Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14910 del 16/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 14910 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 353-2014 proposto da:
RUBICHI ANTONIO RBCNTN59S22B822S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo studio
dell’avvocato ANNAMARIA FEDERICO, rappresentato e difeso

dall’avvocato COSIMO LUPERTO giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 16/07/2015

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

controricorrente

avverso il decreto n. 614/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 4 aprile 2012 presso la Corte d’appello di Potenza,
Antonio RUBICHI chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento del danno non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata della
procedura concernente il fallimento della Venturi Investimenti S.p.A. (già Me.Fi
S.p.A.), iniziata con dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Lecce in
data 11 ottobre 1993 e non ancora conclusasi alla data della domanda.
L’adita Corte d’appello, considerata ragionevole una durata di otto anni, riteneva
che fosse indennizzabile un ritardo di dieci anni e liquidava un indennizzo di €.
776,00, non potendo essere in ogni caso superiore al valore della causa
presupposta, ai sensi dell’art. 2 bis della legge n. 89 del 2001, introdotto dalla
legge n. 134 del 2012, per cui adottava il criterio della minor somma tra quella
indicata come ammessa al passivo e quella liquidabile in astratto.
Avverso detto decreto il RUBICHI ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.
L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella
redazione della sentenza.

Ric. 2014 n. 00353 sez. M2 – ud. 19-03-2015
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POTENZA del 16/04/2013, depositato il 24/05/2013;

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione
degli artt. 2 e ss. della legge n. 89 del 2001, 6 par. 1 CEDU, 111 Cost. e 2056 c.c.,
nonché vizio di motivazione in merito, dolendosi del fatto che la Corte d’appello
abbia determinato la durata ragionevole della procedura fallimentare presupposta
in otto anni, in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità,

ricorrente che il periodo da risarcire sarebbe pari a dodici anni e sei mesi,
decorrendo dalla sentenza dichiarativa del fallimento.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ancora violazione dell’art. 2
della legge n. 89 del 2001, degli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c., dell’art. 1 della legge
costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 6 par. 1 della CEDU, dell’art. 11 delle
preleggi, dell’art. 55 d.l. n. 83 del 2012, conv. in legge n. 134 del 2012, art. 2 bis,
nonché vizio di motivazione, per avere l’adita Corte d’appello quantificato
l’indennizzo tenendo conto del valore del credito ammesso al passivo,
nonostante la normativa di cui alla legge n. 134 del 2012 trovi applicazione solo
per i ricorsi depositati successivamente all’H settembre 2012 e non per quelli
anteriori, come quello di specie, e dunque in palese violazione del principio della
successione delle leggi nel tempo.
Con il terzo e ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3
Cost., degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., anche per vizio di motivazione, giacché
la Corte d’appello nel liquidare l’indennizzo tenendo conto del valore dei crediti
ammessi al passivo avrebbe determinato una disparità non consentita.
All’esame dei motivi occorre premettere che la presente controversia non è
soggetta, ratione temporis, all’applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n. 83
del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n. 134 del 2012, applicabili ai
ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata
in vigore della legge di conversione.
Del resto, alle disposizioni introdotte nel 2012 non può neanche riconoscersi
natura di norme di interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per alcuni
Ric. 2014 n. 00353 sez. M2 – ud. 19-03-2015
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secondo cui la detta durata può essere al massimo di sette anni. Aggiunge il

aspetti vengono recepiti orientamenti della giurisprudenza di questa Corte
mutuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non vi è
nulla nel decreto-legge n. 83 del 2012 che possa indurre a ritenere che il
legislatore abbia inteso attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva,
avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione per la entrata in

Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è fondato nei limiti di seguito
esposti.
Invero, questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 8468 del 2012), che la
durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni
per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni, allorquando il
procedimento si presenti notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione
giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.), della
proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro
volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità
delle procedure concorsuali interdipendenti.
Nel caso di specie, la Corte d’appello oltre ad avere fondato la decisione sul
decreto-legge n. 83 del 2012 non applicabile, ratione temporis, nel presente giudizio,
ha ritenuto ragionevole una durata superiore al massimo consentito.
Il motivo è invece infondato nella parte in cui il ricorrente pretende di far risalire
l’inizio della procedura rilevante ai fini dell’equa riparazione alla dichiarazione di
fallimento, atteso che correttamente la Corte d’appello ha fatto riferimento alla
data della domanda di insinuazione al passivo (Cass. n. 2207 del 2010; Cass. n.
20732 del 2011).
Del pari è fondato il secondo motivo.
Come premesso, nella specie, il richiamo al decreto-legge n. 83 del 2012, poi
convertito nella legge n. 134 del 2012, modificativo della legge n. 89 del 2001,
ratione temporis è erroneo, in quanto disciplina non applicabile ai ricorsi proposti
Ric. 2014 n. 00353 sez. M2 – ud. 19-03-2015
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vigore della nuova disciplina.

in data anteriore all’11 settembre 2012, con la conseguenza che il criterio
liquidativo prescelto dal giudice di merito, tenendo contro dell’entità del credito
vantato nel giudizio presupposto, non essendo neanche in linea con le soglie
dettate tanto dalla giurisprudenza europea quanto da quella nazionale (Cass. n.
18617 del 2010; Cass. n. 17922 del 2010), non può essere condiviso.

Conclusivamente, vanno accolti il primo e il secondo motivo per quanto di
ragione, assorbito il terzo, e il decreto impugnato deve essere cassato nei limiti
sopra esposti.
Non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere
decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c..
Infatti, accertata la irragionevole durata della procedura fallimentare in anni
undici, alla liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il criterio di €.
500,00 per anno di ritardo, ritenuto dalla più recente giurisprudenza congruo in
relazione alle procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014), e determinando
quindi l’ammontare dell’indennizzo in favore del ricorrente in €. 5.500,00.
In conclusione, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento,
in favore del ricorrente della somma di €. 5.500,00, oltre agli interessi legali dalla
domanda al soddisfo.
Quanto alle spese processuali, va confermata sul punto la statuizione della corte
di merito, con condanna del Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di
Cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso per quanto di
ragione, assorbito il terzo;
cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel
merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del
Ric. 2014 n. 00353 sez. M2 – ud. 19-03-2015
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Il terzo motivo rimane assorbito dall’accoglimento dei precedenti.

ricorrente della somma di €. 5.500,00, oltre agli interessi legali dalla data della
domanda al saldo;
confermata la statuizione della Corte territoriale sulle spese di merito,
condanna, altresì, il Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in €. 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile, il
19 marzo 2015.

di legge.

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