Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14910 del 20/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 20/07/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 20/07/2016), n.14910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12336/2014 proposto da:

IMMOBILIARE PALON SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE

18, presso lo STUDIO GREZ E ASSOCIATI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FILIPPO DA PASSANO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GENOVA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio

dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUCA DE PAOLI giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 144/2013 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA,

depositata il 07/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato PAFUNDI che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto e in subordine

accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

La IMMOBILIARE PALON spa propone undici motivi di ricorso avverso la sentenza n. 144 del 7 novembre 2013 con la quale la commissione tributaria regionale di Genova ha solo parzialmente accolto (in relazione alla minor aliquota applicabile su taluni immobili locati) il suo appello avverso la sentenza di primo grado, reiettiva di impugnazione di avviso di accertamento notificatole dal Comune di Genova per ICI 2004.

Resiste quest’ultimo con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso la societa’ deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 156 c.p.c.; per non avere la commissione tributaria regionale rilevato l’inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento impugnato per omessa sottoscrizione della relata da parte del messo, non identificato.

Il motivo non puo’ trovare accoglimento, risultando finanche inammissibile nella parte in cui non censura una delle due rationes decidendi poste dalla commissione tributaria regionale a fondamento della decisione; ciascuna suscettibile di autonomamente sorreggerla.

Va infatti considerato che la sentenza qui impugnata – sulla premessa della regolare consegna della copia dell’avviso di accertamento alla contribuente – ha escluso la rilevanza del vizio di notifica in oggetto assumendo, per un verso, che ogni eventuale carenza procedurale della notificazione sarebbe stata sanata dalla tempestiva proposizione del ricorso del contribuente (avendo l’avviso di accertamento natura di “provocatio ad opponendum”); e, sotto altro profilo, che l’identificazione del soggetto notificante era comunque qui possibile (anche ai fini di accertarne i poteri) sulla base del numero personale di matricola risultante dalla relata: “non e’ sostenibile l’inesistenza della notifica per indeterminatezza del soggetto notificante, identificato dal numero di matricola”.

Ebbene, la censura in esame si sofferma unicamente sul primo aspetto (natura giuridica dell’avviso di accertamento e preclusione di sanatoria per una notificazione che doveva considerarsi non nulla, ma radicalmente inesistente); non contrastando per nulla, invece, l’affermazione del giudice di merito circa la completa identificazione del messo notificatore attraverso il numero di matricola relativo alla sua collocazione in servizio ed appartenenza all’ufficio incaricato della notifica. Identificazione sulla base della quale il giudice di merito ha escluso la paventata irregolarita’, tutta incentrata – appunto – sulla asserita impossibilita’ di risalire all’identita’ del messo notificante, e di ricostruirne i poteri e le funzioni.

Va in definitiva fatta qui applicazione di quanto stabilito da Cass. Sez. U, n. 7931 del 29/03/2013, secondo cui il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Conseguendone che, “qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, e’ inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione” (cosi’ Cass. n. 12372 del 24/05/2006; Cass. 16.8.06 n.18170; Cass.29.9.05 n.19161 ed altre).

p.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2, L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 3, e art. 4 preleggi; per non avere la commissione tributaria regionale rilevato la decadenza dell’ufficio dal potere impositivo per l’Ici 2004 (notifica dell’avviso di accertamento in data 26 settembre 2008, a fronte di un termine triennale di decadenza maturato al 31 dicembre 2007 ex art. 11, comma 2 cit.).

Il motivo e’ infondato.

In forza del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, il legislatore ha attribuito ai comuni il potere di determinare in via regolamentare taluni aspetti dell’imposta comunale sugli immobili, con facolta’ – per quanto qui interessa (lett. l), di: “semplificare e razionalizzare il procedimento di accertamento anche al fine di ridurre gli adempimenti dei contribuenti e potenziare l’attivita’ di controllo sostanziale, secondo i seguenti criteri direttivi: 1) eliminazione delle operazioni di controllo formale sulla base dei dati ed elementi dichiarati, con conseguente soppressione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione o denuncia, ed introduzione dell’obbligo della comunicazione, da parte del contribuente al Comune competente, entro un termine prestabilito dal Comune stesso, degli acquisti, cessazioni o modificazioni di soggettivita’ passiva, con la sola individuazione dell’unita’ immobiliare interessata; (…) 3) determinazione di un termine di decadenza, comunque non oltre il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello cui si riferisce l’imposizione, entro il quale’ deve essere notificato al contribuente, anche a mezzo posta mediante raccomandata con avviso di ricevimento, il motivato avviso di accertamento per omesso, parziale o tardivo versamento con la liquidazione dell’imposta o maggiore imposta dovuta, de sanzioni e degli interessi (…)”.

Tale potere e’ stato qui esercitato dal Comune di Genova – per quanto specificamente attiene ai tempi di esercizio del potere accertativo – mediante la delibera n. 17 del 19 febbraio 2002, recante la fissazione del termine massimo di cinque anni; contestualmente, e’ stato introdotto l’obbligo di comunicazione in luogo del precedente obbligo di presentazione della dichiarazione o denuncia.

Orbene, la illegittimita’ di tale disposizione regolamentare non puo’ discendere da quanto previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 3, secondo cui: “Efficacia temporale delle norme tributarie. 1. Salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. 2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. 3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”.

Va infatti considerato che il termine di cinque anni in oggetto era destinato ad operare non gia’ per il passato, ma unicamente per i periodi d’imposta non ancora esauriti al momento della delibera che l’ha adottato (come nella specie, vertendosi di ICI 2004). Non puo’ dunque individuarsi un profilo di contrarieta’ allo statuto del contribuente per asserita retroattivita’ (art. 3, comma 1 cit.), giacche’ ne’ l’art. 59 cit., ne’ la delibera menzionata potevano influire sul termine (triennale) che continuava ad essere ordinariamente applicabile ai periodi di imposta pregressi.

Sotto un secondo profilo, nemmeno puo’ affermarsi che la violazione dello statuto del contribuente sia qui individuabile per ritenuta proroga di un termine di prescrizione o di decadenza (art. 3, comma 3 cit.), dal momento che il termine quinquennale in oggetto era destinato – come detto – ad operare ex novo per i periodi di imposta compiuti successivamente a quelli della sua adozione, e non in sede di proroga di un termine di prescrizione o decadenza che fosse gia’ iniziato a decorrere.

In definitiva, non puo’ trovare condivisione la tesi secondo cui l’illegittimita’ della delibera comunale in esame (per tale ragione, da disapplicarsi) deriverebbe proprio dalla sua natura retroattiva e di proroga di un termine di decadenza. Non risulta pertanto violato il principio generale L. n. 212 del 2000, ex art. 1, secondo cui: “1. Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali’.

Come detto, i principi generali della irretroattivita’ della norma tributaria e della preclusione di proroga del termine di prescrizione o decadenza, non sono stati qui derogati ne’ modificati; ponendosi la delibera comunale in oggetto sul diverso piano dell’attuazione regolamentare di una disposizione di legge (l’art. 59 cit.) che non ha inciso, menomandone i principi generali, sullo statuto del contribuente.

Va del resto osservato come l’attribuzione all’amministrazione comunale del potere di fissazione di un maggior termine di accertamento trovava giustificazione proprio nella sostituzione del sistema della “dichiarazione-denuncia” con quello della semplice “comunicazione” delle unita’ immobiliari rilevanti ai fini del possesso-Ici. Senonche’, nell’ottica del legislatore, la semplificazione cosi’ apportata all’azione del contribuente doveva trovare razionale contrappeso nella possibilita’ di stabilire un maggior termine di accertamento da parte dell’amministrazione comunale; proprio perche’ chiamata ad un controllo sostanziale ed originario di elementi identificativi del rapporto tributario che dovevano invece essere antecedentemente contenuti nella dichiarazione o denuncia di variazione.

Significativo della perdurante vigenza del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, (lett. l) pur dopo il sopravvenire della L. n. 212 del 2000, e’ poi il dato della sua formale abrogazione soltanto per effetto della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 175, (“finanziaria 2006”).

Nel senso qui accolto, si sono pronunciate Cass. nn. 25022 e 25023/15.

Va dunque esclusa l’affermata violazione normativa fatta oggetto della presente censura, dal momento che – in esito alla corretta applicazione della disciplina legislativa e regolamentare di riferimento – il rapporto di imposta in oggetto non poteva ritenersi consolidato con lo spirare del termine triennale; con conseguente legittimita’ dell’avviso di accertamento qui opposto, in quanto notificato nel rispetto del termine quinquennale di cui alla citata delibera comunale.

p.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36; nonche’ – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – motivazione apparente sul vizio di omessa motivazione dell’avviso di accertamento.

Il motivo non puo’ trovare accoglimento.

Va osservato che esso, pur facendo riferimento alla produzione in giudizio dell’avviso di accertamento, non ne riporta in ricorso il contenuto essenziale, necessario al vaglio di legittimita’. Non riportandosi tale contenuto, non e’ dato conseguentemente di verificare – con la dovuta concentrazione ed immediatezza – la congruita’, in relazione alla fattispecie concreta, dell’assunto della commissione tributaria regionale secondo la quale, al contrario, l’avviso di accertamento in questione “contiene tutti gli elementi previsti dalla legge”. Cio’ riverbera, in sostanza, su un difetto di autosufficienza dei motivo ex art. 366 c.p.c., n. 6); rilevante sia sotto il profilo del vizio di applicazione normativa, sia sotto quello della carenza motivazionale.

Sotto quest’ultimo aspetto va poi osservato che, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella attuale formulazione qui applicabile ratione temporis, e concernente anche l’impugnativa di sentenze di merito emesse nel processo tributario – la motivazione della sentenza puo’ essere censurata solo sotto il profilo dell’omesso esame, qui insussistente, circa un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre, pur volendosi riguardare il problema sotto l’aspetto della “motivazione apparente”, va qui richiamato l’orientamento di cui in Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (con varie applicazioni successive), secondo cui – pur sotto questo profilo: “(…) nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Nel caso di specie, fermo restando che la commissione regionale ha preso in esame il problema della motivazione dell’avviso di accertamento – risolvendolo in conformita’ al primo grado – non sono stati in definitiva addotti elementi che consentano di censurare la pronuncia di merito, rilevandone in ipotesi la dedotta radicale carenza argomentativa, sotto il profilo della motivazione apparente.

p.4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 3, e R.D.L. n. 652 del 1939, art. 12; per non avere la commissione tributaria regionale rilevato la non definitivita’ delle rendite catastali applicate nel caso di specie, in quanto impugnate esse stesse unitamente ad altro atto impositivo.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c.; per omessa sospensione del processo per pregiudizialita’ del giudizio sulle rendite catastali applicabili.

I due motivi, suscettibili di trattazione unitaria, sono infondati.

L”altro atto impositivo’ al quale fa riferimento la ricorrente e’ individuabile nell’avviso di accertamento Ici 2002 relativo ai medesimi immobili della Immobiliare Palon spa, e fatto oggetto di ricorso per cassazione n. 30012/10, deciso in data odierna contestualmente alla presente controversia.

Alla luce di tale correlazione, emerge come il problema della mancata notificazione (in regime previgente l’anno 2000) e della mancata definitivita’ del nuovo classamento catastale da A3 (risalente al 26.7.79) ad A2 debba ritenersi superato dalla definitivita’ con la quale quest’ultimo classamento e’ stato invece acclarato – su istanza della medesima societa’ contribuente, ed anche nei confronti dell’agenzia del territorio – dalla commissione tributaria di primo grado di Genova (sent. sez. 9 dell’11 maggio 1982 n.260, su ricorsi nn.rg da 7142/1 a 7142/81). Con conseguente formazione, sul punto, di un giudicato esterno tra le parti; suscettibile di rilievo d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Cio’ premesso, l’affermazione della commissione tributaria regionale nella sentenza qui impugnata, secondo cui “per quanto riguarda la non definitivita’ della categoria e delle rendite catastali degli immobili siti in Corso Belvedere, l’attribuzione di rendita e’ perfettamente legittima e la pendenza di un ricorso non ne sospende ne’ inficia l’efficacia” va effettivamente adattata alla situazione cosi’ creatasi – ma sempre nel senso della conclusione che qui la ricorrente censura – alla luce della rilevata definitivita’ di un classamento risalente ad epoca anteriore al 2000, e del quale la societa’ contribuente era gia’ a conoscenza per effetto del contenzioso da essa stessa proposto. Va dunque confermata – a confutazione della censura in esame – l’ulteriore affermazione della commissione tributaria regionle circa la fondatezza della tesi sostenuta sul punto dal Comune; secondo cui, posto che “tutti gli immobili erano iscritti in catasto come appartenenti alla categoria A2, con rendita definitiva gia’ al tempo della prima dichiarazione Ici 1993”, non si rendeva necessaria alcuna notifica da parte dell’agenzia del territorio.

Tutto cio’ premesso, emerge come non si ponesse – nella specie – un problema di pregiudizialita’ accertativa eventualmente rilevante ex art. 295 c.p.c., (quinto motivo di ricorso), quanto – se mai – di rilievo dell’avvenuta formazione di un giudicato esterno al quale il rapporto tributario qui dedotto deve necessariamente conformarsi.

p.5. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36; nonche’ motivazione apparente sull’istanza di disapplicazione della delibera di giunta comunale di determinazione delle aliquote Ici maggiorate al 9 per 1000.

La commissione tributaria regionale ha esaminato questo profilo volto alla disapplicazione della delibera di giunta per la determinazione delle aliquote Ici 2004, ma l’ha disatteso – in conformita’ alla decisione di primo grado – non rilevando elementi tali da determinare illegittimita’ dell’atto generale.

Il motivo di ricorso non si fa pero’ carico di riportare il contenuto della delibera rilevante ai fini in questione, limitandosi a genericamente richiamare le doglianze contro di essa proposte in giudizio.

Vale pertanto, anche per questo aspetto, quanto poc’anzi osservato sub 3, in ordine ai requisiti di formulazione e deduzione della censura motivazionale alla luce del nuovo disposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

p.6. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullita’ della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.; stante l’omessa pronuncia sulla non applicabilita’ al caso di specie delle aliquote maggiorate al 7 ed al 9 per mille per gli alloggi non locati.

La censura non puo’ trovare accoglimento, risultando anzi inammissibile per carenza di interesse.

Essa si basa sulla seguente affermazione (ric. pag. 43): “il motivo di appello sopra riportato era diretto all’annullamento dell’atto impositivo la’ dove applicava le aliquote maggiorate, ma per una ragione diversa da quella poi accolta dalla sentenza impugnata (e quindi sussiste l’interesse all’impugnazione); (…)”.

Emerge da questa stessa specificazione come il ricorso miri ad ottenere non gia’ il ribaltamento della decisione di secondo grado (che e’ stata favorevole, sul punto, alla contribuente), bensi’ l’affermazione di una diversa argomentazione giuridica a sostegno di tale decisione.

Deve pertanto farsi applicazione del principio per cui l’interesse all’impugnazione, manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla relativa contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. – va apprezzato in relazione all’utilita’ concreta derivabile alla parte dall’accoglimento del gravame, e si collega alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio; mancando la quale l’impugnazione e’ inammissibile. Con la conseguenza che la parte vittoriosa non ha interesse ad impugnare la sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione (Cass. 26921/08).

Ne’ e’ stato qui dedotto, dalla societa’ ricorrente, un interesse qualificato e differente dal mero accoglimento della pretesa (gia’, come detto, accolta) in forza di una “ragione diversa”.

E’ mancata, in particolare, l’esplicitazione della condizione legittimante la proposizione del motivo di impugnazione unicamente volto alla rettifica della motivazione, ravvisata dalla giurisprudenza di legittimita’ nella eventualita’ che il contenuto della motivazione stessa contenga enunciazioni suscettibili di passare in giudicato, in quanto presupposti logici necessari della decisione e, in quanto tali, potenzialmente idonee a pregiudicare la parte vittoriosa (Cass. 3193/97; SSUU 3092/85).

p.7. Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, nonche’ motivazione “obiettivamente incomprensibile” sulla istanza di applicazione dell’aliquota agevolata del 4,5 per mille stabilita con delibera di giunta comunale.

Il vizio di motivazione appare anche in tal caso mal dedotto, giacche’ la commissione territoriale non e’ incorsa in vizio di omesso esame, argomentando il rigetto del sesto motivo di appello nel convincimento che la societa’ non avesse fornito la prova (se non per un solo immobile) della ricorrenza di tutte indistintamente le condizioni previste dalla giunta comunale per il riconoscimento dell’aliquota agevolata (- locazione a canone concordato ex L. n. 431 del 1998 con contratto registrato; – destinazione dell’immobile ad un soggetto-persona fisica che lo utilizzi come abitazione principale). Ne’ la motivazione – anche in tal caso confermativa del primo grado – potrebbe ritenersi affetta, al fine di reputare ammissibile la presente doglianza, da un vizio a tal punto grave da concretarne l’obiettiva mancanza.

Cio’ vale anche per il richiamo, contenuto in sentenza, alla mancata prova della “seconda condizione” posta dalla delibera di giunta al riconoscimento dell’agevolazione; individuabile sulla base della delibera di giunta medesima, oltre che delle argomentazioni svolte dal Comune nel corso del giudizio. Anche in tal caso, va esclusa la sindacabilita’ nella presente sede della valutazione resa dal giudice di merito in ordine al fatto che la contribuente – effettivamente gravata dal relativo onere, trattandosi di dimostrare la sussistenza in concreto dei presupposti dell’agevolazione invocata – non avesse fornito un “criterio di prova” tale da inficiare le argomentazioni avverse.

p.8. Con il nono motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.; nonche’ omessa pronuncia sugli errori commessi dall’ufficio nell’applicazione delle aliquote nei mesi dell’anno di imposta.

Contrariamente a tale assunto, non si riscontra l’omessa pronuncia; dovendosi quest’ultima individuare nel motivato rigetto dell’istanza di applicazione dell’aliquota ridotta del 5,8 per mille, in luogo di quella ordinaria del 6,2 per mille, in quanto “la delibera di Giunta per Ici 2004 prevede l’agevolazione in favore delle persone fisiche soggetti passivi residenti nel Comune di Genova, che utilizzino l’immobile quale abitazione principale; e pertanto l’aliquota ridotta non puo’ essere applicata nel caso di societa’”. Il che superava, nella valutazione del giudice di merito, la rilevanza del problema della ripartizione delle aliquote nei mesi in base alle percentuali di possesso.

Va poi considerato come la presente doglianza sia comunque intrinsecamente inammissibile anche perche’ del tutto generica e priva di autosufficienza nella ricostruzione del corrispondente motivo di appello (n. 7.4). Segnatamente, laddove essa si limita ad indistintamente richiamare “gli errori commessi dall’ufficio nell’applicazione delle aliquote nei mesi dell’anno di imposta”, ovvero i criteri generali di alternanza tra aliquota ordinaria ed agevolata, senza pero’ riferimento alcuno alla fattispecie concreta, cosi’ come asseritamente dedotta nel motivo di appello.

p.9. Con il decimo ed undicesimo motivo si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c.; motivazione apparente sulla istanza di disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza sulla norma tributaria; omessa pronuncia sulla non debenza degli interessi.

Nemmeno queste doglianze, suscettibili di trattazione unitaria, possono trovare accoglimento.

La commissione tributaria regionale ha infatti preso in esame l’eventualita’ di disapplicare le sanzioni per incertezza della norma tributaria, ma l’ha esclusa all’esito di un ragionamento implicito, ma non per questo non immediatamente percepibile; perche’ evidentemente riferito all’intera articolazione della motivazione. Dalla quale si evince che – nella valutazione del giudice di merito – la normativa di riferimento (primaria e secondaria) non si presentava affatto di incerta interpretazione; essendo i “dubbi” posti dalla societa’ contribuente a base della cdntestazione dell’avviso di accertamento tutti chiaramente infondati, come del resto gia’ affermato in primo grado, ed anche in considerazione della definitivita’ del classamento catastale degli immobili. Deve pertanto chiaramente enuclearsi, nella decisione qui censurata, un contenuto univoco di insussistenza del requisito di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3; dovendo quest’ultimo poggiare su una nozione obiettiva di incertezza (reputata dal giudice), non gia’ meramente soggettiva (riferita al contribuente, ancorche’ a questi non imputabile).

Il che e’ conforme all’orientamento secondo cui “in tema di responsabilita’ amministrativa tributaria, la condizione d’inevitabile “incertezza normativa tributaria” sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, che costituisce causa di esenzione, consiste in un’oggettiva impossibilita’, accettabile esclusivamente dal giudice, d’individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa” (Cass. 13076/15 ed altre).

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso, con condanna della societa’ ricorrente alla rifusione delle spese del presente procedimento a favore del Comune di Genova.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000,00 per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016

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