Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14891 del 06/07/2011

Cassazione civile sez. II, 06/07/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 06/07/2011), n.14891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25493/2005 proposto da:

B.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI

Andrea, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SALVALAGGIO CATIA;

– ricorrente –

contro

B.O., B.P.E., BR.OL.,

B.R., M.E. ved. B., B.

M.;

– intimati –

sul ricorso 29594/2005 proposto da:

M.E. VED. B. (OMISSIS), B.

O. (OMISSIS), B.P.E.

(OMISSIS), BR.OL. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso

lo studio dell’avvocato TAMPONI MICHELE, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CHIARAVALLE GIORGIO, GARBAGNATI LUIGI;

– controricorrenti e ric. incidentali –

contro

B.M., B.R., B.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2225/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato SALVATORE DI MATTIA con delega dell’Avvocato ANDREA

MANZI difensore del ricorrente che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato MICHELE TAMPONI difensore dei controricorrenti e

ricorrenti incidentali che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1) B.E. nel 1987 vendeva ai figli O. e A. la quota dei sette decimi dei beni oggetto di una scrittura contenente una promessa di divisione, redatta nel gennaio 1986, beni di cui i restanti tre decimi erano di proprietà dei tre figli O., A. e P..

Nell’ottobre 1988 B.P. conveniva in giudizio il padre e i fratelli, per ottenere la declaratoria di nullità, illegittimità, inefficacia, o in subordine simulazione, dell’atto di vendita.

I convenuti in via riconvenzionale chiedevano la risoluzione dell’accordo divisionale, per inadempimento di P..

Deceduti E. e A., e ricostituito il contraddittorio con gli eredi, con altra causa instaurata nel 1993 B.P. chiedeva che, previa declaratoria di simulazione e collazione dei beni, fosse determinata la quota di sua spettanza con la condanna dei convenuti a rendere il conto dei beni goduti dopo la morte di E..

I convenuti domandavano il rilascio dei beni ereditari loro spettanti.

Il tribunale di Busto Arsizio rigettava le domande dell’attore e accoglieva, tra le domande riconvenzionali, la domanda di rilascio per la quota eccedente la proprietà di B.P..

Questi interponeva appello, che veniva respinto il 23 luglio 2004 dalla Corte di Milano, la quale rigettava anche l’appello incidentale relativo al pagamento del dovuto per la detenzione dei beni ereditari poi rilasciati.

La Corte riguardo alla domanda di nullità, illegittimità, inefficacia dell’atto di vendita, basata sull’assunto che esso sarebbe stato lesivo dei diritti del concludente già acquisiti con la promessa di divisione, la respingeva, perchè l’eventuale inadempimento all’accordo iniziale avrebbe potuto dar luogo ad azione ex art. 2932 c.c., o a domanda di risoluzione o di risarcimento, ma non alle domande formulate.

Aggiungeva che l’avvenuta alienazione dei beni oggetto del preliminare impediva comunque l’azione ex art. 2932 c.c., peraltro svolta in subordine alla domanda di simulazione.

B.P. ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione, notificato il 12 ottobre 2005.

R. e B.M. sono rimaste intimate.

B.O., P.E., Ol. e M.E. hanno resistito con controricorso. Hanno svolto ricorso incidentale relativamente al risarcimento danni da abusiva occupazione.

E’ stata depositata memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE I ricorsi devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c..

2) I primi due motivi di ricorso riguardano rispettivamente l’azione per l’esecuzione coattiva del contratto (trasferimento ex art. 2932 c.c.) e la violazione dell’art. 1415 c.c..

Il ricorrente sostiene che la prima azione era esperibile, perchè egli aveva avviato anche la domanda di simulazione assoluta della vendita, che avrebbe consentito in seconda battuta di dar spazio al trasferimento ex art. 2932 c.c..

Aggiunge, con il secondo motivo, che la Corte di appello avrebbe errato ad attribuirgli legittimazione ad agire soltanto dopo la morte del padre, giacchè delle tre domande di simulazione proposte, almeno una prescindeva dall’acquisto della qualità di erede, perchè mirava a far valere diritti nascenti dal “contratto preliminare di divisione” e non dall’eredità paterna.

Entrambi i motivi sono logicamente subordinati all’esito del terzo, relativo alla simulazione, il quale presenta due profili:

a) vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5; b) falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c..

3) La Corte d’ appello ha rigettato la domanda di simulazione osservando che la prova della stessa era carente.

A tal fine ha rilevato che il pagamento di L. 230 milioni era attestato nell’atto notarile; che di scarso rilievo era la circostanza che la firma di girata su tre dei tredici assegni utilizzati non fosse di pugno di B.E.; che anche gli altri elementi addotti non assumevano quel carattere di gravità e concordanza che avrebbe potuto giustificare la pretesa.

Il motivo di ricorso rileva fondatamente (cfr. Cass. 5013/96) che l’attestazione notarile dell’avvenuto versamento degli assegni non doveva essere impugnata con querela di falso per poter dimostrare la non veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti in ordine ai pagamenti (4865/98). Tale circostanza tuttavia lascia sussistere la presunzione, posta dall’avvenuto rilascio dell’assegno, attestato dal pubblico ufficiale, circa la dazione di danaro al venditore.

Per inficiare tale assunto, parte ricorrente doveva dimostrare che il pagamento era simulato, ma la Corte – con coerente e logica motivazione – ha negato che vi fossero sufficienti elementi presuntivi.

In proposito il ricorso allega che la falsità della sottoscrizione è stata dimostrata per tre soli assegni, perchè gli altri sarebbero stati distrutti, circostanza che non risulta dalla sentenza e di cui il ricorso tace la provenienza, poichè non indica la relativa fonte probatoria.

Resta parimenti confinata al rango di illazione priva di conducenza, la tesi secondo cui sarebbe inverosimile che B.E., presente alla vendita, avrebbe ricevuto gli assegni e li avrebbe passati ad un terzo (che li avrebbe incassati con falsa firma) senza neanche girarli.

La Corte d’appello ha anche rilevato che il carattere fittizio del pagamento non è desumibile dalla mancanza dei relativi versamenti sul conto corrente del de cuius indicato dall’appellante oggi ricorrente, perchè il venditore potrebbe aver avuto altro conto corrente o speso l’intera somma nel lungo lasso di tempo intercorso tra la vendita e la morte.

Anche questa logica affermazione è censurata da una mera ipotesi contraria, formulata in sede di legittimità e non supportata da indicazioni circa verifiche istruttorie emerse nei gradi di merito:

vi si dice che le ricerche eseguite dal ricorrente P. presso altri istituti di credito avrebbero escluso l’esistenza di ulteriori conti correnti, dei quali non sarebbe emersa traccia neppure nella documentazione relitta dal de cuius. Nè vi sarebbe altra traccia dell’operazione bancaria di deposito degli assegni. Trattasi, come detto, di affermazioni prive di elementi di riscontro che si possano considerare trascurati dalla Corte di appello.

Senza alcun rilievo è anche la contestazione concernente la discrepanza tra prezzo dichiarato e valore reale dei beni, giustificato dalla Corte d’appello con il fatto che parte del prezzo era stato concordato in una rendita vitalizia a favore del de cuius e, in caso di sopravvivenza, della di lui moglie D.V. N..

Anche questa giustificazione è corretta sotto il profilo logico e intrinsecamente coerente con il rapporto di parentela esistente tra le parti contrattuali.

Secondo parte ricorrente il prezzo indicato sarebbe stato comunque vile (380 milioni in luogo di una stima di L. 717 milioni), indicato nel minimo possibile per evitare accertamenti fiscali e differito nel tempo senza “previsione alcuna di garanzia”. Questi rilievi, ancora una volta dedotti in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e senza neppure indicare specificamente come e quando la fonte istruttoria fosse emersa nel grado di merito, non risultano decisivi per rendere insufficiente o illogica la motivazione.

Invero il rapporto di parentela rendeva plausibile una pattuizione di prezzo ridotto (sconto), che non va confusa con la simulazione;

inoltre l’aleatorietà della rendita vitalizia poteva esporre gli acquirenti a un’obbligazione maggiore di quella dedotta in contratto.

Nè si deve trascurare che ove le parti contraenti avessero voluto occultare una simulazione, assoluta o relativa, avrebbero avuto interesse a indicare un prezzo tale da non prestare il fianco ai sospetti e alle azioni del congiunto, sicchè l’indicazione di prezzo risultante dagli atti di compravendita non assume rilievo univoco nel senso voluto dal ricorrente.

3.1) Discende da ciò il rigetto del terzo motivo, che, per quanto osservato sub 1), comporta l’assorbimento dei primi due, con conseguente reiezione del ricorso principale.

4) Il ricorso incidentale dei signori B.O., P. E., Ol. e M.E. ved. B. denuncia violazione dell’art. 1226 c.c., in relazione alla mancata condanna dell’attore al pagamento di una indennità di occupazione per la detenzione illegittima di immobili.

Il ricorso è inammissibilmente formulato perchè si risolve nella richiesta di un terzo giudizio di merito, rivolta alla Corte di Cassazione, che è soltanto giudice della violazione di legge e controllore della logicità e congruità della motivazione. I ricorrenti sostengono infatti che gli elementi per determinare tale indennità erano presenti in atti, che i testi escussi avrebbero dato indicazione sulle “p.m.” godute; che sarebbe stata giustificata una liquidazione equitativa.

La palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, perpetrata omettendo di riportare testualmente e integralmente le risultanze asseritamente non valutate o mal valutate dalla Corte di merito esime dal diffondersi in ulteriori rilievi circa la formulazione inammissibile della censura.

La reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri. Dichiara inammissibile l’incidentale. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2011

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