Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14889 del 21/06/2010

Cassazione civile sez. un., 21/06/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 21/06/2010), n.14889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1476-2010 proposto da:

R.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 61, presso lo studio dell’avvocato MARIANNA PACELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FURGIUELE ALFONSO, MUSCATIELLO

VINCENZO BRUNO, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 131/2009 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 04/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

uditi gli avvocati Alfonso FURGIUELE, Vincenzo Bruno MUSCATIELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA RAFFAELE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.V., procuratore della Repubblica presso il tribunale di Foggia è stato incolpato della violazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. e; e successive modificazioni per avere – nel marzo e nell’aprile del 2007 – indebitamente interferito nell’attività giudiziaria del Presidente della 4^ sezione del Consiglio di Stato, S.P., nell’ambito del procedimento di impugnazione proposto da C. G. avverso la sentenza del TAR Lazio (favorevole ad esso R.) in ordine al “Concorso per il conferimento dell’ufficio di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia”, chiedendone, tramite L.V., il suo personale interessamento a proprio vantaggio e consegnando materialmente al L. una lattina di olio di cinque litri da recapitare al S., stesso, promettendo altresì al L., in violazione dei propri doveri di correttezza, di intercedere, in qualità di Procuratore della Repubblica di Foggia, preso il Rettore della locale Università, per il superamento del concorso di specializzazione in ginecologia a favore della nipote del L., tale RA.Ma..

Con ciò – assumeva il capo di imputazione – rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere, con compromissione del prestigio dell’ordine giudiziario e, comunque, dell’immagine del magistrato.

Con sentenza 4 novembre 2009 il Consiglio Superiore della Magistratura, Sezione disciplinare ha assolto il R. dalla incolpazione contestata perchè l’illecito disciplinare non è configurabile in quanto il fatto è di scarsa rilevanza.

Per la cassazione di tale pronunzia ha proposto ricorso, innanzi queste SS.UU. il R. affidato a sei motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come esposto in parte espositiva R.V. è stato assolto dalla incolpazione per la quale è stato sottoposto a procedimento disciplinare innanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, “perchè l’illecito disciplinare (contestatogli) non è configurabile, in quanto il fatto è di scarsa rilevanza”.

2. Il ricorrente R. censura con 6 (sei) motivi di ricorso tale pronunzia atteso che “la sentenza (impugnata) ha assolto… (esso concludente), ma ha accompagnato l’esito assolutorio con affermazioni e richiami giuridici che a noi paiono errati sul piano logico e soprattutto non congruenti sul piano giuridico”.

“Detto in altri termini – invoca il ricorrente – la sentenza disciplinare ha disatteso il ragionamento e le conclusioni del giudice penale ed è pervenuta a una lettura della vicenda in parte eterodossa rispetto a quanto accertato in sede penale e, quel che più conta in sede di legittimità, ha aderito a una interpretazione errata del quadro giuridico di riferimento”.

3. Il proposto ricorso è inammissibile.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. In termini opposti rispetto a quanto suppone la difesa del ricorrente si osserva – in limine – che i fatti oggetto di incolpazione disciplinare possono e devono essere autonomamente valutati in sede di disciplinare ancorchè gli stessi siano stati già vagliati e ritenuti non perseguibili penalmente dal giudice penale.

Si procede, infatti, all’accertamento degli illeciti disciplinari secondo un metro totalmente diverso rispetto a quello utilizzato per la declaratoria di responsabilità penale (da ultimo, cfr. Cass., sez. un., 5 febbraio 2009, n. 2732, resa appunto in una fattispecie in cui il magistrato era stato perseguito in sede disciplinare per gli stessi fatti per i quali in sede penale era intervenuto decreto di archiviazione).

E’ di palmare evidenza – pertanto – la assoluta irrilevanza e non pertinenza – al fine del decidere – del (peraltro, nella specie solo apparentemente) diverso apprezzamento espresso dai giudici penali in ordine agli stessi fatti contestati in sede disciplinare al R..

3.2. In tema di impugnazioni, principio fondamentale del vigente ordinamento processuale (sia civile che penale) è quello secondo cui l’interesse alla impugnazione – manifestazione del generale principio dell’interesse a agire – presuppone:

– da un lato, la soccombenza di colui che lo propone (per essere stati i suoi assunti disattesi in sede di merito) (cfr., ad esempio, Cass. 11 febbraio 2010, n. 3185; Cass. 10 novembre 2009, n. 26291);

– dall’altro, una utilità concreta derivabile, alla parte che propone la impugnazione, dall’eventuale accoglimento del gravame (cfr., Cass., sez. un., 19 maggio 2008, n. 12637; Cass. 23 maggio 2008, n. 13373; Cass. 21 dicembre 2007, n. 27006).

Detto interesse – comunque – non può consistere in un mero interesse astratto a una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata, e, pertanto, diretta – esclusivamente – alla emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (con riguardo alla giurisprudenza penale, cfr., ad esempio, Cass., sez. 6^, 7 ottobre 2009, n. 45330; Cass., sez. 6^, 30 settembre 2009, n. 39689; Cass. sez. 6^, 23 gennaio 2009, n. 6181).

Deriva da quanto precede, pertanto – alla luce di una giurisprudenza più che consolidata che in questa sede non può che ulteriormente ribadirsi – che l’interesse a proporre ricorso per cassazione non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di parte di essa (Cass. 3 settembre 2005, n. 17745, nonchè Cass. 24 marzo 2010, n. 7057; Cass. 19 ottobre 2007, n. 22010).

3.3. Dal coordinamento degli artt. da 1 a 4 del D.Lgs. 24 febbraio 2006, n. 109 (quali risultanti a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1) – ancora – in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, l’ordinamento positivo distingue, nettamente:

– da un lato, le condotte poste in essere dal magistrato integranti reato (analiticamente descritte all’art. 4), lett. da a) a d), le quali costituiscono illecito disciplinare alternativamente, o qualora sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna (o vi sia stata applicazione della pena su richiesta, a norma dell’art. 444 c.p.p., comma 2) o siano tali da essere (altresì) idonee, a ledere l’immagine del magistrato, e in tal caso sono sanzionabili disciplinarmente anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita;

– dall’altro, i comportamenti – tassativamente descritti dagli artt. 2 e 3 – posti in essere dal magistrato, nell’esercizio delle funzioni (art. 2) o fuori da queste (art. 3).

Tali ultimi comportamenti, peraltro, non sono sempre e comunque – perseguibili disciplinarmente ma solo allorchè “il fatto” contestato non “è di scarsa rilevanza”.

In altri termini, proposta azione di disciplinare per fatti indicati nel D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 2 e 3 il giudice disciplinare può ritenere la responsabilità dell’incolpato solo allorchè accerti (non necessariamente con un una motivazione espressa) che il fatto contestato non è di scarsa rilevanza.

Ciò, a parere di queste Sezioni Unite, non può non significare che ove il giudice disciplinare accerta che il fatto contestato non supera il limite della scarsa rilevanza, e – a seguito di tale accertamento – “assolve” l’inquisito dalla “incolpazione contestata” “in quanto il fatto è di scarsa rilevanza”, detto giudice assolve il magistrato perchè il fatto contestato “non costituisce illecito disciplinare” e il magistrato, non risultando “soccombente”, non è legittimato a proporre impugnazione avverso tale pronunzia, certo essendo che dall'(eventuale) accoglimento di una tale impugnazione non potrebbe derivare alcuna situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante.

3.4. E’ evidente, come anticipato, facendo applicazione dei principi che si sono sopra riferiti al caso di specie, la inammissibilità del proposto ricorso.

Infatti:

– come non ha difficoltà ad ammettere la stessa difesa del ricorrente tutte le articolate censure sviluppate in ricorso investono non il “dispositivo” della sentenza impugnata, ma – esclusivamente – e come sopra visto inammissibilmente, affermazioni contenute nella parte motiva;

– il dispositivo della pronunzia impugnata – in pratica – è censurato esclusivamente con il sesto motivo, atteso che con questo (oltre a prospettarsi questioni assolutamente irrilevanti, alla luce della decisione finale della controversia da parte della sezione disciplinare, come allorchè si lamenta il supposto errore commesso dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione per avere omesso di disporre l’archiviazione del procedimento ai danni di esso R.) si assume che, in realtà, la condotta tenuta da esso concludente non era suscettibile di essere valutata sub specie di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3-bis, dovendo – invece – essere esaminata esclusivamente sotto il profilo di cui all’art. 4 dello stesso decreto (cioè quale illecito disciplinare conseguente a reato);

– anche tale motivo, peraltro, è manifestamente inammissibile, almeno sotto due, concorrenti, profili;

– in primo luogo – contra legem e in ispregio di quelli che sono i principi generali delle impugnazioni – il motivo sollecita un provvedimento contra se (certo essendo, alla luce dei rilievi svolti sopra, che l’art. 3-bis non trova applicazione – anche nell’eventualità il reato sia estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita – in presenza di fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato in caso di illeciti disciplinari conseguenti a reato, sì che ove un tale motivo dovesse essere accolto questa Corte non potrebbe, cassata la disposta assoluzione del R., non rimettere la causa al giudice a quo per una nuova valutazione delle emergenze di causa, alla luce del precetto del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, lett. d));

– in secondo luogo, anche a prescindere da quanto precede, era palesemente precluso alla Sezione disciplinare, come ora invoca l’odierno ricorrente, valutare la condotta del R. sotto il profilo che lo stesso aveva posto in essere un fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, certo essendo che come risulta dalla non equivoca incolpazione lo stesso doveva rispondere “della violazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. e)” e, quindi di una condotta sanzionabile – come evidenziato sopra – solo dopo che ne sia accertata la “non scarsa rilevanza”.

4. Il proposto ricorso, in conclusione, è dichiarato inammissibile.

Nessun provvedimento deve adottarsi, in ordine alle spese di lite, non avendo svolto la parte intimata attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese di lite di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2010

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