Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14877 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/06/2017, (ud. 26/10/2016, dep.15/06/2017),  n. 14877

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21537-2014 proposto da:

G.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante

pro tempore della GAM S.P.A., nonchè FINCOM, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA,

VICOLO ORBITELLI 31, presso l’avvocato VINCENZO ZENO ZENCOVICH, che

li rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

FORGIONE FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 212, presso l’avvocato NICOLA CICONTE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato NICOLA NANNI, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A., FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1622/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato VINCENZO ZENO ZENCOVICH che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato NICOLA CICONTE (anche per

l’avv. NANNI) che ha chiesto l’inammissibilità ed il rigetto del

ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.A., in proprio e quale legale rappresentante della GAM spa, e la Fincom spa, hanno convenuto in giudizio F.F. e la (OMISSIS) spa, lamentando la falsità e la natura diffamatoria delle notizie che li riguardavano, contenute in un libro pubblicato nel (OMISSIS) con il titolo “(OMISSIS)”, con sottotitolo “(OMISSIS)” di cui il F. era stato presidente e relatore, e ne hanno chiesto la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non.

Nel contraddittorio delle parti, il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda. Il gravame degli attori è stato rigettato dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza 6 maggio 2014, la quale ha condiviso la valutazione del primo giudice secondo cui il libro costituiva legittima espressione della libertà di informazione.

Avverso questa sentenza G.A., la GAM e la Fincom hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria; il F. si è difeso con controricorso; la (OMISSIS) non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2043 c.c. e art. 595 c.p. per avere applicato al F. l’esimente del diritto di cronaca, erroneamente richiamando l’orientamento giurisprudenziale che ritiene scriminata la condotta del giornalista che si limiti a riportare le dichiarazioni rese in sede giudiziaria o in una sede analoga, nel qual caso il suo obbligo sarebbe solo quello di verificare l’esistenza della dichiarazione ma non di accertare la verità del contenuto di essa: il F., invece, aveva riferito atti o fatti posti in essere non da terzi ma da lui stesso, essendo autore della relazione della Commissione antimafia che aveva fatto circolare a proprio nome con l’intenzione di offendere, come sarebbe dimostrato dal fatto di avere obliterato elementi favorevoli agli accusati.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha ritenuto che il libro costituisse legittima espressione della libertà di informazione: era rispettato il requisito della verità della notizia, rappresentando il testo censurato la trasposizione fedele ed integrale della predetta relazione della Commissione d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata, approvata nella seduta del 19 febbraio 2008, senza alcun contributo aggiuntivo idoneo ad avvalorare l’oggettiva verità dei fatti esposti che coinvolgevano i sig.ri G.; la verità della notizia, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, doveva essere riferita non al contenuto e alla verità accertata delle informazioni divulgate, che poteva essere oggetto di accertamento in altra sede con riguardo ad eventuali profili penalistici, ma al fatto stesso delle risultanze dei lavori parlamentari che avevano avuto risalto sulla stampa nazionale e locale e che riguardavano una tematica di evidente interesse per il pubblico, nè era in discussione la continenza delle espressioni utilizzate.

Queste argomentazioni trovano parziale conferma nel costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui la notizia diffusa da un giornalista consista nella cronaca di una dichiarazione resa in sede giudiziaria e lesiva dell’altrui reputazione, non può ritenersi che egli sia tenuto a svolgere specifiche indagini sull’attendibilità del dichiarante, poichè tale valutazione riguarda il merito della dichiarazione e la sua rispondenza a verità, mentre sussiste per il giornalista solo l’obbligo di accertare che la dichiarazione sia stata effettivamente resa ed in quale contesto (v. Cass. n. 5727/2009); in tal caso dell’esercizio del diritto di applicabile la scriminante cronaca, a condizione che laqualità dei soggetti coinvolti, la materia della discussione ed il più generale contesto in cui le dichiarazioni sono state rese presentino, sulla base di una valutazione riservata al giudice di merito (insindacabile in sede di legittimità se sorretta da logica ed adeguata motivazione), indiscutibili profili di interesse pubblico all’informazione tali da far prevalere sulla posizione soggettiva del singolo il diritto di informare del giornalista (v. Cass. n. 10686/2008).

Il ricorrente ha però obiettato che il F. non è un giornalista terzo ma l’autore della relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle associazioni criminali simililari, sicchè la citata giurisprudenza non sarebbe utile a dimostrare, nella specie, l’applicabilità della richiamata scriminante del diritto di cronaca, riguardante soltanto la divulgazione da parte dei giornalisti delle dichiarazioni rese nell’ambito dell’attività giudiziaria.

Questa obiezione coglie un frammento di verità, poichè, sebbene la legge istitutiva preveda che la predetta Commissione d’inchiesta “procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria” (L. n. 509 del 1996, art. 1, comma 2), vero che la Commissione non è un organo giurisdizionale.

Suo compito, infatti, come evidenziato dalla Corte costituzionale, “non è di giudicare, ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l’esercizio delle funzioni delle Camere”; le Commissioni “non tendono a produrre, nè le loro relazioni conclusive producono, alcuna modificazione giuridica (…) ma hanno semplicemente lo scopo di mettere a disposizione delle Assemblee tutti gli elementi utili affinchè queste possano, con piena cognizione delle situazioni di fatto, deliberare la propria linea di condotta, sia promuovendo misure legislative, sia invitando il Governo ad adottare, per quanto di sua competenza, i provvedimenti del caso”; “L’attività di inchiesta rientra, insomma, nella più lata nozione della funzione ispettiva delle Camere; muove da cause politiche ed ha finalità del pari politiche; nè potrebbe rivolgersi ad accertare reati e connesse responsabilità di ordine penale, chè se così per avventura facesse, invaderebbe indebitamente la sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale. E, ove nel corso delle indagini vengano a conoscenza di fatti che possano costituire reato, le Commissioni sono tenute a farne rapporto all’autorità giudiziaria (…) le persone dalle Commissioni interrogate non depongono propriamente quali testimoni, ma forniscono informazioni; e lo stesso è a dirsi delle relazioni varie che pubbliche autorità possono, su richiesta delle Commissioni, ad esse presentare con riferimento a determinate situazioni e circostanze ambientali, tra cui bene possono trovar posto anche stati d’animo e convincimenti diffusi, registrati per quel che sono, indipendentemente dalla loro fondatezza, da chi, per la sua particolare esperienza o per l’ufficio ricoperto, sia meglio in grado di averne diretta notizia” (Corte cost. n. 231/1975). I soggetti interrogati dalle commissioni non depongono quali testimoni, atteso che le dichiarazioni rese dalle persone esaminate dalle commissioni parlamentari d’inchiesta sono finalizzate non già alla formazione della prova per la emissione di un giudizio, bensì a raccogliere informazioni necessarie all’esercizio dell’attività delle assemblee legislative, di cui le anzidette commissioni sono espressione (v. anche Cass., sez. un. pen., n. 4/1983).

L’obiezione in esame non scalfisce, tuttavia, la sostanziale esattezza della conclusione cui è approdata la Corte di merito, secondo la quale, a fronte della pubblicazione della relazione integrale della Commissione (senza aggiunte nè commenti), non sono ravvisabili situazioni soggettive giustiziabili in relazione alla divulgazione di fatti e notizie che si assume di fonte incerta o non qualificata e di contenuto denigratorio.

La giurisprudenza ha rilevato che le commissioni parlamentari d’inchiesta, per la loro estrazione esclusivamente parlamentare, per la loro composizione rappresentativa di tutti i gruppi parlamentari e per i poteri ad esse conferiti, a norma dell’art. 82 Cost., sono organismi politici e “sostituiscono ope constitutionis lo stesso Parlamento, dichiarandone perciò definitivamente la volontà, ai sensi della L. n. 87 del 1953, art. 37, comma 1” (Cass., sez. un. pen. del 1983 cit.; Corte cost. n. 73/2006; la Corte cost., n. 219/2003, ha giudicato insindacabili le dichiarazioni rese da un senatore imputato di diffamazione aggravata a mezzo stampa che riproducevano e, quindi, divulgavano il contenuto di una comunicazione da lui inviata al presidente della commissione parlamentare, la quale presentava le caratteristiche degli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni parlamentari).

E’ opportuno precisare che la connotazione di istituzionale supremazia e sovranità (e relativa insindacabilità) che caratterizza l’attività delle predette commissioni vale esclusivamente per “l’espletamento e per la durata del loro mandato” (Corte cost. n. 241/2007, n. 73/2006 cit.) e, una volta conclusa la loro attività con il deposito della relazione finale, questa di regola non può dirsi segreta, come si desume dal rilievo della tipicità degli atti coperti da segreto (v. L. n. 509 del 1996, art. 4, comma 2).

Ne consegue che, con la pubblicazione del libro contestato, il F. si è limitato a divulgare il contenuto di una relazione che era già pubblica, sicchè il contributo da esso dato alla divulgazione di quel testo deve ritenersi privo di apprezzabile rilevanza causale nella produzione del danno lamentato dai ricorrenti. In tal senso la motivazione della sentenza impugnata dev’essere integrata, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 2735 c.c., per avere la Corte d’appello risposto in modo inconferente al motivo di gravame con il quale essi avevano lamentato il rilievo d’ufficio da parte del Tribunale di un fatto (circa la mancata notifica al F. dell’atto di citazione in giudizio con il quale il G. aveva smentito i fatti narrati nella relazione della commissione parlamentare) che era invece incontestato e che dimostrava che il F., pur essendone a conoscenza, non aveva dato conto di circostanze successive al deposito della relazione parlamentare.

Il motivo è inammissibile, non essendo la violazione dell’art. 115 c.p.c. ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso – che non ricorre nella specie – in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., sez. un., n. 16598/2016, n. 11892/2016).

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Sussistono i presupposti per porre a carico dei ricorrenti il pagamento dell’ulteriore contributo previsto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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