Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14885 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/06/2017, (ud. 19/04/2017, dep.15/06/2017),  n. 14885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

G.A., rappr. e dif. dall’avv. Marcello Lufrano e dall’avv.

Paolo Maldari, elett. dom. in Roma, presso lo studio del secondo, in

Via Filippo Corridoni n. 4, come da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L. IN LIQ., in persona del liquidatore p.t., rappr. e

dif. dall’avv. Mauro Di Chicco, elett. dom. in Roma, presso lo

studio dell’avv. Giovanna Gallo, in via Dei Gracchi n. 189, come da

procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L. IN LIQ., in persona del curatore fall.

p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Potenza 17.4.2014, n. 127/2014

in R.G. n. 214/2012;

viste le conclusioni del Procuratore generale, in persona della

Dott.ssa Anna Maria Soldi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

viste le memorie per il ricorrente;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 19 aprile 2017 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. G.A. impugna la sentenza App. Potenza 17.4.2014 n. 127/2014, con cui è stato accolto il reclamo della società (OMISSIS) s.r.l. in liq. (società) avverso la sentenza Trib. Melfi 8.5.2012 già dichiarativa del proprio fallimento, in ciò ritenendo l’insussistenza dei requisiti di fallibilità quale imprenditore commerciale, stante invece la natura agricola della debitrice, di cui invero l’attuale ricorrente aveva chiesto ed ottenuto il fallimento come creditore;

2. per la corte, assumevano valore sintomatico sul punto della natura agricola dell’attività cd. connessa i risultati della consulenza disposta sul triennio anteriore all’istanza di fallimento (di fatto, alla cessazione ancora anteriore della gestione, all’epoca di una prima domanda di concordato, ammesso e poi revocato), con un esito positivo quanto a prevalenza di prodotti ottenuti dalla coltivazione del fondo, ai sensi dell’art. 2135 c.c., comma 3, tanto più inserendo i prodotti coltivati dall’azienda agricola già conferita nella società da un socio e considerando una variabile di disagio produttivo della seconda annata;

3. con tre motivi la ricorrente, già commissario giudiziale del citato concordato e con credito rimasto insoluto, deduce l’erroneità del provvedimento ove ha: a) trascurato che il fallimento è obbligatorio in capo al soggetto che persegua altri scopi commerciali o industriali con realizzo di utilità indipendenti dall’impresa agricola, come ricavabile dai debiti diversi dello stato passivo e considerando gli ultimi tre anni di esercizio; b) omesso di valutare la dimensione aziendale e i complessivi dati economici; c) omesso di decidere sull’eccezione di fallibilità perchè la società aveva già a suo tempo domandato il concordato preventivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. i primi due motivi sono per un profilo inammissibili e per altri infondati; vi ricorre invero un evidente difetto di specificità nella ricostruzione delle circostanze del processo, non riepilogate con la necessaria chiarezza e completezza ove, deducendo in modo assolutamente generico il fitto d’azienda, gli altri debiti a stato passivo e i bilanci dei tre ultimi esercizi, si invocano elementi contaminanti il giudizio di impresa agricola ma senza che il loro esame ne permetta in questa sede l’assunzione ad oggetto di vizio in procedendo; non è emerso con quale tempestività e completezza processuale tali elementi siano stati recati avanti all’esame del giudice di merito;

2. d’altronde, la corte d’appello nell’apprezzare in modo netto gli elementi connotativi interni della produzione vitivinicola, si è attenuta a molteplici parametri definitori già assunti in sede di legittimità e che, anche con integrazione motivazionale, vanno ribaditi; così “non può essere dichiarata fallita una società avente a oggetto l’esercizio di attività agricola che, dismessa tale attività, non svolga in concreto alcuna attività imprenditoriale, tale non potendo essere considerate nè la prestazione non professionale di garanzie nè l’affitto dell’azienda” (Cass. 17397/2015); anche nel caso in esame la società, per quel che risulta in questa sede, aveva per oggetto sociale l’esercizio di un’impresa agricola, non di un’impresa commerciale e quindi la sua assoggettabilità al fallimento non può essere ricollegata al suo oggetto sociale, sul punto facendo difetto qualsivoglia dubbio o allegazione contestativa, non potendo perciò richiamarsi il principio della commercialità programmatica di cui a Cass. 28015/2013;

3. dalla sentenza emerge poi un corretto governo del principio per cui “l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135 c.c., comma 3, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex art. 2135 c.c., comma 1, il corrispondente onere probatorio.” (Cass. 16614/2016); a tale risultato, il giudice di merito è pervenuto applicando una pluralità di indici storici, in particolare acquisendo da apposita c.t.u. le percentuali delle produzioni vinicole prodotte e commercializzate e pervenendo a dare rilievo alle quantità di uve prodotte dalla stessa azienda, così considerando sia il triennio delle campagne disponibili (con crescente e netta prevalenza della produzione interna) anteriori alla domanda di concordato (2010), sia valorizzando una proiezione per il biennio successivo (dunque anteriore all’istanza di fallimento, del 2012), sia infine configurando in fatto la finale “vocazione agricola della struttura societaria”;

4. con ciò la corte ha assolto ad una piena motivazione della nozione di prevalenza di cui all’art. 2135 c.c., comma 2, compatibile con una articolazione organizzativa d’impresa che, ai fini dell’esenzione dal fallimento, è sufficiente sia esistente al momento della relativa dichiarazione, dopo che il debitore è stato attinto dalle relative istanze, soprattutto se, come nella specie e per quanto detto, nessuna valorizzazione di eventuali altri debiti può essere oggetto di tema d’indagine in questa sede; e comunque “ai fini dell’assoggettamento a procedura concorsuale, tenuto altresì conto che l’art. 2135 c.c., non è stato inciso da alcuna delle riforme delle procedure concorsuali, l’accertamento della qualità d’impresa commerciale non può essere tratto esclusivamente da parametri di natura quantitativa, non più compatibili con la nuova formulazione della norma” (Cass. 24995/2010);

4. in ogni caso, “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014);

5. il terzo motivo è inammissibile, posto che – in primo luogo l’iniziale ammissione della società al concordato preventivo non è eccezione decisiva, per manifesto assorbimento della stessa nella pregiudiziale disamina dei tratti storici ed attuali formulata dalla corte d’appello sulla struttura organizzativa finale della debitrice, dunque non ricorre alcuna preterizione rilevante ex art. 112 c.p.c.; in ogni caso, posto che la domanda di ammissione al concordato preventivo non riveste alcuna portata confessoria circa la natura del soggetto istante, anche gli accertamenti condotti nel procedimento di cui alla L. Fall. art. 15, ne sono autonomi, nè la relativa istruzione procede da alcun vincolo conseguente alla pronuncia già adottata, anche dal medesimo tribunale, L. Fall., ex art. 163, non foss’altro per l’apprezzabilità necessaria che anche l’intervallo temporale dei due accessi concorsuali impone e che, nella specie, ha condotto ad uno specifico e motivato riscontro di non commercialità.

Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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