Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14882 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2021, (ud. 12/02/2021, dep. 27/05/2021), n.14882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20961/14 R.G. proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avv. Nicola Candiano ed

elettivamente domiciliato in Roma, circonvallazione Clodia n. 86,

presso lo studio legale Boni;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 64/03/14 della Commissione tributaria

regionale per la Calabria, depositata il 17/01/2014 e non

notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del

12/02/2021 dalla Dott.ssa Pirari Valeria.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In data 15/09/2009, l’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Rossano notificò ad A.A. un atto ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, col quale lo invitò a fornire delucidazioni su alcuni investimenti patrimoniali effettuati negli anni 2005, 2006 e 2007 e sul possesso di tre beni indice al fine di giustificare la propria capacità contributiva, con riguardo all’anno di imposta 2004, cui seguì, successivamente alla presentazione delle deduzioni scritte, la notifica, in data 28/12/2009, di avviso di accertamento, relativo al medesimo anno 2004, col quale fu determinato sinteticamente il reddito ai sensi del medesimo D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, e art. 43, sulla base di quattro incrementi patrimoniali (1) atto del 3/07/2006, con cui era stato deliberato l’aumento del capitale sociale della Media Foods s.r.l., con sottoscrizione da parte del contribuente della propria quota di partecipazione; 2) atto del 2/10/2006, con cui il contribuente aveva acquistato dal proprio genitore, unitamente al fratello, un terreno agricolo in ragione della quota del 50% ciascuno, con prezzo da corrispondere in sei rate mensili a mezzo bonifici bancari; 3) atto del 27/2/2007, col quale il contribuente aveva acquistato dal padre un immobile adibito a propria abitazione in Rossano; 4) atto del 27/2/2007, con il quale il contribuente aveva acquistato dal padre i diritti, pari a 1/3, su una vecchia casa colonica), e del possesso di due beni indice (1) l’immobile in Rossano acquistato il 27/2/2007 e adibito ad abitazione principale; 2) l’immobile sito in Rossano, acquistato per la quota di 1/3 in data 27/2/2007 col medesimo atto del precedente), con determinazione sintetica del reddito e l’attribuzione di maggiore Irpef e addizionale regionale, oltre a sanzioni. Impugnato il predetto atto dal contribuente, la C.T.P. di Cosenza accolse parzialmente il ricorso con sentenza n. 504/04/11 del 3/3/2011 limitatamente alla disponibilità dell’immobile acquistato per la quota di 1/3. In sede di gravame, la C.T.R. per la Calabria, adita dal contribuente, accolse parzialmente l’appello con la sentenza oggi impugnata, limitatamente alla spesa per incremento patrimoniale sostenuta per l’aumento del capitale sociale della Media Foods s.r.l.

2. Avverso questa sentenza, il contribuente propone ricorso per cassazione affidandolo a cinque motivi, illustrati anche con memoria. L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. giustificato l’operato dell’Ufficio in ragione del citato art. 38, comma 5, riguardante le spese per incrementi patrimoniali, da presumersi sostenute nell’anno in cui sono effettuate e nei quattro precedenti, senza considerare che, nella specie, incrementi e beni indice si riferivano ad anni successivi (2006 e 2007) rispetto a quello oggetto di accertamento (2004) e che pertanto gli incrementi, se sussistenti, sarebbero dovuti essere spalmati tra l’anno in verifica e i quattro precedenti (ossia il 2004 e gli anni 2000/2003), senza considerare quelli successivi perchè futuri, mentre i beni indice, posseduti dal 2007, non avrebbero potuto far presumere una maggior capacità contributiva prima del loro possesso e godimento e dunque fin dal 2004.

2. Con il secondo motivo, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. omesso di motivare in relazione alle deduzioni sugli incrementi patrimoniali e avere deciso sulla base di una norma inconferente, benchè fosse data al contribuente la facoltà di difendersi, dimostrando che il maggior reddito, determinato sinteticamente, era costituito da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte o derivava da finanziamenti, disinvestimenti patrimoniali o redditi già tassati in precedenti periodi di imposta.

3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con specifico riguardo all’acquisto del terreno agricolo dal padre. Il contribuente lamenta in particolare il fatto che tale acquisto, non essendo stato mai pagato il prezzo, fosse sostanzialmente avvenuto a titolo gratuito, come arguibile dalla dichiarazione, sotto forma di atto notorio, prodotta in giudizio, avente valore indiziario, e come lo stesso Ufficio, in ottemperanza alla circolare 9 agosto 2007, n. 49/E, avrebbe potuto accertare se, nell’arco temporale considerato, vi fossero state movimentazioni bancarie finalizzate all’adempimento dell’obbligazione assunta con l’atto di compravendita, nel quale, invece, si dava conto delle modalità di pagamento del prezzo, in rate da corrispondere entro sei mesi.

4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. 10 settembre 1992, art. 2, comma 2, e circolari applicative, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il contribuente rileva, in particolare, che, a mente del predetto D.M., non si sarebbero dovuti tenere in considerazione, ai fini del computo del redditometro, gli acquisti afferenti esclusivamente all’attività di impresa o all’esercizio di arti o professioni, tale essendo, nella specie, il maggior incremento patrimoniale contestato dall’Ufficio e dovuto all’acquisto del terreno agricolo, costituente bene strumentale per l’attività agricola da lui svolta, come dimostrato dalla sua stessa dichiarazione dei redditi, nella quale risultavano i redditi dominicali e agrari, e dall’atto di compravendita, contenente la sua dichiarazione di volersi avvalere, in qualità di imprenditore agricolo, delle agevolazioni fiscali previste per la piccola proprietà contadina ex D.L. n. 114 del 1948, e successive modifiche e integrazioni.

5. Col quinto motivo, infine, si lamenta la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 25, e la falsa applicazione della circolare 9 agosto 2007, n. 49/E, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essere stati valutati, come motivo di ulteriore giustificazione del contribuente, i volumi d’affari Iva del periodo 1997/2007, riportati in apposito prospetto e già nella disponibilità dell’Ufficio per il tramite delle proprie dichiarazioni fiscali e del loro corredo documentale, benchè l’Agenzia delle Entrate invitasse gli uffici periferici a valutare la posizione delle persone fisiche che, nei periodi di imposta, avessero dichiarato di svolgere attività agricola e dunque il volume d’affari Iva, quale termine di valutazione del potenziale reddito ricavabile dall’attività, nel caso in cui queste avessero dichiarato redditi agrari tassati in base alla rendita catastale.

6. Il primo motivo è infondato.

Va innanzitutto detto che, in seguito al parziale accoglimento dei ricorsi nei due gradi di merito, l’accertamento sintetico deve intendersi ora fondato esclusivamente su due incrementi patrimoniali, ossia l’atto di acquisto dal padre della quota del 50% di un terreno agricolo, al prezzo di 235.000,00, datato 2/10/2006, e l’atto di acquisto dal padre dell’immobile adibito ad abitazione del contribuente in Rossano, datato27/2/2007, nonchè sul possesso di un solo bene indice, ossia quest’ultima unità immobiliare.

Orbene, al fine di individuare quale sia la norma applicabile al caso di specie, deve farsi riferimento al D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, comma 1, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, a mente della quale le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, producono effetti “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ossia per l’accertamento del reddito relativo a periodi d’imposta successivi al 2009 (in termini Cass., sez. 6-5, 06/10/2014, n. 21041).

E poichè l’oggetto della odierna contesa riguarda l’anno di imposta 2004, trova applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nella formulazione antecedente alla novella del 2010.

Quest’ultima disposizione consente, in particolare,

all’Amministrazione finanziaria di procedere ad accertamento sintetico del reddito complessivo netto del contribuente quando quello dichiarato sia incongruo, per due o più periodi di imposta, rispetto agli elementi indicativi di capacità contributiva individuati con decreto del Ministero delle Finanze, da cui si discosti per almeno un quarto, e di farlo sulla base del contenuto induttivo di elementi e circostanze di fatto certi. Quando poi la determinazione sintetica del reddito complessivo netto sia fatta sulla base della “spesa per incrementi patrimoniali”, la stessa si presume sostenuta con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata fatta e nei quattro precedenti.

Orbene, questa Corte ha avuto modo di affermare che l’Ufficio, nel determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica, in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito, può usare elementi che evidenzino, in relazione agli esborsi necessari agli acquisti, un previo accumulo di redditi superiori a quelli analiticamente determinabili (Cfr. Cass., Sez. 5, 23/07/2007, n. 16284; Cass., Sez. 1, 11/05/1992, n. 5599; Cass., Sez. 5, 20/04/2012, n. 6222), e che non necessariamente devono riferirsi all’anno in contestazione, ma possono essere accaduti in anni diversi, allorchè si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori e autonomi indici contributivi (Cfr. Cass., Sez. 5, 01/07/2003, n. 10371; Cass., Sez. 5, 07/06/2006, n. 13316; Cass., Sez. 5, 21/06/2002, n. 9099; Cass., Sez. 5, 20/04/2012, n. 6222).

Alla luce di tali principi, può perciò affermarsi che i giudici di merito, includendo ai fini del redditometro per l’anno in contestazione l’immobile sito in Rossano e quello acquisito in proprietà per la quota di un terzo, benchè acquistati soltanto nel 2007, abbiano operato correttamente, atteso che i relativi costi ben potevano presumersi affrontati dal contribuente attraverso l’utilizzo di risorse accumulate nei quattro anni antecedenti rispetto a quello di riferimento, conformemente alle previsioni dell’art. 38 e all’ambito temporale coperto dalla presunzione di legge in esso prevista, e dunque anche nel 2004, e che tale circostanza costituisce in sè indice di una disponibilità economica superiore a quella risultante dal reddito complessivo netto dichiarato anche con riguardo a quella annualità.

Da ciò consegue l’infondatezza del motivo.

7. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.

Come si è detto, il contribuente si è doluto, con tali censure, del fatto che i giudici di merito avessero omesso di motivare sulle deduzioni difensive da lui proposte in merito agli incrementi patrimoniali contestatigli e di valutare la natura sostanzialmente gratuita dell’acquisto del terreno agricolo.

In realtà il contribuente non si confronta con quanto effettivamente asserito dalla C.T.R. la quale, sotto il paragrafo dicente “giustificazioni ritenute non congrue”, ha ritenuto di stigmatizzare il gravame proposto in quanto meramente ripropositivo di “argomenti già esposti in primo grado” ed espressivo di “censure generiche, prive della necessaria puntualità e dell’indispensabile ancoraggio a circostanze di fatto”, sia quanto ai “redditi esenti di derivazione AGEA”, rispetto ai quali la sentenza era stata contestata con “un censorio apodittico giudizio di assenza di qualsivoglia rilevanza”, sia quanto ai “disinvestimenti, laddove – pur in presenza di alcuni passaggi della sentenza non propriamente inequivoci – il gravame non reca argomenti tali da minare, in modo condivisibile, la motivazione della sentenza”, sostanzialmente pronunciandosi in termini di inammissibilità del ricorso. A poco rileva il fatto che poi i giudici, passando al merito delle questioni, abbiano evidenziato i contenuti della sentenza impugnata, sia con riguardo al giudizio di congruità delle considerazioni dell’Ufficio in essa espresso, sia con riguardo alla risalenza nel tempo dei disinvestimenti operati dal contribuente, sia con riguardo alla inidoneità della sola dichiarazione a firma del genitore del contribuente a superare i contenuti dell’atto pubblico di compravendita.

E invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare la motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata, rispetto alla quale l’eventuale impugnazione sarebbe inammissibile per difetto di interesse, ma è tenuta viceversa a censurare la sola dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione (in tal senso, Cass., Sez. U, 20/02/2007, n. 3840; Cass., Sez. L, 15/06/2007, n. 13997; Cass., Sez. 3, 05/07/2007, n. 15234; Cass., Sez. U, 17/06/2013, n. 15122; Cass., Sez. 3, 20/08/2015, n. 17004; Cass., Sez. 6 – 5, 19/12/2017, n. 30393; Cass., Sez. 1, 16/06/2020, n. 11675).

Pertanto, quando i giudici d’appello si pronuncino in termini di inammissibilità di uno o più motivi di gravame, in quanto ritenuti privi di specificità, come nella specie, il ricorrente per cassazione contro tale sentenza, ove intenda impedirne il passaggio in giudicato nella parte relativa alla dichiarata inammissibilità, ha l’onere di denunziare l’errore in cui è incorsa la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto non specifico, aveva invece i requisiti richiesti dell’art. 342 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 09/03/1995, n. 2749; Cass., Sez. L, 14/05/2004, n. 9243), essendo ammissibile la sola impugnazione che si rivolga esclusivamente a tale pregiudiziale statuizione (vedi Cass., Sez. U, 20/02/2007, n. 3840 cit., Cass., Sez. 2, 20/08/2019).

Nella specie, invece, il ricorrente non ha formulato alcuna specifica censura in ordine alla predetta statuizione di inammissibilità, nè ha addotto ragioni volte a manifestare l’erroneità della stessa, ma si è limitato a proporre motivi afferenti esclusivamente al merito della decisione, in assenza di interesse, stante il passaggio in giudicato della questione pregiudiziale.

Ne consegue l’inammissibilità dei motivi.

9. Il quarto motivo è parimenti inammissibile.

Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6 – 5, 13/12/2019, n. 32804).

Nella specie il ricorrente, nell’evidenziare l’inapplicabilità del redditometro ai redditi di impresa o di lavoro autonomo e dunque a beni o servizi funzionali a tali attività e nell’affermare che il terreno agricolo acquistato con atto del 2/10/2006 costituiva bene strumentale all’attività di impresa agricola da egli esercitata, questioni queste in alcun modo trattate nella sentenza impugnata, si è limitato a dire di avere richiamato il contenuto del D.M. 10 settembre 1992, art. 2, comma 2, nell’atto di appello, senza specificare però se la questione fosse stata affrontata fin dalla prima fase del giudizio.

In assenza di precisazioni al riguardo contenute nel ricorso, la censura deve reputarsi inammissibile.

10. Il quinto motivo è infondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 (e, nella specie, dei D.M. 19 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992), l’amministrazione delle finanze può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto comprensiva del solo reddito agrario del fondo da lui condotto, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (consistenti negli indici di spesa più vari, ivi compreso l’acquisto di beni immobili, quando il reddito accertabile si discosti di almeno un quarto da quello dichiarato, ai sensi del del detto art. 38, comma 4) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo, salva la facoltà del contribuente di dimostrare, a norma dell’art. 38, comma 6, che il reddito accertato, maggiore del reddito fondiario dichiarato – determinato sulla base della rendita catastale, e quindi in ipotesi anche inferiore a quello effettivo -, deriva dalla sfruttamento del fondo e non è pertanto soggetto ad ulteriore imposizione (Cass., Sez. 5, 08/05/2003, n. 7005; Cass., Sez. 5, 28/06/2006, n. 14948; Cass., Sez. 5, 15/04/2011, n. 8673; Cass., Sez. 5, 16/05/2014, n. 10747; Cass., Sez. 5, 17/09/2014, n. 19557; Cass., Sez. 5, 30/12/2019, n. 34704).

Non assume rilievo invece il fatto che nella premessa della circolare 9 agosto 2007, n. 49/E, recante istruzioni operative in merito all’accertamento del reddito complessivo netto delle persone fisiche determinato sinteticamente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, sia indicata come “opportuna” l’attenta valutazione della “posizione delle persone fisiche che hanno dichiarato di svolgere attività agricole; in particolare, se il soggetto ha dichiarato redditi agrari, tassati non in base al reddito effettivo prodotto, bensì in base alla rendita catastale; in tale caso il volume di affari IVA dichiarato può rappresentare un termine di valutazione del potenziale reddito ricavabile dall’attività ai fini della proficuità dell’azione accertatrice”.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate interpretativa di una norma tributaria, infatti, anche ove contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un parere, non vincolante per il contribuente, per gli uffici, per il giudice e per la stessa autorità che l’ha emanata (Cass., Sez. 5, 21/03/2014, n. 6699).

Ne consegue l’infondatezza del motivo.

11. In conclusione, deve dichiararsi l’infondatezza del primo e del quinto motivo e l’inammissibilità del secondo, del terzo e del quarto. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

 

 

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