Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14919 del 31/05/2019

Cassazione civile sez. I, 31/05/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 31/05/2019), n.14919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8106/2014 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via XX Settembre

n. 3, presso lo studio dell’avvocato Sandulli Michele che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Valtur S.p.a., in Amministrazione Straordinaria, in persona dei

Commissari Straordinari pro tempore, domiciliato in Roma, P.zza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avv. De Luigi Mario, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2636/2014 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 24/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/03/2019 dal cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato il 14 febbraio 2014 il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione L. Fall., ex art. 98, proposta da G.M. avverso il decreto con cui il G.D. dello stesso Tribunale aveva rigettato la domanda di insinuazione in via privilegiata al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della società Valtur s.p.a. del credito dell’importo di Euro 65.241,00, preteso dall’opponente per la sua attività di revisore contabile svolta negli anni 2010 e 2011 per la predetta società (veniva, segnatamente, richiesto il saldo per l’anno 2010 e tutto il compenso per il 2011).

Il Tribunale di Milano, evidenziando lo stretto legame professionale intercorrente tra il G. ed il sindaco della Valtur s.p.a. P.M., entrambi facenti parte del medesimo studio di consulenza, ritenendo che tale rapporto di collaborazione rendesse in concreto insussistenti in capo all’opponente i requisiti di indipendenza e obiettività richiesti per l’esercizio dell’attività di revisore contabile dal D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10, norma avente natura imperativa, concludeva che il difetto di indipendenza costituisse una causa di invalidità della nomina del revisore che, conseguentemente, non aveva titolo per richiedere il pagamento del compenso.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione G.M.. I Commissari straordinari della Valtur s.p.a. si sono costituiti in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo G.M. ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10 e art. 1 comma 1 lett. l).

Lamenta il ricorrente che il D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10, impone al revisore il requisito dell’indipendenza con riferimento solo alla società e non già ad un componente del collegio sindacale. La norma predetta non introduce alcun divieto in capo al revisore di intrattenere relazioni economiche con i sindaci della stessa società a favore della quale svolgono le proprie prestazioni.

L’attività di revisione contabile non ha ad oggetto l’attività dei sindaci, rispetto alla quale si pone su un piano diverso, ma parallelo, essendo sindaci e revisori entrambi controllori della società, orientando la rispettiva attività verso il medesimo risultato di tutela dei terzi.

Non viola, pertanto, l’obbligo di indipendenza il revisore che sia legato da rapporti di tipo professionale o economico (nel caso di specie, mera condivisione di costi) con uno dei sindaci della società oggetto di revisione.

2. Con il secondo motivo è stata dedotto, violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione al D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10, e art. 1, comma 1, lett. l), con riferimento al requisito di indipendenza del revisore.

Espone il ricorrente che ai fini della ricorrenza di una situazione di incompatibilità, non è sufficiente la mera sussistenza di meri rapporti di tipo patrimoniale tra la società (o il sindaco) ed il revisore, essendo necessario che tali rapporti siano significativi e tali da compromettere l’indipendenza del revisore.

Evidenzia che il D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10, è stata introdotta nel nostro ordinamento in ragione dei dettami comunitari (vedi raccomandazione della Commissione Europea del 16 maggio 2002) in virtù dei quali un revisore legale o una società di revisione possono essere visti come finanziariamente dipendenti da un singolo cliente o gruppo di clienti quando il totale dei corrispettivi per servizi di revisione e non che prevedono di ricevono oltrepassino un a soglia critica dei loro ricavati totali. Ne consegue che se una relazione d’affari sussiste, ma non assuma carattere di significatività e rilevanza, tale relazione non consente al terzo obiettivo e ragionevole di trarre la conclusione che l’indipendenza del revisore legale risulti compromessa.

Nel caso di specie, l’importo pattuito per la revisione contabile non aveva rappresentato una percentuale elevata dei ricavi professionali complessivi del ricorrente.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta il ricorrente che non è stato esaminato il fatto, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’accertamento della rilevanza e significatività delle relazioni d’affari e di lavoro intercorrenti tra la società ed il Dott. G..

4. I tre motivi, da esaminare unitariamente in ragione della loro stretta connessione, sono infondati.

Ad avviso di questo Collegio, affinchè siano salvaguardati i requisiti di obiettività ed indipendenza, richiesti dal D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10, per l’esercizio dell’attività di revisore contabile, nel concetto di “società” che non può intrattenere con il revisore legale relazioni finanziarie, d’affari, di lavoro o di altro genere, dirette o indirette (aventi ad oggetto la prestazione di servizi anche diversi dalla revisione) rientra, a pieno titolo, anche l’organo societario del collegio sindacale. Si tratta, infatti, di un organo facente parte della c.d. governance della società, il quale concorre alla formazione dell’iter decisionale della medesima, sia partecipando alle assemblee dei soci che ai consigli di amministrazione, sia svolgendo, a norma dell’art. 2403 c.c., l’attività di vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto del principio di corretta amministrazione ed anche sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul corretto funzionamento.

In particolare, in materia di bilancio, se è pur vero che il c.d. controllo esterno delle società per azioni (e negli altri casi previsti dalla legge) compete alla società di revisione, la quale deve esprimere un parere sull’attendibilità del bilancio di esercizio e sulla corretta valutazione delle singole voci appostate nel medesimo, tuttavia, anche il collegio sindacale svolge nella procedura di approvazione del bilancio un ruolo non certo irrilevante, dovendo, a norma dell’art. 2429 c.c., non solo riferire all’assemblea sui risultati dell’esercizio sociale, ma fare osservazioni e proposte in ordine al bilancio medesimo ed alla sua approvazione.

Dunque, anche se formalmente non possono esservi sovrapposizioni tra l’attività svolta dai sindaci e quella dei revisori contabili, avendo solo quella dei revisori una rilevanza esterna nei rapporti con i terzi e con gli stessi soci – significativo, in tal senso, è l’art. 2434 bis c.c., secondo cui per impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio, su cui il soggetto incaricato di effettuare la revisione ha emesso un giudizio privo di rilievi, occorrono tanti soci che rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale (norma che evidenzia, peraltro, l’importanza dell’attività dei revisori contabili e la conseguente necessità della loro indipendenza) – i pur diversi ambiti operativi delle due figure professionali sopra indicate possono venire comunque in stretta relazione ed eventuale interferenza.

Alla luce di quanto osservato, è indubbio che l’esistenza di un rapporto di natura patrimoniale, anche lato sensu, tra sindaco e revisore contabile sia potenzialmente fonte di possibili reciproci condizionamenti, tenuto conto, peraltro, che, in caso di mala gestio, a norma dell’art. 2407 c.c., comma 2, i sindaci sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, qualora il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

Anche le modalità di nomina e revoca dei revisori contabili sono tali per cui è necessario escludere, a priori, ogni possibile forma di condizionamento ed interessenza.

In proposito, il D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 13, comma 1, dispone che l’assemblea conferisce l’incarico al revisore contabile alla società di revisione su proposta motivata dell’organo di controllo, il quale deve essere sentito, ai sensi del comma 3, della stessa norma, per la revoca dell’incarico quando ricorre una giusta causa di revoca del revisore.

D’altra parte, va osservato che il nostro legislatore, al fine di salvaguardare i principi dell’obiettività e dell’indipendenza del revisore contabile, ha accolto al D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10, comma 2, il criterio, già indicato dal legislatore comunitario nell’art. 22, comma 2 (e nel considerando n. 11) della direttiva n. 43/2006 del 17 maggio 2006, della valutazione del “terzo informato, obiettivo e ragionevole” che dall’esistenza tra la società ed il revisore contabile di relazioni finanziarie, d’affari, di lavoro etc. “trarrebbe la conclusione che l’indipendenza del revisore legale o della società di revisione legale risulta compromessa”. In sostanza, è stato accolto il principio della cosiddetta indipendenza anche “in apparenza”, essendo necessario che il revisore contabile, oltre ad essere indipendente, appaia anche tale agli occhi dei terzi.

Dunque, sia il legislatore comunitario che quello italiano, allo scopo di affermare la necessità della massima trasparenza ed indipendenza possibile della figura del revisore contabile, hanno ormai superato quel passaggio – evidenziato dalla parte ricorrente – della raccomandazione della Commissione Europea del 16 maggio 2002, secondo cui “un revisore legale, una società di revisione o una rete possono essere visti come finanziariamente dipendenti da un singolo cliente o gruppo di clienti quando il totale dei corrispettivi, per servizi di revisione e non, che ricevono o prevedono di ricevere da quel cliente o gruppo di clienti oltrepassa una soglia critica dei loro ricavi totali”.

Nè nel testo della direttiva comunitaria sopra citata, nè in quello del legislatore italiano, è stato accolto un criterio che, per valutare l’obiettività e l’indipendenza del revisore contabile, attribuisca rilievo all’esistenza di una relazione d’affari tra quest’ultimo ed una società solo se tale relazione assuma un carattere di significatività. Nessun riferimento è, infatti, contenuto nei testi normativi sopra indicati ai concetti di “significatività” e “rilevanza” del rapporto d’affari tra società e revisore contabile che, pertanto, ai fini della valutazione dell’esistenza dei requisiti di obiettività ed indipendenza del revisore contabile, deve escludersi tout court.

Si condivide, infine, l’impostazione giuridica del Tribunale in ordine alla natura imperativa, o comunque di ordine pubblico economico, del D.Lgs. n. 39 del 2010, art. 10, essendo tale norma finalizzata ad assicurare la massima trasparenza ed obiettività delle informazioni ai soggetti che operano nel mercato, dovendo i revisori attestare al cospetto di tutti gli operatori economici (soci, creditori, terzi in generale) l’attendibilità del bilancio dagli stessi certificato nell’interesse generale dell’economia.

Ne consegue che dalla violazione della norma in esame deriva la nullità dell’atto di nomina del revisore, venendo quindi meno il suo diritto al compenso.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nei termini di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2019

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