Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14894 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/06/2017, (ud. 05/04/2017, dep.15/06/2017),  n. 14894

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26639/2012 proposto da:

D.T.M., (c.f. (OMISSIS)), D.T.G. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in Roma, I Via Angelo Secchi

n.9, presso l’avvocato Zimatore Attilio, che li rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove n.8, presso gli Uffici

dell’Avvocatura di Roma Capitale, rappresentata e difesa

dall’avvocato Frigenti Guglielmo, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

Romeo Gestioni S.p.a., che rappresenta – in qualità di affidataria

dei servizi gestionali del patrimonio immobiliare comunale – il

COMUNE DI ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via G. B. Vico n. 22, presso

l’avvocato Oranges Gianluigi, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3244/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo di ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Attilio Zimatore che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 3 aprile 2003, la Romeo Gestioni s.p.a., per conto del Comune di Roma, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale della stessa città, D.T.G. e D.T.M., chiedendo dichiararsi l’occupazione sine titulo, da parte dei medesimi, dell’appartamento sito in (OMISSIS), primo piano, interno 3, con conseguente ordine di rilascio dell’immobile da parte degli occupanti e condanna dei medesimi al pagamento dell’indennità di occupazione ed al risarcimento dei danni. Il Tribunale adito, con sentenza n. 22492/2007, depositata il 19 settembre 2007, accoglieva la domanda di rilascio, ma non quella indennitaria e risarcitoria.

2. La Corte di Appello di Roma, con sentenza parzialmente non definitiva n. 3244/2012, depositata il 9 gennaio 2012, respingeva l’appello dei D.T., disattendendo, altresì, la domanda di indennità per le migliorie apportate all’immobile occupato, proposta dai medesimi nei confronti del Comune di Roma, per difetto di legittimazione passiva dell’ente. La medesima pronuncia accoglieva, invece, l’appello incidentale della Romeo Gestioni s.p.a., condannando i D.T. al pagamento dell’indennità di occupazione, in misura pari al canone locativo corrente sul mercato, detratte le minori somme già corrisposte, oltre interessi legali da ogni scadenza mensile al saldo. Con contestuale, separata ordinanza, la Corte rimetteva, quindi, la causa sul ruolo per l’espletamento di c.t.u., al fine di determinare l’importo di detta indennità.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso D.T.M. e D.T.G. nei confronti della Romeo Gestioni s.p.a. e di Roma Capitale (già Comune di Roma), affidato a tre motivi. I resistenti hanno replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, Manuela e D.T.G. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. I ricorrenti lamentano che la Corte di Appello – in riforma della decisione di prime cure – abbia accolto la domanda della Romeo Gestioni s.p.a. (mandataria del Comune di Roma) di pagamento dell’indennità di occupazione abusiva dell’appartamento sito in Roma, al viale (OMISSIS), già locato a B.O. quale alloggio di edilizia residenziale pubblica, a canone agevolato, stabilendo che i D.T. dovessero corrispondere, invece, detta indennità in misura pari al canone corrente sul mercato. Sostengono, invero, gli istanti che la natura stessa del bene in questione avrebbe dovuto comportare l’applicazione da parte dell’ente proprietario, anche nei confronti degli occupanti successivi, del canone locatizio nella misura inferiore stabilita dalla normativa regionale in materia di cosiddetti alloggi sociali. Talchè, a tutto concedere, solo dal 2003 – ovverosia dalla richiesta di rilascio dell’alloggio – il Comune avrebbe potuto adibire l’immobile ad una diversa finalità, dovendo, per contro, escludersi che dal 1997, epoca della pretesa occupazione abusiva del bene da parte dei D.T., fino alla data della domanda di rilascio si fosse prodotto danno alcuno per l’ente pubblico.

1.2. La censura è infondata.

1.2.1. Va osservato, infatti, che nel rapporto privatistico di assegnazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica, il potere dell’ente proprietario di determinare in concreto – una volta avvenuta l’assegnazione dell’alloggio in locazione – la misura del canone sociale dovuto sulla base di specifici parametri indicati dalla legge regionale, periodicamente ponderati con l’accertamento dei redditi dell’assegnatario, si esplica con atti unilaterali di accertamento aventi effetti immediati in ordine all’obbligazione del canone, con la conseguenza che detti atti, qualificabili come atti amministrativi incidenti su diritti soggettivi ed eventualmente disappli-cabili dal giudice ordinario se lesivi di quei diritti, sono assistiti da una presunzione di conformità alla normativa statale o regionale in materia (Cfr. Cass. Sez. U. 28/11/1994, n. 10123; Cass. 06/11/2002, n. 15539).

1.2.2. Nel caso concreto, per contro, gli istanti, come rilevato dalla sentenza di appello (pp. 6 e 7), non hanno alcun titolo giustificativo dell’occupazione dell’alloggio residenziale pubblico a canone agevolato, titolo che può essere costituito – come dianzi detto esclusivamente dall’assegnazione personale dell’immobile in locazione, seguita dalla determinazione autoritativa del canone sociale. Ne consegue che, a seguito della morte dell’assegnatario, si è determinata la cessazione dell’assegnazione-locazione ed il ritorno dell’alloggio nella disponibilità dell’ente, che ben può provvedere discrezionalmente ad una nuova assegnazione (Cass. 17/09/2004, n. 18738; Cass. 4 29/04/1999, n. 4305). Nella specie, pertanto, mancando un atto accertativo del canone sociale nei confronti degli istanti, in quanto non assegnatari dell’alloggio, deve ritenersi sussistente il diritto dell’ente di percepire il canone pieno e di mercato, in relazione all’occupazione abusiva dell’immobile in questione.

1.3. Il mezzo va, di conseguenza, disatteso.

2. Con il secondo motivo di ricorso i D.T. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 101 e 112 c.p.c., artt. 1387, 1400, 1703 e 1730 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Assumono gli istanti che avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che il Comune di Roma fosse sfornito di legittimazione passiva, a fronte della domanda di pagamento dell’indennità per i miglioramenti arrecati all’appartamento di proprietà dell’ente, proposta dai D.T.. E ciò in quanto, a parere della Corte, essendo stata affidata in appalto alla Romeo gestioni s.p.a., “in forza delle procure speciali, a suo tempo rilasciate dal Comune di Roma nel 1997 e nel 1999 (…) l’intera gestione del patrimonio immobiliare comunale con riferimento ad ogni attività comunque preordinata al buon esito dell’incarico”, legittimata a resistere a fronte della domanda riconvenzionale proposta dai D.T. sarebbe stata la sola società mandataria. Osservano, per contro, gli istanti che il Comune rappresentato, in quanto titolare della posizione sostanziale posta in discussione nel processo, conserverebbe in ogni caso una legittimazione attiva e passiva concorrente con quella della società rappresentante.

2.2. La doglianza è fondata.

2.2.1. Deve, invero, osservarsi, in proposito, che il procuratore generale “ad negotia”, cui siano conferiti anche poteri di rappresentanza processuale, diviene titolare di una legittimazione processuale non esclusiva rispetto a quella originaria del rappresentato, il quale può subentrargli e sostituirlo in qualunque momento del processo, non escluso quello iniziale del grado, senza che l’avvenuto conferimento di mandato al difensore, ad opera del rappresentante, comporti la necessità che questi appaia come sola parte legittimata quanto meno nell’atto introduttivo del giudizio o del grado, con possibilità di sostituzione soltanto successiva (cfr. Cass. 09/07/1994, n. 6524; Cass. 11/01/2002, n. 314).

2.2.2 Ne discende che, nel caso di specie, il conferimento, da parte del Comune di Roma, di una procura alla Romeo Gestioni s.p.a. a svolgere “tutte le attività affidate in appalto nonchè ogni altra attività con valenza accessoria” (procura del 22 dicembre 1997), nonchè di una successiva procura a stare in giudizio “in nome e per conto del Comune di Roma” in tutti i procedimenti relativi ai servizi ad essa affidati, non vale ad escludere la legittimazione passiva del rappresentato ente pubblico a fronte della domanda dei D.T., come erroneamente affermato dalla Corte territoriale.

2.3. Il motivo va, pertanto, accolto.

3. Con il terzo motivo di ricorso, Giovanni e D.T.M. denunciano l’omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

3.1. Lamentano i ricorrenti, deducendo anche – nel corpo del motivo – il vizio di omessa pronuncia, che la Corte di Appello non abbia preso in esame l’eccezione concernente l’avvenuto esercizio del diritto di opzione, da essi esercitato, in relazione all’immobile in questione, come previsto dal Comune di Roma con le delibere consiliari n. 139 del 10 dicembre 2001 e n. 650 del 4 novembre 2003. Deducono gli istanti che, avverso il diniego di consentire loro l’esercizio del diritto di opzione, dal quale conseguirebbe “automaticamente il contratto di vendita”, espresso dal Comune con determinazione dirigenziale del 10 giugno 2004, n. 315, i medesimi avrebbero, altresì, proposto ricorso al TAR, che avrebbe accolto l’istanza incidentale di sospensione di tale determinazione, con provvedimento confermato in appello.

3.2. La censura è infondata.

3.2.1. La sentenza impugnata, contrariamente all’assunto degli istanti, ha, invero, specificamente trattato – e con adeguata motivazione – la questione in esame (p. 6), avendo escluso qualsiasi rilievo nel presente giudizio – avente ad oggetto “l’accertamento della legittimità, o meno, dell’occupazione dell’appartamento de quo da parte dei D.T.”, attraverso la verifica degli eventuali “titoli giustificativi” della stessa – alla diversa vicenda, costituente oggetto di “un parallelo giudizio amministrativo”, relativa all'”opzione residenziale” fatta valere in quella sede dai D.T., al fine di ottenere l’acquisto del bene “a prezzo di favore”.

3.2.2 Ne discende che la censura non può che essere rigettata.

4. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, facendo applicazione del seguente principio di diritto: “il procuratore generale “ad negotia”, cui siano conferiti anche poteri di rappresentanza processuale, diviene titolare di una legittimazione processuale non esclusiva rispetto a quella originaria del rappresentato, il quale può subentrargli e sostituirlo in qualunque momento del processo, non escluso quello iniziale del grado, senza che l’avvenuto conferimento di mandato al difensore, ad opera del rappresentante, comporti la necessità che questi appaia come sola parte legittimata quanto meno nell’atto introduttivo del giudizio o del grado, con possibilità di sostituzione soltanto successiva”.

5. Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo e terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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