Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14909 del 21/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/06/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 21/06/2010), n.14909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20863-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, BIONDI GIOVANNA, giusta delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BOER PAOLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STRAMANDINOLI GIUSEPPE,

giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 264/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/04/2007 R.G.N. 1230/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2010 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato BOER PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO CARLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Torino, confermando la decisione di primo grado, ha riconosciuto – nei limiti del decennio precedente la presentazione della domanda giudiziale (in virtù del combinato disposto dell’art. 47 cit. e del D.L. n. 103 del 1991, art. 6, comma 1, ultima parte, convertito nella L. n. 166 del 1991) – il diritto di M.I., in pensione dal mese di aprile 1998 ed appartenente alla categoria degli ex combattenti e assimilati, a conseguire la maggiorazione mensile della pensione (pari a L. 30.000), attribuita a tale categoria dalla L. n. 140 del 1985, art. 6, nell’importo derivante dall’applicazione del meccanismo perequativo previsto da questa stessa disposizione di legge con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore, anzichè, come sostenuto dall’INPS, dalla data in cui la ricorrente aveva ottenuto la pensione.

Il giudice di appello ha osservato che la tesi dell’Istituto previdenziale non è giustificata dal tenore letterale della disposizione citata, che induce, piuttosto, a ritenere che i pensionati abbiano diritto alla maggiorazione comprensiva della quota di rivalutazione nel frattempo maturata e contraddice alla finalità (perseguita dal legislatore) di conservare nel tempo l’adeguatezza delle prestazioni previdenziali, in linea con la previsione dell’art. 38 Cost..

L’Inps ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.

La pensionata resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’Inps, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 15 aprile 1985, n. 140, art. 6, osserva che l’istituto della perequazione automatica è proprio dei trattamenti pensionistici e non può, pertanto, essere applicato solo su una maggiorazione in sè e per sè considerata; con la conseguenza che solo la maggiorazione già acquisita alla pensione è suscettibile, insieme al trattamento cui accede, di essere aumentata in virtù della perequazione automatica.

2. Il ricorso è fondato alla stregua della interpretazione della norma in esame offerta dalle più recenti pronunce di questa Corte (cfr. Cass. nn. 13233 e 14051 del 2009), che il Collegio condivide e fa propria, giudicando non adeguati a porla in dubbio gli argomenti svolti dalla difesa di parte resistente.

3. Si è premesso nelle suddette pronunce che la L. n. 140 del 1985, art. 6, intervenendo a distanza di tempo dalla L. 24 maggio 1970, n. 336, ha avuto lo scopo, come si evince dal comma 1, di assicurare un beneficio pensionistico forfettario e reversibile agli appartenenti alle categorie degli ex combattenti e assimilati, che non avevano avuto modo di fruire di benefici a norma della L. del 1970 e successive modificazioni e integrazioni. Il beneficio era ed è erogabile solo a domanda. La maggiorazione pensionistica è stata fissata in L. 30.000 mensili, ed il terzo comma precisa che la stessa è soggetta alla disciplina della perequazione automatica delle pensioni. In un primo tempo tale maggiorazione – secondo il tenore originario della L. n. 140 del 1985 cit., art. 6, comma 2, spettava solo ai titolari di pensioni con decorrenza successiva al 7 marzo 1968, mentre fu poi prevista, dalla L. n. 544, art. 6 del 29 dicembre 1988, la sua estensione, a domanda, ed a partire dal primo gennaio 1989, ai titolari delle pensioni aventi decorrenza anteriore al 6 marzo 1968.

2. Così ricostruito il tessuto normativo di riferimento, si è osservato che l’interpretazione in precedenza offerta da Cass. n. 14285 del 2005 – secondo cui la maggiorazione di trentamila L. deve essere perequata anche per il periodo anteriore alla decorrenza della pensione – non appare conforme al tenore letterale del ripetuto art. 6 (che fa riferimento alla “perequazione” della maggiorazione, così prescegliendo un termine proprio della dinamica delle pensioni), nonchè alla “ratio” della disposizione in esame, giacchè questa ha configurato il beneficio di L. 30.000 mensili non come prestazione autonoma, ma come “maggiorazione del trattamento pensionistico”, atto ad incrementarlo, per cui, alla data del pensionamento, il beneficio medesimo non può che spettare in quella determinata misura, non essendo ipotizzabile una maggiorazione sulla pensione, che si rivaluta “ex se” autonomamente, in tempi in cui la pensione non esisteva ancora. Peraltro, diversamente opinando, si allargherebbe a dismisura, e senza giustificazione, la distanza tra pensionati ante e post 7 marzo 1968, perchè i primi (giusta la previsione della L. n. 544 del 1988 cit., art. 6) hanno diritto alla maggiorazione dal primo gennaio 1989 (e quindi molto tempo dopo rispetto al momento di maturazione della pensione) e la conseguono nella cifra fissa ancora di trentamila lire, mentre i secondi ne avrebbero diritto non solo con la medesima decorrenza della pensione, ma anche per un ammontare comprensivo degli aumenti verificatisi prima ancora del pensionamento.

4. Sempre nelle richiamate pronunce si è riferito che l’esegesi della L. n. 140 del 1985, art. 6, nei termini più sopra precisati, non è smentita da quella direttamente fornita dal legislatore che è direttamente intervenuto sulla questione controversa con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 505, (norma entrata in vigore nelle more dei relativi giudizi e di questo stesso giudizio), interpretando autenticamente l’art. 6, comma 3 nel senso che la maggiorazione prevista dal comma 1 si perequa a partire dal momento della concessione della maggiorazione medesima agli aventi diritto.

Del pari, si è ricordato che, successivamente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 401/2008, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione di interpretazione autentica sollevata in riferimento ai precetti di cui agli artt. 3, 24, e 38 Cost., ritenendo non condivisibile la tesi dei giudici remittenti (Corti di appello di Torino e di Trieste) – secondo la quale il diritto al beneficio combattentistico sarebbe indipendente ed autonomo dal diritto al trattamento di pensione – sul rilievo che, fino al momento della maturazione della pensione, nessun diritto nasce in capo al soggetto, anche se egli appartiene a una delle categorie che il legislatore, in considerazione di pregresse vicende, ha voluto beneficiare e che, se il legislatore avesse voluto riconoscere un autonomo diritto, avrebbe disposto l’immediata attribuzione periodica delle relative somme a tutti coloro che rientravano nelle categorie previste, indipendentemente dalla posizione previdenziale e non avrebbe, all’opposto, stabilito la “perequazione” di detto beneficio, espressione che normalmente si riferisce ai trattamenti di quiescenza.

5. In conclusione, l’interpretazione fornita da questa Corte nelle sue più recenti decisioni, attraverso una lettura delle varie disposizioni di cui si compone la L. n. 140 del 1985, art. 6, nella quale si è tenuto conto dello specifico oggetto della norma (il “trattamento pensionistico”) e delle finalità con la stessa perseguite dal legislatore, è riassumibile nel principio di diritto secondo cui la ivi prevista maggiorazione costituisce una sorta di accessorio del trattamento pensionistico di base, onde il suo adeguamento (attraverso l’applicazione della disciplina della perequazione automatica) non può che essere successivo al momento dell’acquisizione, da parte dell’assicurato, della titolarità del trattamento anzidetto; conseguendone che, a tale momento, la maggiorazione va attribuita sulla pensione nella misura originaria e non in quella comprensiva delle perequazioni intervenute dal momento della sua istituzione ad opera della L. n. 140 del 1985.

6. Il ricorso dell’INPS va quindi accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito rigettando la pretesa di cui al ricorso introduttivo.

7. Giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo l’esito (sostanzialmente favorevole alla parte privata) dei due gradi di merito e la non semplicità sul piano tecnico delle questioni in questa sede rilevanti.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2010

 

 

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