Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14891 del 13/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 13/07/2020), n.14891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23432/2014 proposto da:

A.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

TRASTEVERE 259, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI BARTOLI,

che a rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO BENIFEI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, CARLA

D’ALOISIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 197/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 10/05/2014 r.g.n. 111/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BARTOLI PIER LUIGI;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 10 maggio 2014, in accoglimento del gravame svolto dall’INPS ha respinto le opposizioni ad avviso di addebito per il recupero della contribuzione commercianti in riferimento all’anno 2005 nei confronti di A.N., socia accomandataria della s.a.s. L’Avvisatore Marittimo del Porto della Spezia, di A.N. & C.

2. Il giudice di primo grado aveva ritenuto insussistente il debito perchè l’attività svolta dalla società non rientrava tra quelle censite sulla base dei codici Istat-Ateco.

3. Il gravame dell’ente previdenziale, incentrato sull’irrilevanza dei codici Ateco e sull’applicazione delle qualificazioni proprie della L. n. 88 del 1989, art. 49, da cui far derivare la natura commerciale dell’attività svolta dall’avvisatore marittimo, è stato accolto dalla Corte territoriale che ha ritenuto i codici ISTAT, identificativi dell’attività svolta (c.d. codici Ateco), di rilievo essenzialmente statistico e con funzionalità amministrativa, ed ha escluso l’esonero dall’obbligazione contributiva sulla base della mera difficoltà, opposta dalla debitrice, di reperire i codici per l’inquadramento dell’attività svolta.

4. La Corte di merito, richiamato il disposto della L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 1, lett. d) e l’interpretazione datane dalla giurisprudenza – nel senso della qualificazione come commerciali delle attività del terziario e consistenti nella prestazione di servizi, purchè non di ausilio a determinate imprese industriali – riconosceva l’obbligo di iscrizione del socio amministratore alla gestione commercianti per essere risultata incontestata l’attività imprenditoriale, in via autonoma, di prestazione di servizi ad una serie indeterminata di soggetti interessati al settore marittimo e al porto della Spezia, svolta dall’Avvisatore Marittimo e consistente nella raccolta e registrazione di dati relativi ai servizi ed alle attività del porto della Spezia, con ascolto di trasmissioni radiofoniche inerenti al medesimo porto e nella comunicazione a terzi di tali dati, a titolo oneroso a privati e a titolo gratuito a soggetti pubblici.

5. Infine, per la Corte di merito non risultava neanche dedotto che l’applicazione del codice ATECO, asseritamente inadeguato, avesse comportato l’applicazione di un regime previdenziale incongruo rispetto all’affermata natura commerciale dell’attività d’impresa o un aggravio dell’aliquota contributiva dovuta.

6. Avverso tale sentenza ricorre A.N., con ricorso affidato ad un motivo, cui resiste, con controricorso, l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Con il motivo di ricorso, deducendo violazione della L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 1, lett. d), la ricorrente censura la qualificazione data dalla sentenza impugnata all’attività svolta dalla società e assume che i compiti dell’avvisatore marittimo sono molto simili all’attività svolta dalle agenzie di stampa e affini ai servizi di informazione tramite stampa, per cui esulano dal novero delle attività del settore terziario, anche in via residuale come prestazione di servizi a terzi.

8. Il ricorso è da rigettare.

9. Come rilevato in numerosi precedenti di questa Corte (v., fra gli altri, Cass. n. 21138 del 2008), la L. n. 88 del 1989, ha avuto, tra l’altro, come scopo quello di attribuire all’INPS un ampio potere classificatorio delle imprese e dei datori di lavoro – da valere “a tutti i fini previdenziali ed assistenziali” – sulla base di criteri ben individuati, al fine di introdurre un nuovo e più moderno sistema classificatorio delle attività datoriali capace, da un lato, di sostituire il riferimento al precedente art. 2135 c.c., reputato non più idoneo ad inquadrare realtà imprenditoriali nuove e maggiormente articolate, e dall’altro di assumere una valenza generale per fornire una collocazione delle diverse imprese valida per tutti i fini previdenziali, con l’abbandono di un assetto ordinamentale che presentava l’inconveniente di apprestare criteri di inquadramento delle imprese tra loro divergenti, a seconda della natura dei singoli contributi da versare ai diversi enti assicurativi.

10. La citata L. n. 88, art. 49, ha introdotto criteri classificatori distinti e ben specificati per comparti (industria, artigianato, agricoltura, terziario, credito; assicurazione e tributi) ed ha ricompreso le attività di produzioni di servizi nel settore terziario.

11. Pertanto, alla stregua della lett. d) della citata disposizione, sono classificabili nel settore terziario le attività commerciali, ivi comprese quelle turistiche, le attività di produzione, intermediazione e prestazione di servizi anche finanziari, e le attività professionali ed artistiche nonchè le relative attività ausiliarie.

12. La portata onnicomprensiva della disposizione risulta dall’introduzione di un settore aggiuntivo – le “attività varie” – nel quale sono stati inclusi gli organismi esponenziali di interessi categoriali, collettivi o diffusi, e gli enti che perseguono scopi non riconducibili a quelli economico-produttivi o che, per qualsiasi altra ragione, mal si adeguano ad essere inquadrati nei precedenti settori (v. Cass. n. 21138 del 2008 e successive conformi, in riferimento all’attività di investigatore privato).

13. Nel settore terziario confluiscono, oltre alle tradizionali attività del commercio, del turismo, dei pubblici esercizi, dei professionisti e degli artisti, tutte le attività di produzione e prestazione dei servizi alle imprese e di intermediazione nella produzione e prestazione dei servizi stessi, sicchè per effetto di tale definizione di settore sono ora ricomprese nel terziario attività che, prima dell’entrata in vigore della L. n. 88 del 1989, venivano normalmente attribuite all’industria (quali le attività di leasing, factoring, marketing, organizzazione e consulenza aziendale, servizi di pulizia di uffici e stabilimenti, servizi di nettezza urbana e similari, stabilimenti idropinici e idrotermali, case di cura e istituti di vigilanza).

14. D’altro canto, dalla menzionata disposizione – L. n. 88 del 1989, art. 49, lett. d) – emerge la volontà del legislatore di equiparare ed assimilare le attività commerciali, comprese quelle di prestazione di servizi, alle “attività professionali ed artistiche” al fine di assicurare, anche a queste ultime attività, un’analoga tutela previdenziale, e del pari l’intento di differenziare la posizione di coloro che prestano un servizio, sia pure di natura professionale, dai professionisti in senso stretto (quali, ad esempio, gli avvocati), non bisognosi di alcuna tutela perchè già iscritti ad un albo e ad una cassa previdenziale (v., fra le altre, Cass. n. 669 del 2018).

15. Da tali premesse discende l’infondatezza della tesi patrocinata dalla ricorrente e incentrata sull’equiparazione, ai fini previdenziali, dell’attività di avvisatore marittimo all’attività svolta dalle agenzie di stampe e da un giornalista, tesi non calzante perchè l’accostamento involge professioni intellettuali per le quali è necessaria ex art. 2229 c.c., l’iscrizione in appositi albi ed elenchi.

16. E’ pur vero che nel nostro ordinamento è con frequenza riscontrabile la classificazione di una stessa attività lavorativa in forme divergenti a seconda delle differenziate finalità cui è preordinata la classificazione stessa; tuttavia quel che conta, nella specie, è l’innegabile distinzione sul piano qualificatorio e del contenuto delle prestazioni – tra professioni intellettuali che richiedono, ex art. 2229 c.c., l’iscrizione in appositi albi ed elenchi e quella di avvisatore marittimo che presta i servizi a favore di quanti (imprese o soggetti pubblici e privati) abbiano necessità di acquisire il compendio di notizie o informazioni riferite alle operazioni dell’area portuale.

17. L’onnicomprensività del settore terziario, in cui confluiscono, come detto, oltre alle tradizionali attività del commercio, del turismo, dei pubblici esercizi, dei professionisti e degli artisti, tutte le attività di produzione e prestazione dei servizi alle imprese e di intermediazione nella produzione e prestazione dei servizi stessi, induce ad includervi l’attività svolta dall’avvisatore marittimo.

18. Tale classificazione si appalesa anche coerente con l’esclusione dell’attività di avvisatore marittimo dal novero e dal perimetro definito dalla legislazione in materia portuale (L. n. 84 del 1994) e dei servizi di interesse generale, di polizia e sicurezza, tecnico-nautici nell’ambito delle operazioni portuali (carico, scarico, trasbordo, deposito, ecc.) e dei servizi portuali (prestazioni complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali), trattandosi di mera attività svolta in regime di autorizzazione, alla stregua del codice della navigazione (art. 68 c.n.), a livello locale, con provvedimento della Capitaneria di Porto e sottoposta a vigilanza (v., fra le altre, TAR Firenze n. 1294 del 2018 e TAR Lecce n. 962 del 2018).

19. Del resto, l’attività di avvisatore marittimo non è svolta all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, aperta a tutti gli operatori economici interessati allo svolgimento della medesima attività, e l’obbligatorietà del relativo servizio è stata esclusa dalla giurisprudenza amministrativa proprio per la natura commerciale connaturata all’attività svolta, sia pure preordinata ad implementare il livello di sicurezza delle operazioni svolte in ambito portuale (v. la giurisprudenza amministrativa già citata nel paragrafo che precede).

20. Inoltre per l’attività svolta l’avvisatore marittimo è retribuito dagli utenti dei servizi prestati (sintetizzabili in attività di raccolta, elaborazione e certificazione di informazioni) e agisce in regime di monopolio, giacchè per i servizi prestati (informazioni univoche certificate con obbligo di porle a disposizione della pubblica amministrazione) è esclusa la coesistenza di più avvisatori marittimi che forniscano il medesimo servizio in concorrenza proprio perchè, come spiegato, il compito di avvisatore marittimo in un porto non viene assegnato tramite gara.

21. In conclusione, la Corte territoriale ha correttamente ricompreso l’attività dell’avvisatore marittimo tra le attività di intermediazione e prestazione di servizi nell’ambito della tutela previdenziale obbligatoria apprestata della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202, con obbligo di iscrizione alla Gestione commercianti; la sentenza impugnata è, pertanto, immune da censure.

22. Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.

23. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

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