta dall’anteriore comma 12, del termine (15 dicembre 1995) a suo tempo fissato per la definizione dell’accertamento con adesione (D.L. n. 564 del 1994, art. 3) – gli effetti delle definizioni già perfezionate a quella data. Avendo dunque come destinatari soltanto i soggetti che hanno provveduto alla definizione dell’accertamento con adesione id est, per quanto di interesse, la società), non può, codesta disposizione, rilevare nella fattispecie, posto che in questa si discorre della posizione del socio.

6. – La sentenza impugnata non si è uniformata ai principi in precedenza enunciati, sicchè va cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’originario ricorso avverso l’avviso di accertamento.

L’esiguo valore della controversia costituisce motivo di compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e finanze. Accoglie il ricorso dell’agenzia delle entrate; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso avverso l’avviso di accertamento. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 8 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2011

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