Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14906 del 06/07/2011

Cassazione civile sez. II, 06/07/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 06/07/2011), n.14906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28526-2005 proposto da:

P.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato CARELLO

CESARE ROMANO, rappresentato e difeso dall’avvocato VALENTINI

ALBERTO;

– ricorrente –

contro

C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato CAMICI

GIAMMARIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LENCIONI PIETRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 525/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 10/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato CARELLO Cesare, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato VALENTINI Alberto, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CAMICI Claudio, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Giaromaria CAMICI, difensore della resistente che ha

chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 20.12.96 F.P. citò al giudizio del Tribunale di Prato C.M., al fine di sentir pronunziare sentenza ex art. 2932 c.c., di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare, che assumeva aver stipulato con la convenuta in data 14.9.95, prevedente la vendita da parte della medesima di un immobile ad uso artigianale, della superficie di mq 600, per il prezzo di L. 300.000.000,di cui L. 250.000.000 già versati all’atto della sottoscrizione.

La C. si costituì e chiese il rigetto della domanda,disconoscendo le sottoscrizioni figuranti a margine ed in calce alla scrittura privata prodotta dall’ attore; costituitasi successivamente con un nuovo difensore, la convenuta eccepì anche l’invalidità del negozio, per l’ipotesi in cui le firme apposte fossero a lei attribuibili, per propria ridotta capacità psichica e vizio del consenso, nonchè per mancata indicazione degli estremi della licenza edilizia.

La parte attrice chiese la verificazione della scrittura privata e la causa, dopo l’espletamento delle prove testimoniali e della consulenze tecniche (grafico – grafologica e medico – psichiatrica), fu decisa con sentenza 9/6-6/9/02, con il rigetto della domanda e la condanna dell’attore alle spese.

All’esito dell’appello del P., resistito dalla C., detta decisione fu confermata dalla Corte di Firenze, con condanna dell’appellante alle ulteriori spese, con sentenza 17.12.04-10.3.05, sulla scorta delle seguenti essenziali considerazioni:

a) irrilevanza del mancato giuramento del c.t.u. e della circostanza che il medesimo fosse stato poi sospeso dall’albo dei grafologi, in cui era stato fraudolentemente iscritto trattandosi di circostanze non comportanti (per il principio di tassatività) la nullità del parere dell’ausiliare, che comunque il primo giudice aveva fatto proprio con articolate argomentazioni, segnatamente di carattere tecnico, non mancando di indicare anche le ragioni per cui aveva disatteso le diverse indicazioni del perito officiato in sede penale;

b) insussistenza di incompatibilità tra il disconoscimento delle sottoscrizioni e le successive eccezioni di invalidità del contratto preliminare, sollevate dal secondo difensore della convenuta,attesa la natura subordinata di queste ultime, non implicanti abbandono delle precedenti o tacito riconoscimento delle sottoscrizioni, tanto che la difesa dell’attore aveva dovuto chiederne la verificazione;

c) sussistenza di altri elementi concludenti nel senso della falsità dell’addotta stipulazione, costituiti dalla incongruità del prezzo convenuto, in relazione al maggior valore di mercato dell’immobile, dalla circostanza che quest’ultimo fosse stato oggetto, poco prima della pretesa stipulaci lavori di manutenzione costati L. 100.000.000, dall’implausibilità del versamento di una caparra, pari a cinque sesti del prezzo intero, ad una promittente anziana ed in non buone condizioni di salute, oltre che del reperimento dei mezzi di finanziamento (asseriti risparmi mensili, conservati in contanti e nascosti in casa) da parte del promissario acquirente;

d) irrilevanza, anche nell’ipotesi di attendibilità del teste che ne aveva riferito, dell’esistenza di trattative di compravendita tra le parti e del proposito della C. di non metterne al corrente la figlia, non essendo la circostanza idonea a far ritenere effettivamente apposte le forme dalla suddetta.

Avverso la suddetta sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione deducente undici motivi, illustrate con successive memoria.

Ha resistito la C. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia omissione,insufficienza o contraddittorietà di motivazione, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 193 c.p.c, censurandosi la reiezione del motivo di appello, deducente la nullità del conferimento dell’incarico al consulente tecnico di ufficio, derivante dalla mancata prestazione del giuramento di rito, ribadendosi che lo stesso costituirebbe un “fondamentale requisito perchè l’atto giuridico (CTU) venga ad esistenza”, profilo che non sarebbe stato esaminato dalla corte territoriale.

Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente,contraddittoria motivazione in ordine ai rilievi formulati dall’appellante sulla competenza del c.t.u., in considerazione della sua fraudolenta iscrizione nell’albo dei grafologi, circostanza che avrebbe inficiato, per inattendibilità tecnica dell’ausiliare, il parere da lui fornito al primo giudice le cui argomentazioni avrebbero comunque ed in non poca parte fatto leva sullo stesso, sicchè l’affermazione dell’autonomia della motivazione e l’assunto “scollegamento” della stessa rispetto a quella parte recettiva, costituirebbe una mera petizione di principio, “che nega il bisogno che il giudice di prime cure aveva sentito di valersi di un c.t.u.” Con il terzo motivo si censura,per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c, dell’art. Cost. e motivazione contraddittoria, l’argomentazione secondo cui il giudice, pur avendo disposto una consulenza tecnica, avrebbe avuto il potere – dovere di fondare il proprio convincimento sulla base di ogni altro elemento di prova (testimonianze, presunzioni, comportamento delle parti), osservandosi che l’omesso rinnovo della consulenza tecnica avrebbe comunque non consentito di valutare “pienamente, liberamente e con prudenza il complesso probatorio”, tra cui in particolare le risultanze della perizia espletata in sede penale. Con il quarto motivo si censura, per omessa,contraddittoria, insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione dell’art. 215 c.p.c., il rigetto del motivo di appello deducente l’avvenuto riconoscimento da parte della convenuta scrittura a seguito delle nuove deduzioni difensive correlate alla propria assunta incapacità,osservando che all’atto della seconda costituzione con un nuovo difensore la controparte si sarebbe limitata a queste ultime e, soltanto in sede di successiva precisazione delle conclusioni,sarebbe ritornata sulle proprie originarie difese.

Con il quinto motivo si censura,per vizi di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 184 e 215 c.p.c., la ritenuta ammissibilità della domanda correlata al disconoscimento della sottoscrizione,cha avrebbe invece dovuto essere ritenuta nuova o, meglio, abbandonata e non più riproponibile.

Con il sesto motivo si censura, per vizi di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 184, 116 e 215 c.p.c., la mancata considerazione che l’inosservanza delle regole processuali avrebbe comportato anche conseguenze sostanziali, consentendo alla C. di adeguare opportunisticamente, di volta in volta, le proprie mutevoli difese al deposito delle varie perizie.

Con il settimo motivo si censura per insufficiente ed omessa motivazione l’affermazione della corte, secondo cui, pur non risultando chiaro il ragionamento seguito dal primo giudice nel pervenire alle conclusioni che tutte le tre firme fossero false, nonostante il perito penale lo avesse affermato solo per una, tuttavia non avrebbe comunque potuto attribuirsi a tale perizia una preminente credibilità rispetto alla consulenza redatta in sede civile; tale argomentazione non avrebbe tenuto conto delle particolari vicende personali del c.t.u. civile, che avrebbero impedito di porre il suo elaborato sullo stesso piano di quello redatto dal perito in sede penale.

Con l’ottavo motivo si deduce insufficiente,contraddittoria ed omessa motivazione, osservandosi, con riferimento all’accertamento dell’autenticità o meno delle firme sottoposte a comparazione (sulla base dell’esame degli elementi “sillabici o letterali”), che se il giudice avesse avuto la capacità tecnica di compiere tale accertamento, non avrebbe dovuto disporre la consulenza tecnica;

sicchè ogni motivazione fondata su analisi diretta sarebbe in contraddizione con la ravvisata necessità di integrare le proprie conoscenze con quelle del c.t.u., mentre censurabile sarebbe stata l’utilizzazione del parere di quest’ultimo, tenuto conto dell’accertata fraudolenza dell’iscrizione del suo redattore nell’albo dei periti.

Con il nono motivo si censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 e per violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. l’omessa motivazione in ordine al motivo di appello relativo, alla ritenuta mera sovrapponibilità e non assoluta identità del grafema “olari” con il quale era stato dedotto che tale rilievo non avrebbe potuto costituire prova di copiatura da un originale, in assenza di tracce di quest’ultimo.

Con il decimo motivo si deduce omessa motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuta – carente di interesse la questione, dedotta con l’appello, relativa alla presenza del cd. “riccio dell’ammanieramento” in una delle frane contestate ed alla relativa analogia con le sottoscrizioni in atti del P., sulla quale vi era stata divergenza di conclusioni tra la perizia penale e la consulenza tecnica,osservandosi che,contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, detta questione non avrebbe rivestito rilevanza soltanto ai fini della identificazione dell’autore della falsificazione, ma anche della sussistenza di quest’ultima, poichè a tal riguardo nella sentenza di primo grado si era anche affermato che tale elemento avrebbe confermato la non autenticità della firma della C..

Con l’undicesimo motivo5infme5si censurano per omessa,insufficiente,contraddittoria motivazione, nonchè per violazione dell’art. 244 c.p.c., le ulteriori argomentazioni della sentenza impugnata, relative: a) alla congruità del prezzo dell’immobile compromesso, la cui valutazione sarebbe stata carente e non tenente conto della destinazione artigianale e non commerciale dello stesso; b) alla eccessività della caparra, avuto riguardo all’età ed alle condizioni psichiche della promittente venditrice,senza tener conto della consulenza medica, attestante la capacità di quest’ultima; c) alla disponibilità di danaro da parte del promissario acquirente, che sarebbe stata confermata da testi non citati nelle sentenze; d) alla ravvisata natura di mero “espediente dialettico dell’appellante” nell’affermazione che, se era illogico che il P. avesse fatto ricorso ad una complicata messa in scena per captare la buona fede di una teste, la circostanza riferita avrebbe dovuto essere vera; e) alle ravvisata rilevanza delle deposizioni dei testi dichiaratisi non a conoscenza della volontà di vendere da parte della C. e, peraltro, espressisi su mere intenzioni o stati d’animo della predetta e non anche su fatti, ritenendo, per converso, irrilevanti le specifiche testimonianze relative all’esistenza delle trattative finalizzate alla vendita.

Tra i suesposti motivi rivestono palese pregiudizialità, in quanto attinenti all’ammissibilità della eccezione esaminata ed accolta dai giudici di merito, il quarto, il quinto ed il sesto, che vanno pertanto esaminati con priorità, rispetto ai rimanenti, nonchè congiuntamente, per la loro stretta connessione.

I motivi non meritano accoglimento, anzitutto perchè basati su una comune premessa, con la quale ponendosi in contrasto con la narrativa della vicenda processuale esposta dalla Corte d’Appello (nella quale viene riferito che “si costituiva diverso difensore per la stessa convenuta, ribadendo la tesi della falsità delle firme ed allegando la tesi della nullità del preliminare …”), si lamenta un vero e proprio travisamento processuale, che avrebbe dovuto essere denunciato con l’appropriato rimedio revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4. Altrettanto dicasi anche relativamente alla successiva parte motiva,in cui la corte di merito ha dato atto dell’avvenuta precisazione, da parte convenuta,che le eccezioni di invalidità,per incapacità naturale o vizio della volontà,del contratto (che la C. non ricordava di aver sottoscritto), erano state sollevate in via subordinata; e tanto risulta confermato dall’esame diretto della comparsa de qua (in questa sede consentito dalla natura processuale delle censure), da cui non è dato rilevare l’avvenuta revoca, neppure implicita, dell’originario disconoscimento delle sottoscrizioni.

Passando all’esame del primo motivo, agevole ne risulta il rigetto, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, correttamente seguita da quella di merito e che in questa sede si ribadisce, secondo cui la mancata prestazione del giuramento da parte del consulente, costituisce una mera irregolarità formale, inidonea a determinare l’invalidità del verbale e del relativo conferimento dell’incarico, ostandovi il principio di tassati vita delle nullità (tra le altre, v. Cass. un. 930/92, 5737/86, 5671/84, 1531/70).

Seguono,in ordine logico – giuridico, il secondo, terzo, settimo ed ottavo motivo, tra loro strettamente connessi e da esaminare congiuntamente, che vanno anche rigettati. Tutte le censure contenute nei suddetti mezzi d’impugnazione, invero, fanno leva su una comune premessa di base, secondo cui il parere reso da un consulente, la cui iscrizione nell’albo professionale sarebbe poi risultata illegittima e come tale dichiarata invalida, sarebbe da tali vicende inficiato, sia sul piano della validità, sia su quello dell’attendibilità, con la conseguenza che il giudice non avrebbe potuto in alcun modo avvalersene, neppure integrandole con le proprie conoscenze, dovendo invece o attenersi alle diverse conclusioni della perizia penale, o procedere alla nomina di nuovo consulente tecnico. Ma anche in tal caso la premessala cui partono le censure, non è fondata, tenuto conto del principio, più volte affermato in giurisprudenza (v., in particolare, Cass. n. 5473/01), secondo il quale la mancanza (cui può, a fortiori, equipararsi l’invalidità) di iscrizione nell’albo di un consulente tecnico non è motivo di nullità della relativa nomina da parte del giudice,la cui scelta è insindacabile in sede di legittimità, così come quella di attenersi, in tutto o in parte, al relativo parere, ove la stessa sia sorretta da adeguata motivazione.

Nel caso di specie i giudici di merito, segnatamente e per quanto qui rileva quelli di secondo grado, hanno chiaramente e diffusamente spiegato, senza incorrere in alcuna carenza o illogicità, le ragioni per le quali, al di là delle poco commendevoli vicende professionali dell’ausiliare, hanno comunque ritenuto di condividerne le conclusioni e farle proprie, per l’intrinseca attendibilità, sotto il profilo tecnico, delle stesse.

L’incensurabilità del relativo apprezzamento, che secondo l’univoca giurisprudenza di questa Corte, costituisce, ove adeguatamente motivato, un tipico accertamento riservato al giudice di merito (v., ex plurimis, nn. 7494/11, 5229/11, 9461/10, 4850/09, 15219/07), così come la motivata preferenza accordata ad un parere tecnico, rispetto ad altri (v., tra le altre, nn. 23063/09, 993/02, 3787/01), al pari del mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione della consulenza, anche per ragioni non esplicitate, ma desumibili dalla motivata adesione al parere peritale già acquisito (v. 23063/09, 993/02, 3787/01), comportano pertanto l’inammissibilità dei rimanenti profili di censura al riguardo.

Va pertanto disattesa anche la doglianza, secondo la quale il giudice di merito, sostituendosi al consulente, con proprie argomentazioni tecniche, avrebbe contraddetto la necessità, pur in precedenza avvertita, di procedere alla nomina di un ausiliare, considerato che nella specie le osservazioni, di carattere grafico e grafologico, esposte dal primo giudice e richiamate da quelli di appello, ben avrebbero potuto prendere spunto dalla relazione del c.t.u. ed essere integrate, come pur risulta dalla sentenza impugnata,con altri elementi di giudizio emergenti dagli atti ed evidenziati dal giudice.

Va respinto anche il nono motivo, con il quale viene, sostanzialmente, censurata l’adesione del giudice al risultato dell’elaborato peritale, nella parte in cui è stato – ritenuta la mera sovrapponibilità, ma non l’assoluta identità ad un non reperito originale, delle sottoscrizioni attribuite alla C., con particolare riferimento alle ultime cinque lettere, ravvisando una palese operazione di copiatura. La circostanza che il documento a tanto servito non fosse stato reperito non inficia, su tale puntoci parere dell’ausiliare, che comunque disponeva, ai fini del raffronto di altre sottoscrizioni autentiche della convenuta, confrontando le quali con quelle disconosciute, era stato in grado di rilevare l’artificio, così giustificando la presunzione che il P., o chi per lui, avesse potuto procedere all’operazione in questione, avvalendosi di documenti o relative copie,di cui fosse precedentemente venuto in possesso, in virtù degli intercorsi rapporti (in particolare di quello di locazione, menzionato nella sentenza impugnata) con la controparte. Trattasi, dunque, di argomento di giudizio non illogico,nè integrante malgoverno dell’art. 2727 c.c., poichè non è dal documento ignoto che è stata desunta la falsificazione delle firme,ma è dal raffronto tra i connotati di queste ultime con quelli delle altre,autentiche e disponibili quali scritti di comparazione, che è risultata giustificata la suesposta presunzione di avvenuta utilizzazione di un modello ignoto. Non miglior sorte merita il decimo motivo,per difetto di rilevanza ai fini della decisione, attenendo la relativa censura ad argomento che i giudici di appello hanno correttamente ed incensurabilmente ritenuto non decisivo e di secondario rilievo, ai fini dell’accertamento della non autenticità delle sottoscrizioni in questione, che, comunque risultate non attribuibili alla C. sulla scorta di altri sufficienti e concorrenti elementi, poco o punto rilevava se fossero state apposte proprio dal P. o da altri soggetti con il medesimo concorrenti e rimasti ignoti.

Anche l’undicesimo motivo, infine, deve essere respinto,non essendo alcuno dei profili di censura meritevole di accoglimento.

Non lo è il primo,considerata la scarsa incidenza della destinazione,se industriale o artigianale, dell’immobile ai fini della relativa valutazione, risultata comunque superiore a quella attribuita nel contratto preliminare, anche sulla scorta delle stesse indicazioni fornite dalla parte attrice, circa il concreto valore locativo e l’indice di capitalizzazione, e tenuto conto degli altri elementi convergenti, che i giudici di merito, sulla base di ragionamento chiaro e logicamente coerente, hanno ravvisato, segnatamente ritenendo poco credibile che un bene,oggetto di recenti e costosi lavori, venisse alienato per un prezzo appena triplo della spesa a tal fine sostenuta ed al di sotto del suo effettivo valore commerciale.

Quanto alla censura relativa alla ritenuta eccessività della caparra la stessa non scalfisce la sostanziale e complessiva logicità dell’argomentazione,anche alla stregua di nozioni di comune esperienza, secondo cui la misura della prestazione di ben cinque sesti rispetto al prezzo pattuito, sebbene non in contrasto con specifiche disposizioni di legge, appari va tuttavia del tutto insolita e palesemente divergente dalle ordinarie e diffuse prassi negoziali, nell’ambito delle quali siffatte corresponsioni solitamente coprono parti ben più limitate del prezzo. In siffatto contesto, poco o punto rilevava quali fossero le reali condizioni neuro – psichiche della C., posto che l’intrinseca inverosimiglianza di siffatto versamento è stata valutata non ai fini dell’invalidazione, per difetto di capacità o vizio del consenso,di un negozio effettivamente stipulato dall’anziana convenuta, bensì quale elemento indiziario convergente,in concorso con tutti gli altri, a far ritenere che la suddetta non avesse mai stipulato quel contratto preliminare e che l’indicazione di un acconto-caparra, di così rilevante importo,da parte di chi ne aveva falsificato la sottoscrizione,rispondesse alla finalità di contenere nei (relativamente) modesti limiti, di soli L. 50.000.000,il costo dell’illecita operazione.

Vanno infine disattesi rimanenti profili di censura,dei quali quello sub d) risulta anche poco comprensibile (non precisandosi quale sarebbe l’espediente dialettico” in questione) risolvendosi in palesi tentativi di accreditare, in sede di legittimità, un’interpretazione delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita, sulla base di approfondito esame della vicenda e senza incorrere in vizi logici,dai giudici di merito, cui soltanto compete la valutazione di attendibilità delle testimonianze, altresì difettando di autosufficienza, poichè si limitano a generiche o sintetiche indicazioni del contenuto, sia delle deposizioni che i giudici suddetti non avrebbero adeguatamente valutato, sia di quelle che sarebbero state indebitamente dagli stessi valorizzate, così non consentendo di apprezzarne l’effettiva rilevanza e decisività. Il ricorso va conclusivamente respinto,con condanna del soccombente alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso,in favore della resistente, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000500,di cui 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2011

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