Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14911 del 21/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/06/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 21/06/2010), n.14911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32744-2006 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EZIO 19,

presso lo studio dell’avvocato ALLIEGRO MICHELE, rappresentato e

difeso dagli avvocati FREDIANI FEDERICO, ARAGIUSTO MASSIMO, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APRICALE 31, presso

lo studio dell’avvocato VITOLO MASSIMO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VIVORI ENZO, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1571/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/11/2005 R.G.N. 682/03 + altri;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato VITOLO MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’ambito di una complessa vicenda processuale vertente tra la Milano Assicurazioni spa e l’ex agente F.A., la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 18 – 22.11.2005, riformando sul punto la pronuncia di prime cure, ritenne, per quanto qui ancora specificamente rileva, che il recesso della Compagnia assicuratrice dal rapporto con il F. per violazione da parte di quest’ultimo del patto di esclusiva fosse stato assistito da giusta causa, per l’effetto rigettando le domande svolte dall’ex agente sul presupposto della (in tesi) illegittima risoluzione del rapporto.

A sostegno del decisum sul punto la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– non era in discussione che il F. fosse agente monomandatario e che, per tale limitazione, percepisse un compenso differenziato, ancorchè in misura dal medesimo contestata;

– l’ispezione eseguita nei confronti dell’agenzia doveva ritenersi determinata dal riscontro di un calo di produzione, poichè, come riferito dai testi escussi, era stata disposta dopo l’avvenuta verifica di una notevole riduzione del portafoglio clienti a seguito di numerosi annullamenti di polizze;

– sempre in base alle acquisite risultanze testimoniali era emerso che, nel corso dell’ispezione, era stato trovato all’interno dell’agenzia “un mazzo di contrassegni” di altra compagnia assicuratrice; si trattava di un numero di documenti definito “cospicuo”, che, tuttavia, il personale ispettivo non aveva potuto esaminare con maggiore attenzione nei dettagli trattandosi appunto di materiale riferibile ad altra compagnia;

– richiesto di spiegazioni al riguardo, il F. aveva riferito al teste che tali documenti erano stati portati “presso l’agenzia da un suo parente, se non erro un cugino, perla riscossione” da parte dello stesso F.;

– quest’ultimo aveva poi fornito una successiva versione dei fatti, diversa da quella riferita dal teste, relazionando la Compagnia nel senso che il materiale rinvenuto dagli ispettori era costituito da depliants e offerte della concorrenza ai clienti dell’agenzia;

– sulla base delle suddette risultanze doveva ritenersi provato che il F. aveva intrattenuto rapporti con compagnie diverse dalla proponente, tenuto conto, da un lato, del dato meramente indiziario del riscontrato calo di produzione per annullamento di polizze, e, dall’altro, della esistenza presso l’agenzia di polizze nelle quali figurava parte contraente un’altra compagnia di assicurazioni;

– la duplice versione fornita dall’agente, del tutto insufficiente, stante la contraddittorietà e la inverosimiglianza, a fornire una spiegazione coerente, concorreva a fugare eventuali dubbi sul significato univoco delle suddette circostanze.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale F.A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo e illustrato con memoria. L’intimata Milano Assicurazioni spa ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione di legge (art. 2697 c.c.), dolendosi che la Corte territoriale:

– abbia reso, in ordine alla ritenuta sussistenza della giusta causa di recesso, una motivazione apodittica e contraddittoria, pervenendo a tale conclusione sulla base di elementi non dimostrati e privi di effettiva valenza probatoria, siccome contestati e fondati su affermazioni testimoniali non idonee a suffragarli;

– abbia quindi erroneamente ritenuto che la preponente avesse fornito la prova dei fatti su cui aveva basato il recesso;

– abbia, così operando, violato i generali criteri sulla distribuzione dell’onere della prova e sulle conseguenze in ipotesi di mancato assolvimento del medesimo.

2. Deve anzitutto rilevarsi che la Corte territoriale non ha operato inversione alcuna dell’onere della prova, non ha cioè addebitato all’agente la dimostrazione della insussistenza del fatto addebitato, ma ha invece ritenuto, sulla base degli elementi acquisiti, l’avvenuta dimostrazione in positivo di tale fatto; la relativa indagine è stata poi correttamente svolta secondo il principio di acquisizione, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque acquisite al processo e quale che sia la parte ad iniziativa (o ad istanza) della quale si siano formate, concorrono tutte alla formazione del convincimento del giudice (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 28498/2005; Cass., nn. 13383/2008; 2285/2006).

3. In ordine alle residue doglianze deve rilevarsi che le stesse configurano, sostanzialmente (anche se il motivo è stato rubricato soltanto quale violazione di norma di diritto), un preteso vizio di motivazione.

Anche le suddette censure sono peraltro infondate. Deve al riguardo osservarsi che la Corte territoriale, nel fondare il proprio convincimento anche su prove presuntive, ha rispettato il principio secondo cui, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida, non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola della inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola dell’inferenza probabilistica), sicchè il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purchè dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 23079/2005; 24211/2006), fermo restando che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, salvo l’eventuale vizio logico della motivazione adottata (cfr, ex plurimis, Cass., n. 1216/2006).

A quest’ultimo riguardo va poi rilevato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità ti potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie. Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; ne discende che le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).

Al contempo va considerato che, affinchè la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata ed esauriente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12121/2004).

Nel caso all’esame la sentenza impugnata, nei termini già ricordati nello storico di lite, ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le adeguate conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch’esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio.

In definitiva, quindi, le doglianze del ricorrente (peraltro non immuni da profili di inammissibilità, stante la mancata trascrizione in ricorso, se non per brevi e non decisivi brani, in violazione del principio di autosufficienza, delle richiamate deposizioni testimoniali) si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito delle emergenze acquisite, inammissibile in questa sede di legittimità.

4. Per le suddette considerazioni il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 32,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2010

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