Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14890 del 13/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 13/07/2020), n.14890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18070/2014 proposto da:

P.A., P.G., P.C.I., nella

qualità di eredi di L.G., domiciliati in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO NATALE;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 30/01/2014 r.g.n. 596/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASSA MANUELA per delega verbale Avvocato CAPANNOLO

EMANUELA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L.G., titolare di pensione diretta integrata al trattamento minimo con decorrenza 1 ottobre 1970 e di pensione di reversibilità con decorrenza 1 marzo 1975, chiedeva accertare e dichiarare il diritto ai benefici previsti dalla L. n. 153 del 1969, art. 19, con il ricalcolo, a decorrere dal 1 gennaio 1976, della pensione di reversibilità in godimento mediante la perequazione automatica delle percentuali previste per le pensioni integrate al trattamento minimo, negato dall’INPS in esito a domanda amministrativa del 15 ottobre 2009.

2. Il primo giudice ha dichiarato la nullità del ricorso per indeterminatezza.

3. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 30 gennaio 2014, pur rimarcando la confusa esposizione delle ragioni in diritto, ha rigettato il gravame svolto dalla L., correggendo la motivazione del primo giudice e ritenendo infondata la pretesa sul presupposto del godimento di un trattamento pensionistico (la pensione diretta) già integrato al trattamento minimo.

4. Avverso tale sentenza ricorrono P.A. ed altri litisconsorti, in qualità di eredi di L.G., con ricorso affidato a quattro motivi cui resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con i motivi di ricorso si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e mancata applicazione dell’art. 132 c.p.c., punto 4, per non avere la Corte territoriale pronunciato sulla domanda con la quale la dante causa aveva chiesto l’applicazione della perequazione automatica della pensione di reversibilità, prevista per i trattamenti minimi del fondo pensione lavoratori dipendenti, dalla decorrenza originaria della pensione indiretta, rideterminata ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993, a seguito della revoca del trattamento minimo. I ricorrenti assumono che il riferimento alle due pensioni godute, in forza del quale la Corte territoriale ha affermato il divieto di doppia integrazione, è avulso dal contesto della controversia (motivi primo e secondo), per avere i giudici del merito ignorato che, dato atto nel ricorso introduttivo dell’applicazione del dispositivo della sentenza della Corte Cost. n. 495 del 1993 secondo le modalità previste dalla L. n. 662 del 1996, la richiesta atteneva all’operazione di calcolo (il 60 per cento del maturato economico che il dante causa della L. percepiva alla data di morte, comprensivo del trattamento minimo) da effettuare dalla decorrenza originaria della pensione del coniuge della L., per poi applicare, su tale importo, a decorrere dal primo giorno dell’anno successivo alla decorrenza (il 1 gennaio 1976), i coefficienti di perequazione previsti per le pensioni da integrare al trattamento minimo a seguito della revoca di tale beneficio, in precedenza concesso in applicazione di Corte Cost. n. 314 del 1985 e cristallizzato nell’importo maturato al 30.9.1983 in applicazione di Corte Cost. n. 240 del 1994 (terzo motivo); infine, denunciano errata interpretazione e applicazione del D.L. n. 368 del 1983, art. 6, comma 6, perchè la pensione di reversibilità avrebbe dovuto essere ricalcolata dalla decorrenza originaria, con gli aumenti di perequazione dei coefficienti previsti per le pensioni integrate al trattamento minimo e chiedono, in conclusione, accertarsi il diritto alla ricostituzione della pensione di reversibilità che avrebbe dovuto essere ricalcolata dalla decorrenza originaria con gli aumenti di perequazione dei coefficienti previsti per le pensioni integrate al trattamento minimo.

6. Il ricorso è da rigettare.

7. I primi due motivi sono inammissibili per inadeguatezza delle censure avverso la sentenza dei giudici del gravame.

8. L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo, la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.

9. Inoltre, in ipotesi di denuncia di un error in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto – in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale – non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza con quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata (cfr., ex plurimis, Cass. 21621 del 2007).

10. Coerentemente, con riferimento all’ipotesi in cui sia stata denunciata l’omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado sulle doglianze mosse in appello, è necessario che nel ricorso per cassazione siano esposte quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all’accoglimento del gravame, non potendo ottemperarsi a tale principio mediante il mero generico richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio.

11. Ove l’error in procedendo inerisca alla falsa applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, l’autosufficienza del ricorso per cassazione impone che, nel ricorso stesso, siano esattamente riportati sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa sia stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d’appello con cui le censure, asseritamente pretermesse, siano state formulate.

12 Nessuno di tali oneri risulta ottemperato dai ricorrenti, che si sono limitati a rappresentare l’oggetto della propria originaria domanda e a richiedere un inammissibile sindacato di legittimità sul potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda.

13. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore dei giudici del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’asserita omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo.

14. Quante alle ulteriori censure, va rilevato che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione delle disposizioni normative che governano il thema decidendum.

15. Dispone il D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, comma 3, nel testo risultante dalla Legge di Conversione 11 novembre 1983, n. 638, che: “Fermi restando i limiti di reddito di cui ai precedenti commi, nel caso di concorso di due o più pensioni l’integrazione di cui ai commi stessi spetta una sola volta ed è liquidata sulla pensione a carico della gestione che eroga il trattamento minimo di importo più elevato o, a parità di importo, della gestione che ha liquidato la pensione avente decorrenza più remota. Nel caso di titolarità di pensioni dirette ed ai superstiti a carico della stessa gestione inferiori al trattamento minimo, l’integrazione al trattamento minimo è garantita sulla sola pensione diretta, semprechè non risultino superati i predetti limiti di reddito; nel caso in cui una delle pensioni risulti costituita per effetto di un numero di settimane di contribuzione obbligatoria, effettiva e figurativa con esclusione della contribuzione volontaria e di quella afferente a periodi successivi alla data di decorrenza della pensione, non inferiore a 781, l’integrazione al trattamento minimo spetta su quest’ultima pensione”.

16. Come reso evidente dal tenore letterale della richiamata disposizione, il legislatore ha chiaramente affermato il principio del diritto all’integrazione una sola volta, nel caso di concorso di due o più pensioni e, nel caso di contitolarità di pensione diretta e ai superstiti a carico della stessa gestione, entrambe inferiori al trattamento minimo, ha previamente disposto il trattamento pensionistico da garantire attraverso l’integrazione al trattamento minimo, a tal fine individuano la pensione diretta.

17. Peraltro, con disposizione di chiusura, del richiamato art. 6, comma 5, il legislatore ha riconosciuto l’assoggettabilità a perequazione dei trattamenti pensionistici non integrati ai sensi delle precedenti disposizioni (recita il comma 5: “Le pensioni non integrate al trattamento minimo di cui al presente articolo sono assoggettate alla disciplina della perequazione automatica delle pensioni integrate al trattamento minimo secondo i rispettivi ordinamenti”).

18. Correttamente la sentenza impugnata ha pertanto escluso il diritto della dante causa degli attuali ricorrenti al ricalcolo, dal 1 gennaio 1976, della pensione di reversibilità mediante la perequazione automatica L. n. 638 del 1983, ex art. 6, richiesta all’INPS con domanda amministrativa del 15 ottobre 2009.

19. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

20. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, in linea con l’orientamento di questa Corte di legittimità (fra le altre, v. Cass. n. 5363 del 2012 e numerose successive conformi) che ritiene la dichiarazione sostitutiva di certificazione delle condizioni reddituali, da inserire nelle conclusioni dell’atto introduttivo (ex art. 152 disp. att. c.p.c., novellato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, convertito nella L. n. 326 del 2003), inefficace se non sottoscritta dalla parte, posto che a tale dichiarazione la norma annette un’assunzione di responsabilità non delegabile al difensore, stabilendo che “l’interessato” si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito (v., inoltre, per la necessità che l’erede introduca nel processo apposita dichiarazione reddituale, Cass. n. 9875 del 2019).

21. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

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