Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14913 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 15/06/2017, (ud. 27/10/2016, dep.15/06/2017),  n. 14913

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10825/2012 proposto da:

A.P. (OMISSIS), A.A. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in Roma, Via Azuni 9, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO DE CAMELIS, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANTONIO LISERRE, come da procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. A. Plana

4, presso lo studio dell’avvocato IGNAZIO PORCARI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO PAOLO GHELFI,

come da procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 216/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato De Camelis e l’avvocato Ghelfi, che si riportano

agli atti e alle conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, Dott. Rosario Giovanni

Russo, che conclude per il rigetto del ricorso e per la condanna

alle spese. In subordine rimessione alle Sezioni Unite.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale in primo grado.

1. “Con atto di citazione notificato a mezzo del servizio postale l’8.05.03, G.P. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Voghera A.P., deducendo di essere proprietario di terreni agricoli coltivati a vigneto e facenti parte della sua azienda agricola, ubicata nella zona tipica di produzione del vino (OMISSIS), tra i quali il campo detto “(OMISSIS)” che suo padre aveva acquistato nel 1958 da A.G., campo ubicato in Comune di (OMISSIS), e censito a foglio (OMISSIS) mapp. (OMISSIS), ed a lui pervenuto per successione alla morte del genitore. Lamentava che il confinante A.P. nella primavera dell’anno 2002, in occasione del reimpianto del proprio vigneto, aveva occupato una porzione di detto campo, spostando la sede della carreggiata da sempre esistente a cavaliere del confine e impiantando filari di viti sulla proprietà attorea. Poichè i tentativi fatti in via bonaria per ottenere il rispetto dei confini non avevano avuto esito, chiedeva la condanna del convenuto al rilascio della striscia di terreno occupata ed al risarcimento dei danni, previa identificazione della linea di confine non più identificabile dopo i lavori eseguiti e già oggetto di contestazioni, a seguito di un impercettibile ma costante smottamento dei terreni, interessati da movimenti franosi accertati fin dagli anni 50, a seguito dei quali si era addivenuti a ripetute verifiche della linea di confine, l’ultima delle quali eseguita nel 2001 ma disattesa dal convenuto nell’esecuzione dei lavori nell’anno successivo.

Si costituiva A.P. eccependo il difetto di legittimazione passiva, in quanto a seguito di rinuncia all’eredità relitta da suo padre A.A.L., proprietario dei terreni confinanti col campo dell’attore era suo figlio A.A.. Parte attrice chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa A.A., ferma la domanda contro A.P. indicato come autore materiale dello spoglio.

A.A. costituendosi sosteneva di avere reimpiantato il proprio vigneto ove esisteva quello preesistente, rispettando il confine in fatto da sempre identificato nella linea di mezzeria della carrareccia tra i due fondi, che, rispetto all’epoca in cui era stato eseguito il frazionamento e l’accatastamento delle due porzioni assegnate una ad A.G., dante causa del de cuius dell’attore, e l’altra ad A.A.L., suo dante causa, si era progressivamente spostata per effetto del movimento franoso che interessava l’intera area ed aveva portato allo smottamento anche degli altri fondi confinanti. Sosteneva che qualora il confine non dovesse essere quello da lui individuato – ossia la linea di mezzeria della carrareccia così come oggi esistente – doveva essere riconosciuta l’intervenuta usucapione della porzione tra il confine catastale e quello in fatto, per avere egli e prima di lui il suo dante causa – posseduto tale striscia di terreno fin dagli anni 50, quando furono rilevati i movimenti franosi. Era disposta CTU che riscontrava che il confine in fatto non coincideva con quello catastale, ed identificava la linea di confine catastale, apponendovi paletti atti ad identificarla. Erano escussi a testi i professionisti nel tempo chiamati dalle parti per identificare la linea di confine. Risultava che l’unico movimento franoso di una qualche consistenza risaliva ad epoca addirittura precedente l’acquisto del terreno da parte del dante causa dell’attore, da allora c’era stato solamente un lentissimo smottamento, che aveva coinvolto tutta l’area, così che si erano succedute le verifiche della linea di confine, ma solo nel 2001 le parti avevano dato un incarico congiunto ad un professionista, perchè procedesse alla rideterminazione dei confini. Costui aveva proposto di fissare nuove linee di confine a metà strada tra i confini catastali e quelli all’epoca esistenti in fatto, in modo da ripartire fra le parti il danno derivato dallo smottamento, ma sulla proposta non si era mai formato l’accordo”. (…).

2. “Con sentenza definitiva n. 317/2008 del 5.08.2008, dep. il 9.08.2008, il Tribunale di Voghera, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione, così provvedeva: Dichiara la carenza di legittimazione passiva di A.P. e per l’etto respinge tutte le domande formulate dall’attore G.P. contro di lui; Accerta e dichiara che la linea di confine tra il fondo denominato “(OMISSIS)” di proprietà di G.P., (…) ed i terreni di proprietà di A.A. (…) è quella tracciata dal CTU geom. F.L. nella relazione depositata in atti il 23 settembre 2004 e segnata sul posto con la apposizione di pali, e per l’effetto: – Condanna A.A. ad arretrare il vigneto impiantato all’interno della sua proprietà, come delimitata dalla linea tracciata dal CTU Geo. F.L. e segnata dai paletti che il CTU ha apposto, lasciando tra la linea di confine così stabilita e l’inizio dei coltivi una striscia di terreno di m. 1,50 destinata a carrareccia comune alle due proprietà, rimuovendo le viti piantate sulla proprietà dell’attore e sull’area della carrareccia, e rilasciare l’area occupata di proprietà dell’attore entro la fine dell’annata agraria. Condanna A.A. a pagare a G.P. a titolo di risarcimento danni per l’illecita occupazione dei terreni la somma di Euro 2.400,00 per anno dall’anno 2002 all’effettivo rilascio, oltre al pagamento delle spese processuali (…)”.

3. “Il Tribunale cosi motivava la sua decisione: “La CTU ha accertato che le coltivazioni di A.A., come oggi esistenti dopo il reimpianto dei vigneti da lui effettuato nell’anno 2002, occupano parzialmente il terreno di proprietà dell’attore. Che lo sconfinamento sia frutto di progressivo smottamento dei terreni e non di mera invasione dell’altrui proprietà in occasione del reimpianto, profittando della esistenza di precedenti dubbi sulla posizione della linea di confine, è affermazione indimostrata e comunque irrilevante, in quanto l’esecuzione del nuovo impianto doveva essere il momento per riportare le proprie coltivazioni all’interno dei propri confini, non per espandersi occupando una porzione del fondo del vicino. In ogni caso l’eventuale precedente smottamento, già accertato con reiterate misurazioni, non era fatto idoneo a spostare nè il confine della proprietà, nè ad ampliare il possesso. Il fatto poi che, da tempo, prima della esecuzione dei lavori di reimpianto dei vigneti, esistesse un contenzioso sulla linea di confine, è sufficiente ad escludere che A.A. od il suo dante causa abbiano mai avuto un possesso della striscia di terreno occupata utile ad usucapire. A.A. deve quindi arretrare il vigneto reimpiantato all’interno della sua proprietà, come delimitata dalla linea tracciata dal CTU e segnata dai paletti che il CTU ha apposto, lasciando tra la linea di confine così stabilita e l’inizio dei coltivi una striscia di terreno di m. 1,50 destinata a carrareccia comune alle due proprietà, rimuovendo le viti piantate sulla proprietà altrui e sull’area della carrareccia, e rilasciare l’area occupata di proprietà dell’attore entro la fine dell’annata agraria. Dovrà altresì risarcire il danno provocato all’attore, riducendo l’area coltivabile di questo di complessivi mq. 1.300, con una minor produzione stimabile in 6,24 ettolitri per anno, pari a 832 bottiglie di vino in meno, che, per la produzione di (OMISSIS) significa minori ricavi per circa 12.000,00 per anno. Stimando un utile netto del 20% del ricavo, risarcimento equo sarà l’importo di 2.400,00 all’anno, a far tempo dal 2002, quando – rifacendo l’impianto del proprio vigneto – occupò l’area in contestazione, fino all’effettivo rilascio. A.P. risulta invece privo di legittimazione passiva, non essendo proprietario del fondo e non essendo dimostrato che sia stato l’autore materiale dello spoglio, ma si devono compensare le spese tra lui e l’attore in quanto dalle testimonianze risulta che in occasione del contenzioso fra le parti si era sempre comportato come proprietario e gestore dell’azienda agricola A.”.

B. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale in appello.

1. “Con atto di citazione in appello notificato il 12.11.08 A.A. e A.P. convenivano in giudizio avanti alla Corte di Appello di Milano G.P., impugnando la citata senten.za di cui chiedeva la riforma nel senso e per i motivi addotti in atto sub 1 (I fatti e lo svolgimento del giudizio innanzi al Tribunale di Voghera); 2 (Violazione dell’art. 2697 c.c.: il Tribunale di Voghera ha applicato le regole sull’onere della prova come se l’attore avesse esperito esclusivamente un’azione di regolamento di confini, invece ha agito – anche per l’accertamento della proprietà e la lesione del possesso); 3 (violazione dell’art. 1168 c.c.: il Tribunale di Voghera ha implicitamente rigettato la domanda di usucapione formulata dal sig. A.A., sull’erroneo presupposto che questi e i suoi danti causa non avessero esercitato un possesso utile all’usucapione, a causa della presenza di un contenzioso sulla linea di confine”); 4 (Violazione dell’art. 112 c.p.c.: il Tribunale di Voghera non si è pronunciato sulla domanda attorea di accertamento della proprietà, mentre ha condannato il sig. A.A. alla restituzione del possesso, in assen.za di alcuna domanda in tal senso); 5 (Violazione dell’art. 936 c.p.c.: il Tribunale di Voghera ha ordinato la rimozione dei vigneti senza aver prima accertato che essi fossero stati impiantati sulla proprietà altrui); 6 (Contraddittorietà della motivazione: il Tribunale di Voghera ha condannato al risarcimento del danno da lesione del possesso dopo aver accolto unicamente la domanda di regolamento di confini, la quale presuppone però una violazione inconsapevole del possesso altrui, determinata soltanto dall’incertezza dei confini); 7 (Le ulteriori questioni non affrontate dal Tribunale di Voghera: il mancato rispetto del confine proposto dall’arch. C.); 8 (Violazione dell’art. 91 c.p.c.: il Tribunale di Vogherà ha compensato le spese tra l’attore e il convenuto A.P., nonostante l’attore abbia insistito nella domanda contro di lui nella consapevolezza della sua estraneità alla controversia); 9 (L’erronea quantificazione del danno asseritamene subito dall’attore). Alla prima udienza del 10.03.09 con deposito e scambio di comparsa si costituiva in giudizio G.P. che contestava puntualmente l’atto di appello ed instava per la declaratoria di inammissibilità delle nuove domande, eccezioni ed istanze di parte appellante, e per il rigetto dell’interposto appello perchè infondato in fatto e in diritto con conferma in toto della sentenza gravata”.

C. La Corte di appello di Milano, con la sentenza impugnata, rigettava il gravame degli odierni ricorrenti nel merito, accogliendolo solo limitatamente alla regolazione delle spese processuali in primo grado.

D. Impugnano tale decisione i signori A., che formulano due complessi motivi di ricorso. Resiste con controricorso la parte intimata. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A. I motivi del ricorso.

1. Col primo motivo si deduce: “Nullità della sentenza o del procedimento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (p. 2.2 atto di citazione in appello). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: la mancata valida stipulazione del contratto di cui G.P. ha lamentato l’inadempimento con la domanda sostanzialmente proposta (p.p. 7.1 e 7.2 atto di citazione in appello). Violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 950 c.c., in ordine alla domanda formalmente proposta. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il possesso promiscuo quale presupposto dell’azione di regolamento di confine (S’ 2.5 conclusionale A. in appello)”.

1.1 – Quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c., sostengono i ricorrenti che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno accolto una domanda formale di regolamento di confini, “non avvedendosi che la domanda sostanzialmente ed effettivamente formulata da G.P., quale risulta dalla lettura complessiva dei suoi scritti, è diversa da quella che questi ha formulato formalmente”. Questi aveva “allegato la stipulazione con A.A., nel 2001, di un contratto volto a stabilire convenzionalmente un confine diverso da quello catastale, ormai superato da una frana del 1959; nonchè aveva allegato l’inadempimento di detto contratto da parte di A.A., per avere egli reimpiantato il proprio vigneto non entro il confine stabilito contrattualmente nel 2001, bensì là dove si trovava prima dell’espianto del 2000 e cioè oltre quel confine, infine, ha allegato l’incertezza del confine stabilito contrattualmente nel 2001 per effetto del reimpianto del 2002”. Non aveva invece mai “allegato l’incertezza in ordine al confine catastale”. G.P. aveva “formulato una domanda in contraddizione con la sua prospettazione in fatto ed errata in diritto, in quanto la domanda di regolamento di confini presuppone il possesso promiscuo dell’area i cui confini sono in discussione”. Rilevano i ricorrenti che “è vero – stando a quanto hanno ritenuto i giudici del merito v. oltre, p. 1.2.0) – che G.P. ha formulato formalmente una domanda di regolamento di confini, volta ad ottenere l’accertamento del confine catastale superato nel (per effetto della frana del) 1959; ma, è soprattutto vero G.P. ha formulato sostanzialmente una domanda di adempimento contrattuale: ha cioè lamentato l’inadempimento di un contratto che egli ha ritenuto essere stato stipulato nel 2001, avente ad oggetto l’identificazione di un nuovo confine diverso da quello catastale ma che mediasse tra questo e il confine attuale”.

1.2 – Rilevano ancora i ricorrenti che “poichè la vera domanda di G.P. è una domanda di adempimento di un contratto che egli ha ritenuto stipulato nel 2001, e poichè il mancato rispetto di detto contratto non è stato contestato da A.A., il quale ha invece eccepito la mancata stipulazione di quel contratto, i giudici di merito avrebbero dovuto semplicemente verificare se detto contratto fosse stato stipulato e, in caso di verifica positiva, accogliere la domanda di G.P. ordinando l’arretramento fino al confine stabilito col contratto in questione; o, in caso di verifica negativa, rigettare la domanda di G.P.”. I giudici invece “hanno accertato la mancata stipulazione del contratto del 2001 invocato da G.P…. ma, anzichè rigettare la domanda di G.P., l’hanno accolta ordinando ad A.A. l’arretramento non entro il confine stabilito con quel contratto bensì entro il confine catastale, andando oltre la domanda formulata dall’attore”.

1.3 – La Corte d’appello “non ha affatto motivato, o comunque ha reso una motivazione insufficiente o contraddittoria, in ordine al fatto che G.P. ha formulato effettivamente una domanda di adempimento di un contratto di cui la stessa Corte d’appello – ha accertato la mancata stipulazione: ciò che come detto – avrebbe comportato il rigetto della domanda di G.P. anzichè il suo accoglimento, sicchè si tratta di un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Precisano i ricorrenti che “la Corte d’appello è incorsa in detto vizio di motivazione perchè ha ritenuto che la questione dell’infondatezza dell’effettiva domanda formulata dall’attore, in ragione della mancata stipulazione del contratto oggetto di detta domanda (…) eccezione del tutto nuova, estranea al thema decidendum (pag. 20 sentenza impugnata)”. Rilevano che “la questione dell’intopretazione del contenuto effettivo delle domande formulate nè integra un’eccezione in senso tecnico, di cui possa predicarsi la novità, nè – ovviamente – è questione estranea al thema decidendum”. Inoltre, “la questione della mancata stipulnione del contratto oggetto dell’effettiva domanda attorea (…) è stata sollevata da A.A. sin dalla sua comparsa di risposta”.

1.4 – Infine, la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che ” A.A. avesse introdotto tardivamente una questione nuova nel momento in cui ha qualificato il non stipulato contratto del 2011 quale negozio di accertamento, questione che sarebbe anche errata perchè quel contratto non stipulato avrebbe integrato piuttosto una transazione”. Rilevano, da un lato, che “la qualificazione giuridica di un contratto è la classica questione di diritto conoscibile d’ufficio, di cui quindi non può predicarsi la tardività” e, dall’altro, che A.A. si è limitato a riportare la qualficazione che del non stipulato contratto del 2001 aveva fornito G.P.”, essendo invece d’accordo con la Corte locale “con il fatto che si sia trattato di un contratto di transazione che, anche se fosse stato stipulato, sarebbe stato nullo per mancanza di forma scritta”. In ogni caso, la questione “è del tutto irrilevante, in quanto ad A.A. – e ai fini della decisione del presente giudizio – interessava ed interessa solo il fatto che quel contratto, qualunque sia la sua qualificazione, non sia stato stipulato”.

1.5 – Rilevano ancora i ricorrenti che la corretta lettura ed interpretazione della domanda dell’ A., nonchè delle sue difese, non avrebbe potuto comportare altro che la conclusione che “questi non ha chiesto genericamente un regolamento di confini, in quanto ciò avrebbe potuto comportare l’accertamento dei confini catastali (art. 950 c.c., comma 3) e, quindi, avrebbe incluso nella proprietà attrice parte del terreno appartenente all’ A.”. Non ha, quindi, “aderito alla domanda di regolamento di confini formulata da G.P.”.

1.6 – Aggiungono i ricorrenti che ” A.A., in sede di comparsa conclusionale in appello (al p. 2.5) ha sollevato la questione per cui, in caso di possesso esclusivo di un’area contesa, l’azione che spetta al proprietario non possessore per recuperare detto possesso è l’azione di rivendicazione, non l’azione di regolamento di confini che presuppone invece un possesso promiscuo”. La Corte locale ha errato nel ritenere che “tale questione “è stata proposta per la prima volta soltanto in sede di comparsa conclusionale di 1^ (?) grado ed è sostanzialmente estranea al thema decidendum” (pag. 12 sentenza impugnata)”. Osservano che non si tratta di “decadenza” e che “la questione dei presupposti di legge dell’azione esercitata è ovviamente afferente al thema decidendum”. Anche sul punto “la motivazione è del tutto omessa, insufficiente o contraddittoria: la Corte d’appello di Milano, per smentire le argomentazioni volte a confutare il riportato orientamento della Corte di cassazione, si è limitata a richiamare e riportare alcune massime espressive” dell’orientamento prescelto, senza approfondire le valutazioni ed argomentazioni svolte dagli odierni ricorrenti che hanno sostenuto che ragioni di ordine sostanziale, processuale e di “sistema” sono nel senso di ritenere che l’azione di regolamento di confini è necessariamente e strutturalmente collegata all’esistenza di un possesso promiscuo delle parti sull’area nella quale corre il confine da regolare.

2. Col secondo motivo si deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1168, 948 e 950 c.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il possesso utile ad usucapire di A.A. (p. 3.2 atto di citazione in appello)”.

La Corte di appello, pur avendo superato la prospettiva nella quale si era collocato il primo giudice nell’escludere il possesso ad usucapionem in conseguenza del contenzioso in atto, ha poi ritenuto infondata la relativa domanda sotto plurimi profili. In particolare, ha errato la Corte locale nel: a) non ritenere che vi fosse stata una dichiarazione confessoria al riguardo della controparte, deducibile dalla sua stessa posizione difensiva; b) valutare le prove testimoniali e le conclusioni della CTU; c) valutare il complessivo comportamento di A.A., anche quanto ad una sua rinuncia alla proprietà acquistata per usucapione; d) valutare l’entità e gli effetti dello smottamento del terreno. La corretta valutazione di tali elementi non poteva che far ritenere fondata la domanda di usucapione.

B. La motivazione della Corte di appello.

1. Sulla errata qualificazione dell’azione.

“Le doglianze della parte appaiono infondate a questa Corte; non si è infatti verificata nel caso di specie alcuna erronea qualificazione dell’azione da parte del Tribunale adito. Vale preliminarmente osservare che non soltanto l’attore nel primo grado di giudizio ha proposto espressamente anione di regolamento di confini (art. 950 c.p.c.), ma anche che il convenuto A.A. nel rispettivo primo atto di detto giudizio ha aderito a tale richiesta (concludendo in comparsa di costituzione per “in ogni caso determinane la linea di confine tra i fondi in contestazione”), anche se in seguito detta domanda non è stata più proposta. L’attore ha comunque espressamente (cfr. Svolgimento del processo e conclusioni del primo grado di giudizio) esperito un’azione di regolamento di confini (art. 950 c.c.) con contestuale esercizio dello ius tollendi dei vigneti impiantati sul proprio terreno (art. 936 c.c., comma 1) e con richiesta di risarcimento del danno (art. 936 c.c., comma 3). Nell’azione di regolamento di confini, diversamente dall’azione di rivendicazione, non vi è controversia sui titoli di proprietà (cfr., Cass. Civ. n. 404/1985), e la contestazione attiene all’estensione dei rispettivi fondi confinanti (si parla di “conflitto tra fondi”) a causa dell’incertezza della linea di confine tra l’uno e l’altro. L’incertezza è poi oggettiva, quando deriva dalla mancanza di qualsiasi confine, soggettiva, come nel caso di specie, quando deriva dalla contestazione del confine di fatto esistente (non corrispondente a quello di diritto). Nella considerata fattispecie, l’incertezza soggettiva è stata determinata dallo smottamento lento ed impercettibile del terreno a valle, che nel corso degli anni ha determinato uno “slittamento” del confine naturale della carrareccia – una volta posta a cavaliere dei fondi delle parti ed ora corrente nel melo dei mappali (OMISSIS) di proprietà attorea (come accertato dalla CTU) ormai ben diverso dal confine de iure; e quest’ultimo non poteva che essere accertato che con gli strumenti catastali (come consentito dall’art. 950 c.c., comma 3) attesa la profonda alterazione dello stato dei luoghi determinata dal predetto fenomeno. Del resto, sulle questioni anzidette vale richiamare la giurisprudenza di legittimità: Cass. Civ. n. 5899/2001, per cui “Nell’azione di regolamento di confini, diversamente dall’azione di rivendicazione, non vi è controversia sui titoli di proprietà e la contestazione attiene all’estensione dei rispettivi fondi confinanti (conflitto tra fondi) a causa dell’incertezza della linea di confine tra l’uno e l’altro. Nè la proposizione da parte del convenuto della eccezione di usucapione (ma le stesse considerazioni valgono anche nel caso di domanda riconvenzionale di usucapione) vale a maturare l’azione di regolamento di confini proposta dall’attore in quanto con detta eccezione si fa valere una situazione sopravvenuta, atta ad eliminare l’incertezza sul confine, senza mettere in discussione il titolo d’acquisto vantato “ex adverso”. Nè, infine, la natura dell’azione può mutare per il fatto che l’attore chieda il rilascio di una zona determinata del terreno asseritamente n’entrante nel confine del proprio fondo, essendo il rilascio di tali porzioni conseguenza dell’istanza principale di esatta determinazione del confine” e la conforme Cass. Civ. n. 12481 /2007. Ne consegue l’ifondatezza del proposto motivo d’appello; peraltro la relativa eccezione è stata proposta per la prima volta soltanto in sede di comparsa conclusionale di 1^ grado ed è essenzialmente estranea al thema decidendum”.

2. Sul possesso ad usucapionem.

“… le censure degli appellanti non sono prive di pregio, laddove ritengono che una controversia sul confine di per sè non escluda il possesso ad usucapionem (secondo Cass. Civ. n. 12481/2007, ciò avviene quando si determina una situazione di oggettiva incertezza e di uso promiscuo della fascia di terreno controversa). Tuttavia, nella considerata fattispecie, la parte A.A. non ha fornito metili istruttori idonei a comprovare la sua usucapione, atteso che lo smottamento del proprio suolo sul fondo altrui non determina, di per sè, una situazione possessoria (di regola, il suolo viene acquistato dal confinante per il principio dell’accessione). Anche passando al vaglio le prove citate nell’atto di appello, esse appaiono quantomeno incerte: in atti non risulta alcuna confessione dell’attore; la situazione dei vitigni alla fine degli anni 50 è irrilevante, perchè allora la carrareccia correva a cavallo dei fondi di proprietà delle parti; gli attuali vigneti sono stati impiantati o reimpiantati solo nel 2002 dall’ A. (circostanza incontestata e comunque accertata anche dal CTU); dai documenti citati nell’atto di appello (3, 4, 5, 6 A. fasc. di 1^ grado) non risulta affatto univocamente – come asserito dall’appellante – che “nel 2002 i vigneti siano stati reimpiantati nella stessa identica posizione in cui si trovavano prima delte3pianto del 2000, ossia fino alla carrareccia” (che attualmente, a causa dello smottamento, corre al centro dei mappali (OMISSIS) di proprietà G.): anzi, nel doc. 5 – della Provincia di Pavia, “Verbale di estirpazione e reimpianto vigneti – verbale di accertamento preventivo” del 6.12.00, sottoscritto da M.M. (e confermato personalmente dallo stesso in istruttoria), risulta che il predetto funzionario (pag. 2) “HA ACCERTATO che la superficie oggetto di espianto corrisponde ad ha 0.56.61… è identificata come segue: comune Montescano foglio (OMISSIS) mappate (OMISSIS)”, e cioè i mappali di proprietà del convenuto (mentre non vengono neppure citati i mappali (OMISSIS) di proprietà G.) ed ugualmente, nel doc. 6, sempre della Provincia di Pavia del 2.03.04, si fa riferimento all’autorizzazione al reimpianto del 22.01.02, con l’annotazione “diritto utilizzato 16.05.2002”, e si indica un uguale superficie di ha 0.56.6, indicando sempre e solo i mappali dell’ A. ((OMISSIS)). Considerata poi la genericità delle affermazioni di Gi.Ro. (“per quanto ne so io”), la prova offerta dall’ A. appare in ultima analisi complessivamente del tutto insufficiente a dimostrare un possesso ultraventennale utile ad usucapire (considerando anche che l’usucapione non avrebbe comunque potuto riguardare la parte del terreno smottata sul lotto D.G. negli ultimi venti anni “meno un giorno” prima dell’introduzione del presente giudizio, perchè in relazione ad essi non avrebbe potuto formarsi un possesso ultraventennale: ma l’appellante non ha fornito al riguardo la benchè minima prova, utile a individuare quantomeno la porzione di terreno “potenzialmente” usucapibile)”.

3. Sul vizio di omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della proprietà.

“E’ evidente che l’attore non ha proposto un’autonoma domanda di accertamento della proprietà, ma solo quella già di per sè implicita nella domanda di accertamento dei confini (inerente cioè alla loro estensione: c.d. conflitto di fondi), così come parimenti implicita in tale domanda è la richiesta di “rilascio di una zona determinata del terreno asseritamente rientrante nel confine del proprio fondo, essendo il rilascio di tali porzioni conseguenza dell’istanza principale di esatta determinazione del confine” (Cass. 5899/2001 cit.). E’ poi usuale, in materia di ius tollendi di piantagioni ex art. 936 c.c., disporre la condanna al termine dell’annata agraria, per realizzare un equo contemperamento delle ragioni delle parti. Basta poi leggere il dispositivo della sentenza gravata (“Condanna A.A. ad arretrare il vigneto impiantato all’interno della sua proprietà, come delimitata dalla linea tracciata dal CTU Geom. F.L. e segnata dai paletti che il CTU ha apposto,… rimuovendo le viti piantate sulla proprietà dell’attore e sull’area della carrareccia, e rilasciare l’area occupata di proprietà dell’attore entro la fine dell’annata agraria.’) per verificare che, in conformità con l’azione di regolamento dei confini, è stato regolarmente accertato e delimitato anche in loco dal CTU – il confine de iure tra le due proprietà e quindi l’estensione della proprietà D.G. (presupposto per l’esercizio dello ius tollendi)”.

C. Il ricorso è infondato e va rigettato.

1. Il primo motivo è infondato. Si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizi di motivazione. La complessiva argomentazione svolta dai ricorrenti si fonda sulla prospettata interpretazione della domanda avanzata dall’odierno resistente, come fondata sulla deduzione di un adempimento rispetto ad un accordo intervenuto tra le parti. Erroneamente la domanda è stata invece qualificata dalla Corte di appello ai sensi dell’art. 950 c.c..

La corte d’appello ha invece correttamente qualificato la domanda, che aveva come finalità appunto l’accertamento dei confini, rispetto ai quali il riferimento all’accordo (peraltro motivatamente escluso dal giudice di merito) costituiva solo elemento probatorio per la sua determinazione e non già l’oggetto della domanda.

Perdono, quindi, consistenza le complessive argomentazioni svolte dai ricorrenti, anche con riguardo alla questione relativa al possesso promiscuo, per il quale il Procuratore Generale di udienza in sede di conclusioni, ma in via subordinata, ha prospettato la possibilità di una rimessione della questione alle sezioni unite.

Si trattava nel caso in questione di incertezza soggettiva sulla linea di confine, che non è esclusa dall’eventuale possesso esclusivo dell’altra parte, così risultando la decisone assunta in conformità con l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, rispetto al quale non emergono adeguate ragioni per una rimessione della questione stessa alle sezioni unite.

2. E’ parimenti infondato il secondo motivo, relativo all’intervenuta usucapione, perchè, così come formulato, si traduce nella inammissibile pretesa in questa sede di rivalutazione della decisione sotto il profilo del merito, sia quanto alla valutazione: a) delle dichiarazioni rese come confessorie; b) delle prove testimoniali e delle risultanze delle conclusioni della c.t.u.; c) del comportamento quanto alla rinuncia la proprietà; d) degli effetti dello smottamento del terreno. Il tutto a fronte della motivazione ampia adeguata e priva di vizi della Corte di merito, su riportata.

D. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per compensi e Euro 200,00 (duecento) per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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