Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14922 del 06/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 06/07/2011), n.14922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – est. Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34235/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

AUTOSTRADE SPA (società incorporante NEWCO28 Spa) a sua volta con

nuova denominazione AUTOSTRADE-CONCESSIONI E COSTRUZIONI AUTOSTRADE

SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIALE G. MAZZINI 11 presso lo studio dell’avvocato SALVINI LIVIA, che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 84/2 006 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 30/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il resistente l’Avvocato SALVINI LIVIA, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.p.a. Autostrade chiese all’Agenzia delle entrate di Roma la restituzione della somma di Euro 642.185,23 che assumeva di aver indebitamente pagato in più a titolo di Irpeg per erronea applicazione del D.Lgs. n. 466 del 1997, art. 3, comma 2, in tema di dual income tax (DIT). Nel corso del perìodo di imposta 2000 essa aveva effettuato versamenti in denaro in favore della controllata s.p.a. SITECH per lire 160.243.066.805. Aveva quindi posto un quesito all’amministrazione finanziaria in ordine all’interpretazione della norma suddetta, con riferimento all’ipotesi di conferimenti effettuati nel corso dell’anno di esercizio. La società si era quindi adeguata, nell’effettuare il versamento, alla soluzione interpretativa indicata dall’amministrazione, ma, non condividendola, aveva poi presentato domanda di restituzione della differenza tra l’importo versato e quello che essa riteneva dovuto secondo il criterio di determinazione da essa proposto. Formatosi il silenzio rigetto, la società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale che lo respingeva. La Commissione tributaria regionale accoglieva invece le tesi prospettate dalla società dichiarando il diritto della s.p.a. Autostrade al rimborso richiesto. Contro la sentenza, pubblicata il 30 giugno 2006, ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate cui la s.p.a. Autostarade ha resistito con controricorso e successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il D.Lgs. del 18 dicembre 1997, n. 466, emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 3, comma 162, lett. a), b), c), d) ed f), della L. 23 dicembre 1996, n. 662, venne introdotto nel nostro sistema tributario il sistema c.d. di dual income tax e cioè un sistema in forza del quale il reddito di impresa veniva sottoposto ad una tassazione differenziata, al fine di applicare al reddito di impresa riconducibile agli incrementi di capitale netto che fossero stati attuati nel corso dell’esercizio un tasso di imposta inferiore a quello ordinario. Il sistema era diretto a favorire l’apporto di capitale proprio agli investimenti produttivi dell’impresa. Il sistema introdotto dal decreto legislativo suddetto prevedeva l’applicazione di una aliquota di imposta ridotta (pari al 19 per cento) rispetto a quella ordinaria (pari al 37 per cento) a quella parte di utili di impresa convenzionalmente corrispondente alla remunerazione ordinaria (fatta pari al 10 per cento) dell’incremento di capitale netto verificatosi negli esercizi posteriori al 1996. Il capitale investito successivamente al 1996 – formato in particolare (ma non esclusivamente) dai conferimenti successivi a tale data e che aveva dato luogo a variazioni in aumento del capitale rispetto al capitale investito al dicembre 1996 – costituiva la base il cui 10 per cento veniva considerato reddito di impresa derivante dagli incrementi di capitale post 1996 ed era a tale parte del reddito di impresa che si applicava l’aliquota di imposta ridotta dal 19 per cento, mentre alla restante parte del reddito di impresa si applicava l’aliquota ordinaria del 37 per cento.

In particolare l’art. 1 del decreto legislativo stabiliva in via principale che il reddito complessivo netto dichiarato dalle società e dagli altri enti era assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone giuridiche con l’aliquota del 19 per cento (in luogo dell’aliquota ordinaria del 37 per cento) per la parte corrispondente alla remunerazione ordinaria (fatta pari al 10 per cento in virtù di DM al quale faceva rinvio il comma 2 della variazione in aumento del capitale investito rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996. Se il periodo di imposta era superiore o inferiore ad un anno, la variazione in aumento andava ragguagliata alla durata del periodo stesso.

Secondo il medesimo art. 1, comma 4, ai fini dell’applicazione del comma 1, il capitale investito esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996 era costituito dal patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, senza tener conto dell’utile del medesimo esercizio. Rilevavano come variazioni in aumento i conferimenti in denaro nonchè gli utili accantonati a riserva ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili costituite a fronte di plusvalenze derivanti dalla valutazione effettuata a norma dell’art. 2426 c.c., comma 1, n. 4; come variazioni in diminuzione le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti. In ciascun esercizio la variazione in aumento non poteva comunque eccedere il patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, escluso l’utile del medesimo periodo.

Il comma 5 stabiliva infine che gli incrementi derivanti da conferimenti in denaro rilevavano a partire dalla data del versamento; quelli derivanti dall’accantonamento di utili a partire dall’inizio dell’esercizio in cui le relative riserve sono formate.

decrementi rilevavano a partire dall’inizio dell’esercizio in cui si erano verificati.

L’art. 3, comma 2, disponeva che la variazione in aumento di cui all’art. 1, comma 4, era ridotta di un importo pari ai conferimenti in denaro effettuati, successivamente alla chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996 a favore di soggetti controllati.

2. La questione sottoposta all’esame della Corte riguarda la decorrenza di tale riduzione e cioè se essa abbia effetto dalla data del corrispondente versamento alla conferitaria (ed è la tesi della contribuente, accolta dalla Commissione tributaria regionale) ovvero dall’inizio dell’esercizio in cui i conferimenti si sono verificati (ed è la tesi sostenuta dall’Agenzia delle entrate). Nella specie si trattava appunto di decrementi del capitale investito post 1996 della controllante s.p.a. Autostrade per conferimenti fatti nel corso del 2000 in favore della controllata.

In particolare, i giudici della Commissione tributaria regionale affermavano che i primi giudici avevano fondato la propria decisione esclusivamente sul richiamo alla Risoluzione ministeriale n. 20 del 23 gennaio 2002, sostenendo che la locuzione “importo pari ai conferimenti in danaro effettuati” contenuta nel secondo comma del citato art. 3 costituisce Indice della volontà del legislatore di “sterilizzare” i conferimenti in danaro per il loro intero ammontare e senza ragguaglio ad anno; si trattava peraltro di una impostazione erronea in quanto introduceva un criterio privo di riscontri nella disciplina legislativa complessiva, non potendo attribuirsi valore decisivo alla previsione dell’art. 1 comma 5, secondo il quale “i decrementi rilevano a partire dall’esercizio in cui si sono verificati”.

2. Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 466 del 1997, art. 1, commi 4 e 5, e art. 3, comma 2, la ricorrente rileva che l’art. 3, comma 2, D.Lgs. citato, nel momento in cui afferma la riduzione della base dit per la conferente “di un importo pari ai conferimenti in danaro effettuati” fornisce un argomento testuale insuperabile per affermare la volontà del legislatore di sterilizzare i conferimenti in danaro per il loro intero ammontare e senza ragguaglio ad anno e che tale interpretazione troverebbe riscontro nell’art. 1, commi 4 e 5, del medesimo decreto. La ricorrente aggiunge che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non sussisterebbe alcuna ragione sistematica per legare i criteri temporali e quantitativi di formazione della base dit della controllata con i criteri temporali e quantitativi di calcolo della riduzione antielusiva della base dit a carico della controllante che abbia effettuato un conferimento a favore della controllata.

3. La censura è fondata.

E’ sostanzialmente pacifico che la norma di cui all’art. 3, comma 2, è diretta al fine di evitare un artificioso effetto moltiplicatore a catena degli incrementi di capitale rilevanti ai fini della dit a seguito del conferimento, tra più soggetti, di un unico iniziale apporto di denaro (come nel caso di conferimenti a cascata su società controllate). Per evitare simili manovre abusive o fraudolente il decreto in esame prevede che a ciascun conferimento infragruppo debba corrispondere una riduzione di pari importo della “base dit” per la conferente.

Il problema posto dalla presente controversia può essere formulato in due modi del tutto equivalenti tra di loro. Secondo la prima formulazione il quesito è se nel caso di conferimenti attuati nel corso dell’esercizio il valore del conferimento da detrarre dalla base dit della conferente debba o meno essere ragguagliato ad anno, così come è espressamente previsto che avvenga per la determinazione del valore del conferimento da aggiungere alla base dit della conferitaria.

Il secondo modo di formulare il problema – del tutto equivalente al primo, come si è detto, ma forse più aderente al fatto che la dual income tax riguarda non una imposizione sui conferimenti ma l’imposizione sui redditi che ne derivano – è se nel caso di conferimenti effettuati nel corso dell’esercizio il reddito collegabile al capitale conferito debba comunque e senza soluzione di continuità giovarsi dell’aliquota ridotta salva la ripartizione ratione temporis del beneficio tra conferente e conferitaria, oppure se data la diversa decorrenza degli effetti del conferimento, ai fini della DIT, per chi lo fa e per chi lo riceva debba ammettersi che la perdita del beneficio per la conferente sia o possa essere precedente all’acquisizione del beneficio stesso per la conferitaria.

Può certamente riconoscersi che dalla norma – interpretata secondo le tesi dell’Agenzia delle entrate – deriva effettivamente una asimmetria: il conferimento ha effetto per la conferitaria, ai fini DIT, in un momento potenzialmente successivo a quello in cui ha effetto il corrispondente decremento della base DIT per la conferente. Ne consegue che per il periodo intermedio – quello che va dall’inìzio dell’esercizio in cui la società conferente ha disposto il conferimento al momento in cui il conferimento viene effettivamente versato – nessuna delle due società gode del beneficio della riduzione di aliquota sul reddito ricollegabile all’importo conferito. Considerando che la DIT è una disciplina che non riguarda l’imposizione sui conferimenti ma l’imposizione sui redditi che da tali conferimenti derivano se ne potrebbe dedurre che così come la DIT si applica ovviamente alla quota annua del reddito derivante dal conferimento altrettanto logico sarebbe che anche la riduzione della base dit avesse effetto per la conferente dal medesimo momento, posto che è da quel momento che il capitale in oggetto cessa di fruttare per essa.

La Autostrade s.p.a. considera illogico che le norme non dicano questo e ritiene che questa situazione sia tale da imporre una interpretazione adeguatrice. La maggior parte del controricorso è dedicata alla dimostrazione che l’esito suddetto è estraneo alla funzione antielusiva propria dell’art. 3, comma 2. Ma la asimmetria non deriva tanto dall’interpretazione funzionale di tale norma, quanto dall’interpretazione letterale dell’art. 1, comma 5 (sicchè la maggior parte dell’argomentazione del ricorso è superflua): la regola posta da tale disposizione, secondo cui gli incrementi derivanti da conferimenti in denaro rilevano a partire dalla data del versamento mentre i decrementi rilevano a partire dall’inizio dell’esercizio in cui si erano verificati appare esplicita e di indiscutibile – e quindi vincolante – chiarezza, tale da non poter essere alterata da una interpretazione che non sarebbe più adeguatrice ma solo modificativa, diretta cioè a sostituire la norma voluta dal legislatore con quella che l’interprete ritiene sarebbe stata più opportuna.

Per superare lo scoglio rappresentato dall’art. 1, comma 5, il ricorso afferma che la regola da esso posta – secondo cui i decrementi rilevano (non a partire dai relativi versamenti ma) a partire dall’inizio dell’esercizio in cui si sono verificati – non riguarda i decrementi derivanti da conferimenti ma altri decrementi e precisamente quelli di cui al comma 4 e cioè le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti. Tale interpretazione non è peraltro sostenibile sul piano letterale e topografico.

Alla Cassazione non è possibile, a fronte di un così chiaro tenore letterale, cancellare la norma in ragione della sua pretesa funzione, anche perchè è impossibile avere piena e certa conoscenza delle eventuali ragioni finanziarie di tale disciplina, così intrisa come essa è di tecnicismo. Vi è solo da considerare che una possibile ratio della apparente discrasia potrebbe essere che, per la conferente, il versamento del conferimento, implica un previo disinvestimento e ciò potrebbe giustificare una sorta di anticipazione forfettaria della perdita del beneficio. Oppure potrebbe darsi che il legislatore abbia ritenuto di adottare un sistema che in qualche modo non premiasse manovre di carattere più finanziario che di investimento. Ma non spetta al giudice, a fronte di una norma dal tenore letterale chiarissimo e invalicabile, andare alla ricerca di razionalità di politica finanziaria.

Quel che invece rileva è che il quesito non presenta profili di costituzionalità: trattandosi di una riduzione dell’imposta ordinaria a scopo incentivante non può venire in considerazione l’art. 53 Cost., rispetto al quale l’agevolazione costituisce anzi una deroga, come tale da interpretare restrittivamente (cfr. tra numerose altre Cass. n. 11787 del 2010, n. 5394 del 2010 e n. 6523 del 2009).

Infine, la norma di cui all’art. 37 bis, comma 8, – secondo cui le norme antielusive non trovano applicazione quando il contribuente dimostra che non vi è stata elusione – non è conferente, posto che – come già si è osservato – quella che viene qui in considerazione non è la norma di cui all’art. 3, comma 2, ma la norma di cui all’art. 1, comma 5, che nella parte in cui determina una decorrenza della riduzione diversa da quella del corrispondente incremento non appare essere una norma antielusiva contro i conferimenti a cascata.

Comunque la norma invocata riguarda le disposizioni di carattere formale e non quelle di carattere sostanziale.

Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, sulla base del seguente principio di diritto: “In tema di dual income tax la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 466 del 1997, deve essere interpretata nel senso che nel caso di conferimenti in denaro effettuati, successivamente alla chiusura dell’esercizio del 1996, a favore di soggetti controllati, la base dit della conferente deve essere ridotta di un pari importo a partire dall’inizio dell’esercizio in cui tali conferimenti sono stati disposti, con la conseguenza che l’incremento patrimoniale che la conferente può utilizzare per beneficiare dell’aliquota Irpef agevolata (c.d. base dit) deve essere sempre ridotto dell’intero ammontare dei conferimenti in danaro che la società abbia effettuato nell’anno di imposta ad una propria controllata, senza tenere conto del momento in cui il versamento è stato eseguito e perciò senza ragguagliare l’importo del versamento, in ragione annuale, a tale momento”.

In ordine alla possibilità di decidere in questa sede la controversia nel merito, occorre rilevare che, a differenza di quanto esposto nella memoria depositata dalla resistente ai sensi dell’art. 378 c.p.c., non risultano motivi d’appello non esaminati dalla C.T.R. perchè ritenuti assorbiti. Tutti i motivi d’appello esposti nella sentenza della C.T.R., pur riguardando “plurimi difetti motivazionali” della sentenza di primo grado (come affermato nella memoria della controricorrente) riguardano infatti sempre e soltanto, sotto diversi profili argomentativi, l’interpretazione della disciplina del D.Lgs. n. 466 del 1997, in relazione alle modalità di calcolo della base dit della società conferente, questione sulla quale i giudici d’appello hanno pronunciato. E’ inoltre in ogni caso da aggiungere che, nell’ipotesi in cui venga denunciato un vizio di motivazione della sentenza di primo grado, il giudice d’appello non pronuncia sentenza rescindente, ma decide della questione controversa, sostituendo la motivazione censurata. Non essendo pertanto necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa col rigetto del ricorso introduttivo. In assenza di precedenti giurisprudenziali di legittimità specifici in materia, si dispone la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2011

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