Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14903 del 16/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 14903 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 6145-2014 proposto da:
FROSALI FABRIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CRESCENZIO 2, presso lo studio dell’avvocato EZIO BONANNI,
che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,
presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati LIDIA CARCAVALLO, LUIGI

Data pubblicazione: 16/07/2015

CALIULO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN giusta
procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1224/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta

nella pubblica udienza del

20/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato Caterina Sturda (delega avvocato Ezio Bonanni)
difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato Sergio Preden difensore del controricorrente che ha
chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 29.10.2013, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, determinava il coefficiente di
rivalutazione nell’1,25 ed escludeva la condanna dell’INPS al ricalcolo
del trattamento pensionistico, confermando nel resto la decisione che
aveva accertato l’esposizione qualificata ed ultradecennale a polveri e
fibre di amianto di Frosali Fabrizio.
Il giudice di appello, per quel che rileva in questa sede, osservava che
non era in contestazione l’esposizione dell’assicurato a fibre di amianto
nella misura e nel periodo stabilito dalla sentenza di primo grado e che,
quanto al resto, costituiva circostanza non contestata che il predetto
avesse presentato domanda amministrativa il 7.3.2005 e che pertanto
doveva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 47 del d.l. 269/2003
nella parte in cui stabiliva il coefficiente di rivalutazione dell’1,25, utile
per la determinazione dell’importo pensionistico ma non per la
maturazione del diritto a pensione.
Aggiungeva la Corte che era pacifico che il Frosali non aveva mai
presentato domanda prima del 2.10.2003 e non aveva fornito

Ric. 2014 n. 06145 sez. ML – ud. 20-05-2015
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FIRENZE, depositata il 29/10/2013;

dimostrazione di avere ottenuto il diritto a pensione — con il
riconoscimento dei benefici — prima della data suindicata, sicchè non
poteva avvalersi delle eccezioni che consentivano l’applicazione della
disciplina previgente, quando fosse maturato il diritto a pensione prima
del 2.10.2003, ovvero quando l’assicurato avesse iniziato un

Per la cassazione di tale decisione ricorre il Frosali, affidando
l’impugnazione ad undici motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS. Il
ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Con il primo, secondo e sesto mezzo di impugnazione si censura la
decisione per la mancata osservanza, da parte dell’appellante istituto,
delle disposizioni di cui all’art. 434 c.p.c. come modificato dalla legge
134/2012, assumendosi la violazione e falsa applicazione delle norme di
cui all’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 13, co. 8, I. 257/92
e la violazione dei diritti di difesa costituzionalmente protetti, in quanto
l’INPS non avrebbe indicato specificamente i motivi per i quali era stato
richiesto di ridurre il coefficiente di rivalutazione ad 1,25 e mai avrebbe
contestato i dati fattuali su cui si basava la decisione del Tribunale di
Pisa, non avendo indicato le parti del provvedimento che intendeva
appellare e le modifiche richieste né le circostanze da cui derivava la
violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione
impugnata.
Va rilevata l’infondatezza dei rilievi suindicati — da esaminare
congiuntamente per la evidente connessione delle questioni che ne
costituiscono l’oggetto – posto che, come chiarito dall’INPS nel proprio
controricorso, l’atto di appello conteneva specifica censura rivolta a
contestare il conseguimento del diritto a pensione e in subordine il
coefficiente di rivalutazione applicato, con ciò essendo evidenti le parti
del provvedimento sottoposte a gravame e le modifiche richieste.
Questa Corte si è pronunciata sulla specifica questione della portata e
della estensione della previsione di cui al primo comma dell’art. 434
c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 54 c. I lett. c) bis del D.1. 22 giugno
2012 n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012 n. 134, affermando che “la
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procedimento amministrativo o giudiziario prima della suddetta data.

norma, in coerenza con il paradigma generale contestualmente
introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte
appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione
appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di
razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione, impone al ricorrente in

latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere l’ambito
del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della
sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li
sorreggono”. Ha aggiunto la Corte che “sotto il profilo qualitativo, le
argomentazioni che vengono formulate devono proporre le ragioni di
dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice ed esplicitare in
che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della
statuizione censurata chieste dalla parte” (v. Cass. 5.2.2015 n. 2143).
Nella citata pronuncia è stato, poi, anche rilevato “che, con il motivo di
ricorso con il quale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art.
434 I. c. c.p.c., si denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione
delle norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla
decisione dei giudici di merito, vizio che è pertanto ricompreso nella
previsione dell’art. 360 comma 1) n. 4 c.p.c.” e che “Poiché in tali casi il
vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui il
processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono
aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità
secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del
giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso
come fatto processuale (v. Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 14098 del
2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002; Cass. n. 6526
del 2002)”.
Ove i vizi del processo si sostanzino nel compimento di un’attività
deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dal
legislatore, così come avviene nel caso in cui si tratti di stabilire se sia
stato o meno rispettato il modello legale di introduzione del giudizio,
questa Corte, con pronuncia a s. u. n. 8077 del 2012, ha affermato che
Ric. 2014 n. 06145 sez. ML – ud. 20-05-2015
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appello di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della

il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame
della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito
ha vagliato la questione, ma è investito del potere-dovere di esaminare
direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda.
Nella specie dalla stessa riproduzione degli atti rilevanti ai fini

sede di gravame investiva proprio il profilo indicato come non
contestato, ossia il conseguimento del diritto a pensione, non ancora
riconosciuto, e, in coerenza con tali premesse, in via subordinata,
veniva chiesta l’applicazione del diverso coefficiente compatibile con
l’esclusione della applicabilità della previgente normativa in tema di
rivalutazione contributiva.
Con il terzo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione della
norma di cui all’art. 112 c.p.c. e/o 132 n. 4, in combinato disposto con
l’art. 13 c. 8 I. 257/92, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., dolendosi il
ricorrente della mancata pronuncia in riferimento alle contestazioni
svolte in tema di applicabilità dell’art. 47 d. I. n. 269/2003.
In particolare, si richiama quanto affermato nella comparsa di
costituzione in sede di gravame anche con riguardo alla previsione
dell’art. 1, co. 2, del D.M. 27.10.2004 in ordine alla applicabilità della
disciplina previgente, fermo restando l’obbligo di presentazione della
domanda di cui all’art. 3 entro il termine di 180 giorni.
La censura è infondata sia perché la Corte, sebbene in forma sintetica,
ha motivato in ordine all’inapplicabilità della disciplina previgente al d. I.
269/2003, sia perché l’indicato D.M., fonte regolamentare meramente
attuativa delle disposizioni di cui all’art. 47 del D.L. n. 269/2003, conv.
nella legge n. 326/2003, non può che muoversi nel solco tracciato dalla
legge, con la conseguenza che il riferimento, per l’applicazione della
disciplina previgente, a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2
ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui
all’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive
modificazioni va necessariamente inteso — come più specificamente di
seguito argomentato – come delimitazione della platea dei beneficiari
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considerati, nelle parti di interesse, si evince che la censura dell’INPS in

agli assicurati che abbiano già maturato il diritto a pensione ovvero a
coloro che abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario
anteriormente al 2.10.2003.
Peraltro, la suddetta natura di fonte meramente attuativa ha come
conseguenza ulteriore che, ove trovasse applicazione il regime

termine decadenziale (180 gg.) introdotto dal d.l. n. 269/2003, che
interessa solo determinate categorie di lavoratori.
Il D.M. citato, riferendo il termine di 180 giorni anche ai lavoratori ai
quali si applica la disciplina previgente per effetto, in particolare, del
comma 6 bis dell’articolo 47, della legge 24 novembre 2003, n. 326 (e
cioè a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il
diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’ad. 13,
comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257) ha introdotto – da fonte
secondaria avente un ambito di contenuti limitato alla mera attuazione
della specifica disciplina introdotta con il D.L. n. 269/03 – un istituto
eccezionale (quale è sicuramente la decadenza speciale) in contrasto
con la fonte primaria (che, da una parte, non prevede espressamente la
possibilità per tale fonte secondaria di una portata innovativa rispetto
all’assetto ordinamentale come delineato negli aspetti principali e,
dall’altra, non solo non prevede analoga decadenza speciale ma anzi
contiene una espressa previsione di esclusione – art. 47 co. 6 bis cit. -).
Laddove il D.M. ha, dunque, adottato una diposizione in contrasto con il
contenuto dello stesso art. 47 e con il regime transitorio da quest’ultimo
previsto, lo stesso deve essere disapplicato (cfr.da ultimo, sulla
specifica questione, Cass. 25.11.2014 n. 24998).
Nella specie, l’osservanza del termine per la presentazione della
domanda era superflua ove si fosse realizzato, come assunto dal
ricorrente, il conseguimento del diritto a pensione prima del 2.10.2003.
Il quarto e quinto motivo vedono sulle dedotte violazione degli artt.
416, 434 e 437 c.p.c. in relazione all’ad. 112 c.p.c. e falsa applicazione
dell’ad. 47 co. 1 I. 326/03 e sulla violazione dell’art. 47, co. 6 bis, della
stessa legge e dell’art. 3, co. 132, I. 350/03, in combinato disposto con
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antecedente la riforma del 2003, l’interessato non sarebbe soggetto al

l’art. 13, co. 8, I. 257/92, ribadendosi più specificamente che il dato
fattuale del raggiungimento del diritto a pensione mai era stato
contestato dall’INPS, con la comparsa di costituzione in giudizio e nei
termini di cui all’art. 416 c.p.c., e che l’appello dell’INPS non contestava
specificamente la circostanza che alla data del 2.10.2003 il Frosali, per

avesse maturato il diritto a pensione, limitandosi ad un generico
riferimento alla giurisprudenza della S. C., senza eccepire alcunché in
ordine alla detta circostanza.
Al riguardo, al di là della assoluta genericità dei termini in cui risulta
articolato il ricorso introduttivo di primo grado (che non contiene la
precisa esposizione dei fatti costitutivi del diritto azionato), deve
richiamarsi il principio già più volte affermato da questa Corte – cfr., ex
plurimis, Cass. 18 novembre 2004, n. 21862; id. 15 luglio 2005 n.
15008; 11 luglio 2006 n. 15679 e più di recente Cass. 30 maggio 2012
n. 8649 e Cass. 25.11.2014, n. 24998 – secondo il quale “in tema di
benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, la L. 24
dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132, che – con riferimento alla
nuova disciplina introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 47,
comma 1 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003,
n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista
dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i lavoratori che alla data del
2 ottobre 2003 abbiano avanzato domanda di riconoscimento
all’I.N.A.I.L. od ottenuto sentenza favorevoli per cause avviate entro al
medesima data, va interpretato nel senso che: a) per maturazione del
diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro
che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza
concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano
avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento
del diritto alla rivalutazione contributiva”.
Come già evidenziato, nella specie gli elementi costitutivi del diritto
sono stati indicati dal Frosali nel ricorso introduttivo con assoluta
genericità e quindi, in presenza di carenza di allegazione, non vi era un
Ric. 2014 n. 06145 sez. ML – ud. 20-05-2015
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effetto delle maggiorazioni contributive per esposizione ad amianto,

correlativo onere di contestazione da parte dell’INPS, onde
doverosamente il giudice di appello, cui la questione è stata devoluta,
l’ha affrontata, senza fare applicazione, per le dette ragioni, del principio
di non contestazione.
La censura di cui al settimo motivo, che attiene alla violazione e falsa

degli artt. 24 e 111 Cost., in combinato disposto con l’art. 13, comma 8,
I. 257/92, impone valutazioni che rifluiscono nelle considerazioni svolte
in relazione al quarto ed al quinto motivo, in ordine alla verifica delle
condizioni per l’applicabilità della previgente normativa, che richiede che
vengano appunto indicati con precisione gli elementi costitutivi
dell’invocato diritto, eventualmente anche con riferimento all’avvio di
procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto.
In relazione all’ottavo motivo, con il quale il ricorrente si duole della
mancata attivazione dei poteri istruttori di ufficio da parte della Corte
territoriale, non viene chiarito in relazione a quali circostanze la stessa
avrebbe dovuto fare uso di tali poteri, non potendo peraltro supplirsi al
mancato adempimento dell’onere probatorio incombente sulla parte
tenutavi (cfr. Cass. 5878/2011 e 18008/2014).
Se è da ritenere ormai principio acquisito che nel rito del lavoro, ai
sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., essi non
hanno più carattere discrezionale, ma si presentano come un potere dovere, del cui esercizio o mancato esercizio il giudice deve dar conto
(Cass. S.U. 17 giugno 2004, n. 11353), è però anche vero che al fine di
poter censurare con il ricorso per Cassazione l’inesistenza di alcuna
motivazione circa la mancata attivazione di tali poteri occorre dimostrare
di averne sollecitato l’esercizio, poiché diversamente si introdurrebbe
per la prima volta in sede di legittimità un tema totalmente nuovo
rispetto a quelli dibattuti nelle fasi di merito. Del resto, proprio la
menzionata sentenza della Sezioni Unite ha avuto cura di precisare, fra
l’altro, che “il giudice – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c.
ed al disposto di cui all’art. 111 Cost., comma 1, sul “giusto processo
regolato dalla legge” – deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far
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applicazione delle norme di cui agli artt. 434 e 437, 2° comma, c.p.c. e

ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di
una della parti, ritiene, invece, di non farvi ricorso” e che “Il relativo
provvedimento può così, essere sottoposto al sindacato di legittimità per
vizio di motivazione al sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 qualora non sia
sorretto da una congrua e logica spiegazione nel disattendere la

esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa
decisione della controversia”. (Cass. Sez. L, Sentenza n. 14731 del
26/06/2006, Sez. L, Sentenza n. 29006 del 10/12/2008; Sez. L,
Sentenza n. 6023 del 12/03/2009).
Non è censurabile, quindi, con ricorso per cassazione l’omesso
esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice di merito ove la
parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in
tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori. Il che non risulta
essere stato effettuato nel caso che ci occupa, laddove blit ricorrente si
limita solo in questo grado a prospettare la necessità dell’integrazione
istruttoria ad opera del giudice.
Quanto al nono e decimo motivo, con gli stessi ci si duole della
violazione dell’art. 13 co. 8 I. 257/92 e dell’art. 47, co.6 bis, I. 326/03 e
dell’art. 3, co. 132, della I. 350/03 e della violazione degli artt. 115 e 116,
420 e 421 c.p.c. e dell’art. 2697 c. c., anche in relazione al vizio
motivazionale circa il fatto decisivo costituito dal raggiungimento
dell’anzianità contributiva dei 37 anni in data 2.10.2003 per effetto della
maggiorazione contributiva, con il coefficiente 1,5, dei periodi dal I
agosto 1979 al 31.12.1992, riconosciuti al Frosali dalla sentenza di
primo grado, per avere la Corte ritenuto applicabile il coefficiente 1,25.
A parte la erroneità della deduzione del vizio motivazionale ai sensi
della vecchia disposizione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., non più applicabile
ratione temporis, deve rilevarsi che la prova asseritamente fornita,
anche alla stregua dell’invocato principio di non contestazione, non
precisava nei dovuti termini il presupposto utile al conseguimento del
diritto alla rivalutazione secondo la normativa previgente.

Ric. 2014 n. 06145 sez. ML – ud. 20-05-2015
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richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se

Infine, anche l’ultimo motivo sconta l’erroneità della impostazione
difensiva già evidenziata, sicchè è superfluo l’esame della doglianza con
lo stesso prospettata, posto che la delimitazione dell’oggetto del
contendere presuppone la precisa indicazione già all’atto
dell’introduzione del giudizio dei dati fattuali utili alla configurabilità del

Alla luce di tutte le svolte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto del
ricorso.
Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese
dell’intero processo, avuto riguardo al recente consolidamento
dell’orientamento giurisprudenziale che qui si conferma.
La documentazione fiscale e la dichiarazione relativa al reddito del
Frosali allegate alla memoria illustrativa (funzionali alla declaratoria di
esonero dalle spese del processo) devono essere dichiarate irricevibili
in quanto prodotte oltre i termini di legge ed in difformità alle relative
prescrizioni.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore
letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei
presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato
costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo
non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed
altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del
rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,
dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa
nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento
dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre
limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n.
22035/2014).

Ric. 2014 n. 06145 sez. ML – ud. 20-05-2015
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diritto alla rivalutazione contributiva richiesta.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese dell’intero
processo.
Ai sensi dell’ad. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del

quello dovuto per il ricorso a norma dell’ad. 13 comma 1 bis del citato
d. P.R.
Così deciso in Roma il 20 maggio 2015
residente

ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a

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