Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14921 del 21/06/2010

Cassazione civile sez. II, 21/06/2010, (ud. 15/04/2010, dep. 21/06/2010), n.14921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12564-2007 proposto da:

P.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

B. CAIROLI 6, presso lo studio dell’avvocato ALPA GUIDO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FUSCO ROBERTO;

– ricorrente –

e contro

R.G. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 17260-2007 proposto da:

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato CARLUCCIO FRANCESCO,

rappresentato e difeso dagli avvocati LUCARINI GIULIANO, MUSA

LEONARDO;

– controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 804/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 29/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/04/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato FUSCO Roberto, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso principale, rigetto dell’incidente

e deposita nota spese;

uditi gli Avvocati MUSA LEONARDO, LUCARIN GIULIANO, difensori dei

resistenti che hanno chiesto accoglimento delle proprie difese

depositate;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale per i motivi 1) punto 1; 2 e 3;

assorbito o inammissibile il ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 31 dicembre 2002 il Tribunale di Brindisi – adito da P.M. nei confronti di R.G. – respinse le domande con cui l’attrice aveva chiesto la pronuncia di rescissione per lesione o la dichiarazione di nullità del contratto del 6 aprile 1991, con cui aveva trasferito al convenuto, a titolo di datio in solutum, alcuni suoi immobili.

Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Lecce, che con sentenza del 29 novembre 2006 ha rigettato il gravame.

P.M. ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. R.G. si è costituito con controricorso, formulando a sua volta un motivo di impugnazione in via incidentale e condizionata. Sono state presentate memorie dall’una parte e dall’altra.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente le due impugnazioni vengono riunite in un solo processo, in applicazione dell’art. 335 c.p.c..

I primi tre motivi del ricorso principale possono essere presi in considerazione congiuntamente, poichè vi sono formulate censure tra loro connesse, tutte relative al capo della sentenza impugnata con cui è stato confermato il rigetto della domanda di P.M., diretta a ottenere la dichiarazione di nullità del contratto oggetto della causa.

La Corte d’appello è pervenuta a tale decisione osservando che: – con sentenza del 15 giugno 1996 il Pretore di Fasano aveva condannato R.G. a nove mesi di reclusione e 900.000 L. di multa per il reato di usura, commesso per aver ottenuto la cessione degli immobili in questione, nonchè al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore di P.M., costituitasi parte civile; – quest’ultima pronuncia era stata confermata con sentenza del 14 ottobre 1998 dalla Corte d’appello di Lecce, la quale aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato; – la decisione era passata in giudicato, in seguito al rigetto del ricorso per cassazione proposto dall’imputato; – l’efficacia di tale sentenza in sede civile era regolata dall’art. 654 c.p.p.; – i fatti materiali accertati dal giudice penale consistevano sia nello stato di bisogno in cui all’epoca versava P.M., in conseguenza di una procedura concorsuale instaurata nei suoi confronti, sia nella consapevolezza di R.G. di tale situazione, sia nella natura usuraria degli interessi pretesi dallo stesso R., dopo che aveva soddisfatto i crediti di coloro che si erano insinuati nel fallimento; – per la dichiarazione di nullità della datio in solutum non era però sufficiente l’approfittamento dello stato di bisogno del soggetto passivo, essendo anche necessario, secondo la giurisprudenza di legittimità, che il contraente avvantaggiato avesse tenuto un comportamento diretto ad incidere sulla altrui determinazione negoziale; – di ciò non era stata data nè offerta alcuna prova dall’originaria attrice.

Le critiche rivolte da P.M. a queste argomentazioni sono fondate, nel loro nucleo essenziale.

L’efficacia “esterna” delle sentenze penali dibattimentali irrevocabili, nei confronti dell’imputato e della parte civile, è limitata a quelle “di condanna o di assoluzione”, che fanno stato nel giudizio civile nel quale si controverte intorno a un diritto il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale (art. 654 c.p.p.). Restano dunque escluse, di regola, le pronunce di non doversi procedere per estinzione del reato, che non implicano una decisione di merito, presupponendo soltanto che dagli atti non risulti già evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato (artt. 531 e 129 c.p.p.). In tal caso, pertanto, “il giudice civile, pur tenendo conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, e pur potendo ripercorrere lo stesso iter argomentativo del giudice penale e giungere alle medesime conclusioni, deve tuttavia interamente e autonomamente rivalutare il fatto” (Cass. s.u. 27 maggio 2009 n. 12243).

Diversa è però l’ipotesi in cui, come nella specie, in primo o in secondo grado “è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile”, poichè allora “il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili” (art. 578 c.p.p.). Tale decisione, se la condanna alle restituzioni o al risarcimento ne resta confermata, comporta necessariamente, come suo indispensabile presupposto, l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato. Da luogo quindi a un giudicato civile, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, nel quale si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più venire in questione.

Tale illiceità la Corte d’appello ha finito invece per negare, mentre essa stessa in sede penale – ma come giudice civile – l’aveva affermata, con effetto di giudicato, confermando la condanna di R.G. al risarcimento dei danni in favore di P.M., in quanto persona offesa dal reato di usura.

In proposito, nella sentenza impugnata, è stata richiamata la massima tratta da Cass. 22 gennaio 1997 n. 628, secondo cui “affinchè un contratto, definitivo o anche preliminare, il quale importi il trasferimento di diritti o l’assunzione di obblighi verso un determinato corrispettivo in denaro, beni o servizi, possa essere considerato il mezzo in concreto utilizzato dall’agente per commettere il reato di cui all’art. 644 c.p., comma 1, facendosi dare o promettere in corrispettivo di una somma di denaro o di altra cosa mobile interessi o vantaggi usurari, ed incorra quindi nella sanzione di nullità è necessario – a differenza della contigua ipotesi di rescindibilità del contratto per lesione – che il contraente avvantaggiato abbia tenuto un comportamento diretto ad incidere sulla determinazione della volontà contrattuale del soggetto passivo (ad es. provocando o sollecitando la formulazione di una proposta contrattuale particolarmente svantaggiosa per il proponente) non essendo sufficiente (diversamente dalla menzionata ipotesi di rescindibilità) che egli, nella consapevolezza dello stato di bisogno della controparte, si sia limitato a trame profitto”. Il richiamo di questo precedente non è però pertinente perchè in quel caso era mancato, diversamente che nella specie, un previo giudizio civile inserito in quello penale: giudizio all’esito del quale non è stata semplicemente delibata, ai sensi degli artt. 531 e 129 c.p.p., la non evidenza dell’innocenza dell’imputato, ma è stata accertata ai fini civili, in applicazione dell’art. 578 c.p.p., la commissione del reato di usura da parte di R.G..

E’ alla luce di questo definitivo accertamento che la Corte d’appello, senza rimetterlo in discussione, avrebbe dovuto vagliare la domanda di nullità proposta da P.M..

Accolti pertanto i primi tre motivi del ricorso principale, nei limiti risultanti da quanto si è prima esposto, resta assorbito il quarto, che attiene al rigetto della domanda di rescissione, inizialmente formulata dall’attrice in via principale, ma riproposta in appello come subordinata.

Questo stesso capo della sentenza impugnata forma oggetto anche del ricorso incidentale, che va dichiarato inammissibile, poichè sul punto R.G. è rimasto pienamente vittorioso, anche se in base a un calcolo a suo dire inficiato da errori.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Lecce, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie i primi tre motivi del ricorso principale; dichiara assorbito il quarto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2010

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