Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14887 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/06/2017, (ud. 19/04/2017, dep.15/06/2017),  n. 14887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) s.a.s. e P.C.M., in persona del

curatore fall. p.t., rappr. e dif. dall’avv. Giuseppe Miccolis,

elett. dom. in Roma, presso lo studio di questi, in via XX Settembre

n. 3, come da procura in calce all’atto

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.a.s., in persona del l.r.p.t. P.C.M. ed in

proprio del socio ill.resp. P.C.M., rappr. e dif.

dall’avv. Enzo Augusto, elett. dom. in Roma, presso lo studio di

questi, in viale Mazzini n. 73 sc. b int. 2, come da procura in

calce all’atto;

– controricorrente –

BETONCOLOR s.a.s. di GIANNONI GIUSEPPE & C. in persona del

l.r.p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Bari 16.9.2015, n. 1398/2015 in

R.G. n. 935/2015;

viste le conclusioni del Procuratore generale, in persona della

Dott.ssa Anna Maria Soldi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

viste le memorie del ricorrente Fallimento e della società

controricorrente;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 19 aprile 2017 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. il Fallimento (OMISSIS) S.a.s. e P.C.M. impugna la sentenza App. Bari 22.2015 n. 1464, in R.G. n. 861/2015 con cui è stato accolto il reclamo di (OMISSIS) S.a.s. e P.C.M. avverso la sentenza Trib. Bari 13.4.2015, n. 74/15, già dichiarativa del fallimento dei reclamanti, in ciò ritenendo la insussistenza dei presupposti di revoca del concordato preventivo, sul cui riscontro, ai sensi della L. Fall., art. 173, il citato tribunale aveva altresì fondato la concomitante e poi reclamata dichiarazione di fallimento;

2. la corte dava atto che la citata revoca – rispetto all’ammissione del 22.12.2014 a scioglimento della riserva di cui alla L. Fall., art. 161, comma 6 – era stata disposta a seguito di contestazione del commissario giudiziale relativa alla scoperta di tre successive operazioni, prive di autorizzazione del tribunale e cioè la vendita di due carrelli elevatori (per prezzo, pari a 6 mila Euro superiore a quello – e per 1.000 Euro – di stima e versamento alla procedura), l’estinzione di debiti pregressi (verso l’attestatore, per circa 7.000 Euro e il notaio dell’assemblea autorizzante, per 800 Euro nonchè un terzo con compensazione, per 4.700 Euro circa), la non esposizione di incassi per 12 mila Euro (utilizzati per il versamento della cauzione, adempiuta nella somma totale di 63 mila Euro);

3. per la sentenza, le operazioni evidenziate in relazione erano state compiute in buona fede nè costituivano, anche per l’importo modesto, atti di frode, tenuto conto di un impatto per circa 30 mila Euro a fronte di un attivo di circa 2 milioni (con un passivo di poco eccedente) e di una proposta di pagamento per l’80% dei chirografari, potendosene dunque predicare l’assenza di decettività rispetto all’obiettivo del consenso informato;

4. con unico motivo, all’altezza della violazione di legge in particolare quanto alla L. Fall., artt. 167, 168 e 173, il ricorrente deduce l’erroneità del provvedimento ove ha escluso la natura obiettivamente decettiva dei pagamenti e delle condotte, per come scoperti dal commissario giudiziale e benchè essi non fossero assistiti da preventiva autorizzazione giudiziale, trattandosi di illecito di pericolo da sanzionare ex lege con la revoca.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il motivo adduce una violazione di legge, reclamando la verifica dell’omessa applicazione di un principio, l’automaticità della revoca del concordato per via di atti solutori compiuti dal debitore senza autorizzazione giudiziale e dunque tali da considerarsi ex lege atti di straordinaria amministrazione o comunque di atti in frode, che il giudice di merito ha pienamente considerato, tuttavia pervenendo, con apprezzamento di fatto, ad escludere per essi ogni portata decettiva L. Fall., ex art. 173;

2. tale osservazione costituisce un primo limite di ammissibilità della censura, che – al di là della sua configurazione denominativa investe il Collegio di un vizio attinente alla motivazione della sentenza, come tale non esaminabile in ragione del principio per cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014, Cass. 21257/2014, 23828/2015);

3. la stessa pronuncia si è peraltro conformata al principio, già espresso da questa Corte, per cui, per un verso, “il pagamento di crediti dei professionisti nominati dall’imprenditore per la predisposizione della domanda di concordato preventivo ovvero in occasione della relativa proposta, effettuato, a seguito del deposito del ricorso L. Fall., ex art. 161, comma 6, senza autorizzazione del tribunale, non comporta, necessariamente, la declaratoria di inammissibilità del concordato, ai sensi della L. Fall., art. 173, in ragione dell’automatica classificazione di tali pagamenti tra gli atti di straordinaria amministrazione, quali crediti non prededucibili in mancanza del decreto di ammissione al concordato suddetto. Invero, da un lato, la natura prededucibile del credito non può essere collegata al decreto L. Fall., ex art. 163 (nel senso che solo il decreto di ammissione trasformerebbe i crediti maturati in capo all’imprenditore, prima o dopo la sua domanda, in pretese assistite dalla peculiare protezione di cui alla L. Fall., art. 111), e, dall’altro, costituiscono normalmente atti di ordinaria amministrazione le operazioni richieste dalla legge e ragionevolmente proprie di una prassi attinente al corredo obbligatorio della domanda di apertura della procedura concorsuale, competendo all’organo concorsuale che ne invochi l’eccedentarietà rispetto a tale scopo dimostrarne la superfluità, oltre che l’intento frodatorio” (Cass. 280/2017); parimenti, “il pagamento non autorizzato di un debito scaduto eseguito in data successiva al deposito della domanda di concordato con riserva, non comporta, in via automatica, l’inammissibilità della proposta, dovendosi pur sempre valutare se detto pagamento costituisca, o meno, atto di straordinaria amministrazione ed, in ogni caso, se la violazione della regola della “par condicio” sia diretta a frodare le ragioni dei creditori, pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta negoziale formulata con la domanda di concordato” (Cass. 7066/2016, 3324/2016); ne consegue un giudizio di inammissibilità anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1;

4. per altro verso, infatti, nemmeno può dirsi che non vi sia stato “l’accertamento, da compiersi ad opera del giudice di merito, che tali pagamenti, non essendo ispirati al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, siano diretti a frodare le ragioni di questi ultimi, così pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato” (Cass. 3324/2016), essendosi il giudice del reclamo diffusamente esercitato nel sottrarre ogni valenza decettiva (ovvero di manifesta e grave offensività rispetto al corrispondente bene protetto dalla norma, il diritto alla corretta informazione dei creditori) alle operazioni di pagamento, incasso e riversamento in procedura, compiute dopo la domanda L. Fall., ex art. 161, al contempo giudicando che la loro dimensione economica – per circa 30 mila Euro su un attivo di circa 2 milioni – non alterava, anche per come effettuate e per le destinazioni interne mantenute, gli addendi fondanti la riorganizzazione del passivo quale proposta al censimento dei creditori e dunque applicando in conformità i principi sopra ricordati;

5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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