Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14885 del 13/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 13/07/2020), n.14885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 33292/2018 proposto da:

D.L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA

DIONIGI N. 57, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BRONZINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO LEPORE;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA, 27,

presso gli Uffici dell’Avvocatura Regionale, rappresentata e difesa

dall’avvocato ADELMO BIANCHI;

– controricorrente –

e contro

CONSIGLIO REGIONALE DEL LAZIO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1694/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/05/2018 R.G.N. 3544/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito

l’Avvocato CARLO LEPORE;

udito l’Avvocato ANNAMARIA COLLACCIANI per delega verbale Avvocato

ADELMO BIANCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 1694 del 2018, ha accolto l’impugnazione proposta dalla Regione Lazio, nei confronti del Consiglio regionale del Lazio e di D.L.L., avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma.

2. Il Tribunale aveva quantificato il risarcimento dovuto al lavoratore per l’intimazione di atto di recesso illegittimo, commisurandolo alla retribuzione che avrebbe maturato qualora l’incarico fosse cessato alla data di scadenza ordinaria della legislatura regionale, e non alla scadenza anticipata che si era verificata nel 2013.

3. La Corte d’Appello, nel riformare la sentenza di primo grado, ha statuito che il contratto prevedeva, trattandosi di incarico altamente fiduciario, di diretta collaborazione, la decorrenza dalla data di stipula del contratto, e la cessazione al “termine della legislatura”.

Pertanto, il lavoratore aveva diritto a percepire le retribuzioni che avrebbe conseguito solo fino alla fine della scadenza anticipata della legislatura, intervenuta nel marzo 2013, per complessive otto mensilità.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre D.L.L., prospettando cinque motivi di ricorso.

5, Resiste con controricorso la Regione Lazio.

6. E’ rimasto intimato il Consiglio regionale della Regione Lazio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Assume il ricorrente che poichè la scadenza anticipata della legislatura era intervenuta dopo sia il recesso intimato ad esso lavoratore, sia l’instaurazione del giudizio di primo grado, la Corte d’Appello avrebbe modificato la causa petendi e quindi i fatti dedotti in concreto in giudizio da esso ricorrente.

Il recesso era intervenuto l’11 luglio 2012, pertanto le conseguenze giuridiche del recesso dovevano essere valutate e calibrate sulla base dei fatti di causa esistenti al momento di produzione degli effetti del recesso medesimo.

Era stato, pertanto, violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in ragione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia (è richiamata l’ordinanza Cass., n. 408 del 2018).

2. Il motivo non è fondato.

E’ pur vero che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 8048 del 2019, n. 408 del 2018), il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicchè il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori.

Tuttavia, come risulta dalla sentenza di appello e come si rileva dallo stesso ricorso (pag. 3 del ricorso per cassazione, svolgimento del processo: a, primo grado di giudizio), nell’atto introduttivo del giudizio dinanzi al Tribunale, il D.L. richiamava a fondamento della propria domanda di illegittimità del recesso e di risarcimento del danno le clausole del contratto stipulato tra esso ricorrente e la Regione Lazio, in particolare l’art. 3, avente ad oggetto la decorrenza iniziale ed il termine di cessazione del rapporto di lavoro per cui è causa, e l’art. 12.

Il ricorrente, tra l’altro, chiedeva che fosse affermato il “suo diritto al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni dovute fino alla scadenza del contratto originariamente prevista dalle parti ossia fino alla scadenza della legislatura” (pag. 3 del ricorso).

Dunque, era già devoluta al Tribunale, con l’atto introduttivo del giudizio, l’interpretazione del contratto con riguardo all’espressione “scadenza della legislatura”, e la relativa statuizione costituiva oggetto dell’appello della Regione Lazio.

Non è quindi ravvisabile il vizio denunciato, atteso che la Corte d’Appello, non ha violato il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, che, in ragione dei principi sopra richiamati, si sostanzia nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare, degli artt. 1362,1363 c.c. (e in via subordinata degli artt. 1366,1367 c.c.), con riferimento alle clausole contenute nel contratto di durata del ricorrente.

Il ricorrente censura l’interpretazione delle clausole contrattuali effettuata dalla Corte d’Appello.

Preliminarmente, richiama la giurisprudenza di legittimità in materia di interpretazione delle clausole contrattuali e di ammissibilità di un motivo di ricorso su tali profili.

Quindi deduce che illegittimamente la Corte d’Appello ha interpretato il contratto di lavoro, e in particolare gli articoli aventi ad oggetto l’applicazione dell’art. 1 del Regolamento di organizzazione del Consiglio regionale.

Riproduce il testo dell’art. 3 del contratto, la cui rubrica reca “durata dell’incarico”, che prevede: “l’incarico decorre dalla data di stipula del contratto fino al termine della legislatura, ferma restando la possibilità di revoca anticipata per cessazione del rapporto fiduciario. Cessa, inoltre, durante l’arco della legislatura, alla data di cessazione della carica dell’organo politico, con le modalità di cui dell’art. 11, comma 6 del Regolamento di organizzazione del Consiglio”.

L’art. 7, la cui rubrica reca “risoluzione, recesso, revoca”, prevede, a sua volta “Per le modalità e le motivazioni di cessazione dell’incarico, fermo restando il disposto dell’art. 11 e art. 12, commi 2 e 4, del Regolamento di organizzazione del Consiglio regionale, si fa riferimento alle norme contrattuali vigenti per il Comparto Regioni-autonomie locali ed i contratti integrativi decentrati del Consiglio regionale del Lazio”.

Da tali clausole contrattuali, il ricorrente deduce che si evincerebbe che la durata del rapporto di lavoro era prevista fino al termine della legislatura, salva l’ipotesi di cessazione del rapporto fiduciario, di cui il Tribunale riteneva l’insussistenza.

Qualora vi fosse stata cessazione prima del termine della legislatura per la cessazione dell’organo politico, si sarebbe dovuto applicare l’art. 11, comma 6, del regolamento di organizzazione del Consiglio.

In ogni caso, dovevano trovare sempre applicazione gli artt. 11 e 12 del Regolamento di organizzazione del Consiglio.

L’art. 11 prevedeva che, qualora si fosse verificata la cessazione dalla carica dell’organo politico, il contratto si doveva intendere confermato in mancanza, entro 90 giorni dall’insediamento del nuovo organo politico, dell’adozione di un diverso provvedimento (conferma, revoca, modifica e rinnovo).

Dunque, in ragione delle regole ermeneutiche (artt. 1362 e 1363 c.c.), dal tenore letterale delle disposizioni, nonchè dalla loro interpretazione sistematica, non vi era spazio per l’interpretazione effettuata dalla Corte d’Appello, dovendosi ritenere che, essendo venuto meno il recesso, doveva trovare applicazione l’art. 11 del Regolamento.

La statuizione della Corte d’Appello che aveva escluso l’applicazione del citato art. 11 del Regolamento, e dunque di un meccanismo di conservazione del posto di lavoro, era errata anche in relazione agli artt. 1366 e 1367 c.c., principi di interpretazione secondo buona fede e conservazione delle singole clausole contrattuali, atteso che non era stata esaminata la reale portata del contratto in questione e delle clausole che lo comprovano.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 11, comma 6, del regolamento di organizzazione del Consiglio regionale.

Dopo aver ricordato il contenuto dell’art. 11, già sopra riportato, il ricorrente espone che in ragione degli artt. 3 e 7 del contratto, tale disposizione trovava applicazione nel rapporto di lavoro in questione.

Erroneamente, quindi, la Corte d’Appello ne aveva ritenuto l’inconferenza.

A sostegno delle proprie argomentazioni è riprodotta nel motivo uno stralcio della sentenza di primo grado.

4. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono. fondati.

4.1. In via preliminare, occorre puntualizzare che il D.L. agiva in giudizio per la declaratoria di illegittimità del recesso, che era stato intimato per il venir meno del rapporto fiduciario, ed il conseguente risarcimento del danno.

Il Tribunale ha dichiarato la illegittimità del recesso e ha accordato la tutela obbligatoria.

Nella quantificazione del danno, in sede di tutela obbligatorio, la Corte d’Appello statuiva che andavano riconosciute le retribuzioni fino alla fine effettiva della legislatura, in ragione di quanto previsto dal contratto circa la durata dell’incarico: “termine della legislatura”, quindi, senza che fosse indicato il termine fisso quinquennale di naturale scadenza della stessa.

Ciò trovava conferma nel carattere fiduciario dell’incarico.

Pertanto, la Corte d’Appello ha affermato l’inconferenza dell’art. 11, comma 6, del Regolamento di organizzazione del Consiglio, non potendosi sussumere in tale disposizione la fattispecie in esame, atteso che il contratto del D.L. prevedeva un termine finale di risoluzione del rapporto coincidente con il termine della legislatura, ed era dunque escluso che il contratto potesse sopravvivere al cambio della legislatura.

4.2. Nella specie, la Corte d’Appello nel ritenere non applicabile alla fattispecie l’art. 11 del Regolamento del Consiglio regionale, non ha violato le regole legali d’interpretazione e i principi in esse contenuti.

Ed infatti la fattispecie riguarda risoluzione, dichiarata illegittima, intimata per il venir meno del rapporto di fiducia, come disciplinato dall’art. 3, del contratto individuale di lavoro, nella parte in cui lo stesso prevede “l’incarico decorre dalla data di stipula del contratto fino al termine della legislatura, ferma restando la possibilità di revoca anticipata per cessazione del rapporto fiduciario (si v. pag. 18 del ricorso in cui il suddetto testo dell’art. 3 è riprodotto).

Distinta, come ha correttamente affermato la Corte d’Appello, in ossequio alle regole dell’ermeneutica contrattuale, è la diversa fattispecie, oggetto di un autonomo periodo del medesimo art. 3 (v. pag. 18 del ricorso) che sancisce “Cessa, inoltre, durante l’arco della legislatura, alla data di cessazione della carica dell’organo politico con le modalità di cui dell’art. 11, comma 6 del Regolamento di organizzazione del Consiglio”.

Nella specie, infatti il recesso, come afferma la Corte d’Appello e risulta dallo stesso ricorso (pag. 3 del ricorso) non era conseguente alla cessazione dalla carica dell’organo politico, ma al venir meno del rapporto fiduciario.

Come ricorda il giudice di secondo grado, il Tribunale, accogliendo la domanda del D.L., statuiva che il recesso era intervenuto immotivatamente con il mero rinvio nella nota di recesso al venir meno del requisito fiduciario da parte dell’organo politico.

Tale statuizione non risulta impugnata dalla sentenza di appello, nè vi sono deduzioni delle parti in questa sede.

Dunque, mancano le condizioni di cui all’art. 3, per applicare l’art. 11. Nè offre argomenti l’art. 7 del medesimo contratto, in quanto fa salva la previsione dell’art. 11, rispetto alla disciplina della contrattazione collettiva di Comparto, ma non incide sulle condizioni di applicabilità dello stesso, come sancite dal citato art. 3.

4.3. Viene, pertanto, in rilievo, la censura relativa all’interpretazione della previsione negoziale “l’incarico decorre (…) fino al termine della legislatura”.

Tanto premesso si osserva che l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass., n. 11254 del 2018, n. 27136 del 2017, n. 6125 del 2014, 4178 del 2007).

Tale evenienza si verifica nel caso in esame, ove l’interpretazione del giudice di appello, secondo cui “termine della legislatura” va inteso come termine effettivo, e che dunque può coincidere o meno con l’ordinaria scadenza quinquennale – che è avvalorata dal tenore letterale della disposizione e dalla mancanza nella stessa di una precisa indicazione temporale, nonchè dalla natura fiduciaria dell’incarico in questione costituisce, una delle due interpretazioni possibili, che tali rimangono anche alla luce dei principi ermeneutici richiamati, in primo luogo ed in via subordinata, dal ricorrente.

5. Con il quarto motivo di ricorso è prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, egli artt. 1223 e 1226 c.c., relativamente al ristoro dei danni subiti.

Assume il ricorrente che, poichè al momento del deposito del ricorso introduttivo del giudizio la cessazione dell’organo politico non si era ancora verificata, a titolo di risarcimento del danno gli spettavano le retribuzioni che sarebbero maturate fino al termine fisiologico della legislatura.

Inoltre, in ragione egli artt. 3 e 7 del contratto, e dell’art. 11 del Regolamento, avrebbe potuto esserci una conferma del rapporto di lavoro.

6. Il motivo non è fondato in ragione delle considerazioni svolte nella trattazione del primo, del secondo e del terzo motivo, con riguarda al thema decidendum del giudizio, e alla interpretazione delle clausole contrattuali effettuata dalla Corte d’Appello.

7. Con il quinto motivo di ricorso è prospettato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c..

La sentenza di appello è censurata per aver disposto la compensazione delle spese di giudizio in ragione del solo parziale accoglimento dell’appello della Regione.

Assume il ricorrente che la propria domanda al momento della proposizione, anteriore alla fine della legislatura regionale, era pienamente fondata, ed era stata accolta dal Tribunale, e solo in parte rigettata dalla Corte d’Appello, per cui, in appello, vi era stata una soccombenza reciproca solo parziale, e le spese legali potevano essere solo parzialmente compensate.

8. Il motivo non è fondato.

Occorre precisare che l’appello era proposto solo dalla Regione Lazio e veniva accolto in toto atteso che riguardava solo la statuizione del Tribunale sulla determinazione del risarcimento in favore del lavoratore.

In ragione dell’accoglimento dell’appello, in riforma della sentenza del Tribunale, la domanda del lavoratore risultava accolta solo in parte, e a ciò seguiva la disposta compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

Tale statuizione è conforme ai principi affermati da questa Corte secondo cui nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c., dalla L. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa (Cass., n. 26918 del 2018, n. 1572 del 2018).

9. Il ricorso va rigettato.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

11. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00, per esborsi, Euro 5.500,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge nei confronti della Regione Lazio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA