Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14917 del 13/07/2020

Cassazione civile sez. I, 13/07/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 13/07/2020), n.14917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22186/2018 proposto da:

P.F., e S.A., elettivamente domiciliati in

Lecce presso lo studio dell’Avv. Francesco De Iaco, che li

rappresenta e difende in virtù di mandato con procura allegato al

ricorso per cassazione;

– ricorrenti –

contro

P.B., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Aguglia, in

virtù di procura speciale alle liti in calce al controricorso, ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio al seguente indirizzo

di posta elettronica studiolegaleaguglia.pec.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di LECCE, n. 646/2018,

pubblicata il 19 giugno 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’1/07/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 12/2016 del 16 dicembre 2006, ha rigettato la domanda proposta da P.F. e S.A. volta ad ottenere ex art. 306 c.c. la revoca dell’adozione di P.B., già dichiarata efficace in Italia con provvedimento n. (OMISSIS) del Tribunale di Lecce, ritenendo fondata l’eccezione di giudicato sollevata dalla convenuta con riferimento alla decisione del Tribunale dei Minorenni di Lecce n. 106/2014 del 6 novembre 2014, divenuta definitiva il 5 febbraio 2015, che aveva rigettato la domanda formulata ex art. 306 c.c., da P.F. e S.A. per il disconoscimento di adottato.

2. Avverso detta sentenza hanno proposto gravame P.F. e S.A. e la Corte di appello di Lecce, dopo avere dichiarato infondata l’eccezione di inammissibilità per violazione dell’art. 343 c.p.c., sollevata da P.B., ha rigettato l’appello proposto, ritenendo corretto il provvedimento di primo grado che aveva affermato l’esistenza del giudicato in relazione alla sentenza n. 106/2004 del Tribunale per i Minorenni di Lecce.

3. P.F. e S.A. hanno proposto ricorso per cassazione con un unico motivo.

4. P.B. ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per mancanza della procura nella copia notificata.

1.1 L’orientamento di legittimità oramai consolidato è nel senso che “qualora l’originale del ricorso per cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione adopera del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purchè la copia stessa contenga elementi – come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente – idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale” (Cass., 26 gennaio 2018, n. 1981).

1.2 Nel caso di specie, dato atto che l’originale del ricorso per cassazione reca la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione delle parti che gli hanno conferito tale procura, non vi sono elementi che inducano a dubitare del fatto che il ricorso, così come risultante dall’originale, provenga dal difensore munito di mandato speciale, poichè, come afferma anche la parte controricorrente, la notificazione del ricorso è stata fatta a mezzo posta dallo stesso avvocato.

2. Con il primo ed unico motivo P.F. e S.A. lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 339 c.p.c., in relazione agli artt. 305 e 306 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Ad avviso dei ricorrenti l’avere ritenuto quale presupposto del giudizio di secondo grado l’esistenza del giudicato era contraddittorio con l’avere ritenuto inammissibili le eccezioni sollevate dalla parte appellata ai sensi degli artt. 342 e 345 c.p.c.; tale scelta contrastava inoltre con il diritto dei ricorrenti a vedere riconosciuta l’oggettività delle loro ragioni, tenuto conto che il contrasto con P.B. si era fondato esclusivamente sull’aspetto economico.

2.1 Il motivo è inammissibile.

E’ orientamento di questa Corte che il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2) (Cass., 13 marzo 2009, n. 6184).

Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo (Cass., 10 marzo 2006, n. 5244; Cass., 4 marzo 2005, n. 4741).

Nel caso in esame, i ricorrenti nulla hanno dedotto con riguardo alla sentenza impugnata, esponendo solamente una correlazione tra l’esistenza del giudicato e l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellata ai sensi degli artt. 342 e 345 c.p.c..

Dette affermazioni si sostanziano in generiche affermazioni inidonee ad essere considerate quali utili censure conformi al modello delineato all’art. 360 c.p.c..

2.2 Con riferimento in particolare al vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo consolidato orientamento di questa Corte, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione della legge deve essere a pena d’inammissibilità dedotta nel ricorso per Cassazione mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., 8 novembre 2005, n. 21659).

A sua volta la deduzione del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, specie se congiunta alla denuncia di violazione di norme di diritto, esige che la relativa attività assertiva sia opportunamente, se non identificata, almeno identificabile come relativa all’illustrazione di quel vizio.

Nel caso in esame, peraltro, a fronte del fatto che il motivo presenta carattere complesso e si dovrebbe sostanziare, per come vorrebbe la sua intestazione, nella deduzione per un verso di plurime censure di violazione di norme di diritto e per altro verso di un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la breve esposizione successiva manca di ogni riferimento sia alle norme di diritto di cui si denuncia la violazione, sia al lamentato vizio motivazionale; nè questa Corte, nell’esercizio dei suoi poteri di qualificazione delle enunciazioni a sostegno del motivo può, in ragione della genericità delle stesse, riferire alcunchè all’una piuttosto che all’altra censura e individuare rispettivamente a quale norma si riferiscano o a quale preteso punto decisivo sono correlate.

Per tale ragione il motivo è inammissibile, in quanto risulta enunciato dai ricorrenti senza la completezza necessaria a renderlo idoneo assolvere allo scopo di configurarsi come valida critica alla sentenza impugnata.

3. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

4. Va disposta, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

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