Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14890 del 15/06/2017

Cassazione civile, sez. I, 15/06/2017, (ud. 05/04/2017, dep.15/06/2017),  n. 14890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24406/2012 proposto da:

G.E., (c.f. (OMISSIS)), G.G.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via Principessa Clotilde n. 7,

presso lo Studio Tonucci & Partners, rappresentati e difesi

dagli avvocati Altieri Giorgio e Campagni Franco Bruno, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Sesto Fiorentino;

– intimato –

e contro

Comune di Sesto Fiorentino, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n.18,

presso il dott. Grez Gian Marco, rappresentato e difeso

dall’avvocato Pecchioli Paolo, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.E. (c.f. (OMISSIS)), G.G., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Principessa Clotilde n.7, presso lo Studio

Tonucci & Partners, rappresentati e difesi dagli avvocati

Altieri Giorgio e Campagni Franco Bruno, giusta procura a margine

del ricorso principale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1185/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO

Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione

del ricorso incidentale (con riferimento al primo motivo) ed

accoglimento per quanto di ragione del principale (con riferimento

al secondo motivo); assorbimento resto;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Franco Bruno Campagni che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale; rigetto

dell’incidentale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

Laura Marras, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale, l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Sesto Fiorentino conveniva in giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Firenze G. ed G.E., proponendo opposizione avverso la determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione di un terreno di proprietà dei convenuti, disposta con decreto del 14.2.2007, per la realizzazione di un impianto sportivo. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte adita, nel contradditorio dei proprietari, che proponevano domanda riconvenzionale per l’aumento del dovuto, determinava l’indennità in relazione del valore di mercato, quale determinato, nel supplemento di CTU, sulla scorta del metodo sintetico comparativo riferito ad una transazione stipulata dagli stessi G. con un comune viciniore, per l’espropriazione di un’area destinata alla realizzazione di un campo sportivo, ridotto del 25% in considerazione del minor indice di fabbricabilità consentito nel Comune espropriante. La Corte ordinava il deposito dell’indennità, al netto di quanto già versato, con gli interessi legali dalla data del decreto di espropriazione ed esclusa la rivalutazione monetaria, e condannava il Comune al pagamento delle spese di lite.

Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso in via principale G. ed G.E., affidato a cinque articolati motivi, ed, in via incidentale, il Comune di Sesto Fiorentino con tre motivi, resistiti con controricorso dai G.. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, deducendo violazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 112 c.p.c., TU n. 327 del 2001, art. 37 e del D.M. n. 1444 del 1968, art. 3, comma 2, lett. c) e d), oltre che vizio di motivazione, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale ha omesso di statuire sulla domanda da loro proposta in via riconvenzionale, non avendo tenuto conto del carattere edificatorio del fondo, nè considerato che la nozione di edificabilità non può identificarsi in quella residenziale abitativa, e che gli spazi a standards, di cui al D.M. n. 1444 del 1968, possono incidere sulle possibilità di concreto sfruttamento edilizio. I giudici d’appello, proseguono i ricorrenti, avrebbero, perciò dovuto determinare l’indennità, secondo le originarie valutazioni del CTU, relative al valore edificatorio del fondo.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 37 TU sulle espropriazioni e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale recepito la determinazione del valore, operata nel supplemento di CTU, sulla scorta di un’erronea applicazione del metodo sintetico comparativo riferito ad un valore unitario (Euro 45/mq) ritenuto conveniente da diverso Comune per definire in via stragiudiziale altra controversia, e per averlo, inoltre, abbattuto del 25%.

3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonchè dell’art. 37, comma 2 TU sulle espropriazioni e vizio di motivazione, per non avere la Corte fiorentina disposto l’aumento dell’indennità del 10%, che era dovuto, in quanto quella offerta, pari ad Euro 4,00/mq. era inferiore agli otto decimi rispetto a quella determinata in giudizio, pari ad Euro 33,75.

4. Col primo motivo del ricorso incidentale, il Comune deduce, per converso, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 40 per avere la Corte territoriale determinato l’indennità, tenendo conto delle possibilità edificatorie dell’area espropriata, connesse al vincolo espropriativo relativo alla progettazione dell’impianto sportivo, laddove l’area doveva essere indennizzata in base ai valori agricoli di mercato riferiti alla sua effettiva coltivazione a seminativo.

5. Col secondo motivo del ricorso incidentale, l’Ente deduce che, nell’equiparare l’area espropriata a quella del vicino Comune di Calenzano, la Corte è incorsa nella violazione dei canoni esegetici nell’interpretazione la disposizione del regolamento di detto Comune, ed in ispecie, nel rapportare la percentuale del 20% di copertura massima ai 3/4 del comparto, invece che all’intera zona a verde sportivo.

6. I motivi, che vanno valutati congiuntamente, perchè dibattono, da opposte prospettive, sulla questione della natura edificatoria del suolo e sulle possibilità della valutazione di utilizzi intermedi per le aree che tale natura non abbiano, vanno tutti rigettati, anche se va, in parte, corretta la motivazione.

7. Occorre rilevare che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, emessa a completamento del processo di conformazione del diritto interno ai principi posti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il sistema indennitario è, ormai, svincolato dal sistema delle formule mediane (dichiarato incostituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007) e dei parametri tabellari, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 4, della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6, e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, commi 2 e 3, (oggetto della menzionata sentenza n. 181), e risulta, invece, agganciato al valore venale del bene. Il serio ristoro che l’art. 42 Cost., comma 3, riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d’interesse generale, si identifica, dunque, con il giusto prezzo nella libera contrattazione di compravendita, posto che la dichiarazione d’incostituzionalità dei menzionati criteri ha fatto rivivere il criterio base di indennizzo, posto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39 riconosciuto applicabile ai casi già soggetti al pregresso regime riduttivo (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014), ed ora sancito dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40 e art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90.

8. Tanto non comporta che sia venuta meno la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare. E l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo: quello dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37. In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. n. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; S.U. n. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009), soggetta al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass. n. 11503/2014; 665/2010; 400/2010; 21396/2009; 21095/2009; 17995/2009).

9. Ai fini dell’anzidetta ricognizione legale va tenuto conto del vincolo conformativo insistente nell’area, e non di quello espropriativo, e la relativa individuazione va operata in relazione agli effetti dell’atto di pianificazione: ove esso miri ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area.

10. A tanto, va aggiunto che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. funditus Cass. n. 3620 del 2016) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato n. 1669 del 2015; n. 2118 del 2012) ha affermato, in conformità del principio enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 179/1999, che fuoriescono dall’anzidetta dicotomia, e comunque non appartengono sicuramente alla categoria dei vincoli espropriativi, tutti quei vincoli che non si risolvono nemmeno in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione dei previsti interventi anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, e quindi senza necessità di previa espropriazione del bene (cfr. Corte Cost. n. 179 del 1999). In particolare, se le scelte di politica programmatoria ritengono opportuno che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnata da strumenti di convenzionamento – viene meno la stessa necessità di una futura (ma incerta) espropriazione: ferma rimanendo, anche in tal caso, la destinazione pubblicistica della zona e quindi la natura inedificabile di tutte le aree in essa comprese (Cass. n. 3620 del 2016 cit. e giurisprudenza ivi richiamata).

11. Nella specie, come si legge nell’impugnata sentenza e non è contestato dalle parti, i suoli (f. (OMISSIS), per mq. 190, e (OMISSIS), per mq. 13900) erano già destinati a verde attrezzato in seno alla variante del PRG del 1996, (ad eccezione di circa mq. 350 destinati a parcheggio pubblico), e tale destinazione è stata successivamente mantenuta nel Piano strutturale del 10.7.2003, nel relativo regolamento del 22.11.2005, e quindi recepita nel PRG del 24.1.2006, in seguito al quale l’area è stata espropriata per la realizzazione dell’impianto sportivo di (OMISSIS).

12. Se, alla stregua del principio espresso al precedente p. 10, la natura espropriativa del vincolo del PRG del 2006 affermata dalla Corte territoriale è giuridicamente erronea (la questione sarebbe, peraltro, irrilevante: a voler considerare lenticolare la localizzazione dell’impianto verrebbe in rilievo a fini indennitari la pregressa, medesima, destinazione urbanistica), va riaffermata la natura non edificatoria dell’area, anche alla luce della giurisprudenza citata dai ricorrenti – che ne trascrivono solo le parti a loro favorevoli -, dovendo, tuttavia, contrariamente a quanto postulato dal Comune, tenersi conto a fini indennitari delle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

12. A tali principi si è attenuta l’impugnata sentenza, che, nell’accogliere, sebbene in misura inferiore rispetto a quella sperata, la domanda riconvenzionale degli espropriati (il che esclude la violazione dell’art. 112 c.p.c. di cui al primo motivo), ha considerato il valore di mercato del suolo, a destinazione non edificatoria, sulla base di valutazioni di merito incensurabili in questa sede di legittimità, ed alla cui rivisitazione tendono sia, sotto le mentite spoglie della violazione di canoni ermeneutici, il secondo motivo del ricorso incidentale (peraltro rinunciato in seno alla memoria), sia le censure motivazionali contenute nel ricorso principale; dovendo, ad abundantiam, aggiungersi che il termine di comparazione utilizzato dalla Corte è la transazione stipulata dagli espropriati e non già la consulenza tecnica redatta nel giudizio transatto, e che la riduzione del valore venale unitario del suolo, rispetto a quello utilizzato in comparazione, è adeguatamente giustificata con la ridotta volumetria.

13. In relazione al terzo motivo, l’omessa pronuncia relativa alla domanda volta al riconoscimento dell’aumento del 10% è in effetti sussistente (in tesi, l’incremento deve trovare automatica applicazione da parte del giudice quando emerga ex actis la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma), ma tanto non giova ai ricorrenti, dovendo, piuttosto, farsi ricorso al principio, secondo cui, una volta verificata l’omessa pronuncia, la Corte di cassazione, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere il motivo o la causa nel merito, quando vengano in rilievo questioni di diritto che non richiedano ulteriori accertamenti di fatto e che siano infondate (cfr. Cass. SU 02/02/2017 n. 2732 e sentenze ivi richiamate).

14. Il caso ricorre nella specie: la disposizione invocata, contenuta nell’art. 37, comma 2 TU, non viene, infatti, in rilievo in quanto la norma disciplina l’indennità per le aree edificabili, e quella espropriata, come si è detto, tale carattere non ha.

15. Col quarto motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 1282 c.c., oltre che vizio di motivazione, per avere la Corte d’Appello ordinato il deposito degli interessi sulle somme ancora da depositare invece che sull’intera indennità, ed evidenziano che gli acconti non sono mai stati loro versati, nonostante il disposto dell’art. 28 del TU sulle espropriazioni.

16. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Ed, infatti, il tempestivo deposito presso la Cassa depositi e prestiti dell’indennità amministrativamente liquidata produce effetti liberatori per l’espropriante dalla data del deposito stesso, decorrendo su tale somma, in favore dell’espropriato, gli interessi previsti dall’ordinamento della Cassa, con esclusione della possibilità che sulla medesima somma vengano liquidati ulteriori interessi in sede di determinazione giudiziale della predetta indennità. Pertanto nell’ipotesi, qui ricorrente, in cui all’esito del giudizio venga riconosciuta all’espropriato una somma maggiore, gli interessi devono essere corrisposti solo sulla differenza tra la somma liquidata e quella già depositata (Cass. 28/01/2005 n. 1823). Il richiamo al D.P.R. n. 327, art. 28 non è pertinente, dato che la disposizione regola il pagamento dell’indennità che sia divenuta definitiva, mentre nel caso in esame l’indennità determinata in sede amministrativa è stata oggetto d’opposizione da parte del Comune, ed in giudizio è stata contestata dagli espropriati.

17. Il profilo di doglianza con cui si deduce il vizio di motivazione è inammissibile, perchè riferito a profili di diritto (spettanza o meno degli interessi sulle somme originariamente depositate).

18. Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 1224 c.c., per non avere la Corte provveduto alla rivalutazione dell’indennità, sulla scorta di motivazione incongrua, ed invocano a tal fine il principio affermato da Cass. SU n. 23399 del 2008, che riconosce in via presuntiva il danno nella differenza, nella specie notoriamente esistente, tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di stato con scadenza non superiore a dodici mesi e gli interessi legali.

19. Il motivo è infondato, anche se va integrata la motivazione. Premesso che, nel riferirsi all’andamento stazionario del mercato immobiliare, la Corte territoriale ha sostanzialmente inteso affermare la perdurante validità dei valori – mutuati dalla transazione del 2010 – alla data di riferimento della stima (decreto del 14.2.2007), va osservato che è costante nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui l’indennità di espropriazione, in quanto espressa ab origine in valori monetari, ha natura di valuta (cfr. Cass. n. 17786 del 2015; 22923 del 2103; 3738 del 2012; 13456 del 2011; 719 del 2011), natura che non muta per il fatto che i criteri della sua determinazione vadano riferiti al valore del bene al tempo del provvedimento ablativo, in quanto, una volta che sia stato accertato, tale valore costituisce il ristoro, ormai in numerarlo, di cui all’art. 42 Cost., che si sostituisce al diritto reale.

20. Se, dunque, la rivalutazione monetaria non costituisce una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta (cfr. Cass. SU n. 5743 del 2015), la doglianza non può essere accolta neppure in riferimento al principio affermato da Cass. SU 19499 del 2008. Infatti, tale sentenza (e la giurisprudenza successiva) riconosce in favore di qualunque creditore, senza necessità di inquadrarlo in una apposita categoria (irrilevanti essendo, quindi, le asserite allegazioni di fatti che proverebbero le qualità di investitori o imprenditori dei ricorrenti), una presunzione che riguarda, bensì, l’esistenza e l’entità del danno -in misura pari alla differenza tra tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e saggio degli interessi legali – ma non copre, ovviamente, il relativo presupposto e cioè la sussistenza di una reale differenza tra rendimento e saggio durante la mora. E tale differenza, nella specie) non è stata neppure allegata, non potendo, di certo, essere al riguardo direttamente invocato, in questa sede di legittimità, il fatto notorio, in quanto lo stesso, secondo la definizione desumibile dall’art. 115 c.p.c., comma 2, vale ad individuare le premesse fattuali che possono assumersi per vere anche in mancanza di prova, e, dunque, attiene al giudizio di fatto (Cass. n. 5089 del 2016).

21. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, il Comune lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte posto a suo carico le spese di lite, senza considerare che gli espropriati erano rimasti soccombenti rispetto alle maggiori pretese, sicchè sussisteva la soccombenza reciproca e senza addurre alcuna motivazione al riguardo.

22. Il motivo è infondato. Se è vero, infatti, che in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda, e di una soccombenza per la parte di domanda rigettata, può ravvisarsi una parziale soccombenza reciproca, tanto non imponeva, tuttavia, alla Corte di provvedere alla compensazione totale o parziale delle spese, che sono state regolate in base al criterio della soccombenza entro il limite di valore della domanda accolta. La valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite rientra, infatti, nel potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, tenuto conto che, nel regime qui applicabile, derivante dalla modifica di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), l’obbligo della motivazione è stato previsto per il diverso caso in cui si sia optato per la compensazione.

23. I ricorsi vanno entrambi respinti, ed, in considerazione della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti.

PQM

 

Rigetta i ricorsi e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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