Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14876 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/06/2017, (ud. 30/03/2017, dep.15/06/2017),  n. 14876

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22103-2011 proposto da:

CONSORZIO BONIFICA ROMAGNA OCCIDENTALE, C.F. (OMISSIS), in persona

del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo studio

dell’avvocato EDUARDO GREGORACI, rappresentato e difeso

dall’avvocato STEFANO DALLA VALLE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. CARTOLARIZZAZIONE CREDITI

INPS S.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA

29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e

difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO

MARITATO, ENRICO MITTONI, giusta delega in calce al ricorso

notificato;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 972/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 14/09/2010 R.G.N. 1406/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato M.A. per delega Avvocato DALLA VALLE

STEFANO;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Consorzio di Bonifica della Romagna Occidentale propose opposizione dinanzi al Tribunale di Ravenna contro l’iscrizione a ruolo e la conseguente cartella di pagamento, notificata nell’interesse dell’Inps, avente ad oggetto contributi addizionali IVA ai sensi della L. 5 novembre 1968, n. 1115, relativamente al periodo gennaio 1988-giugno 1990.

2. Il Tribunale accolse l’opposizione e annullò il ruolo considerando che, ai sensi della L. 31 marzo 1979, n. 92, art. 6 ai fini previdenziali gli operai dipendenti dei consorzi devono essere considerati lavoratori agricoli e che, pertanto, non potevano essere addebitati all’ente i contributi addizionali i quali suppongono l’esercizio di attività industriale.

3. La sentenza, impugnata dall’Inps, è stata riformata dalla Corte d’appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 14/9/2010, la quale ha rigettato l’opposizione proposta dal Consorzio e ha compensato tra le parti le spese dell’intero giudizio. La Corte territoriale, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, ha ritenuto che, conformemente a quanto previsto nello statuto, l’attività svolta dal consorzio ha natura industriale.

Contro la sentenza, il Consorzio propone ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. L’Inps si difende con procura in calce alla copia del ricorso notificato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è articolato sulla violazione e falsa applicazione della L. 31 marzo 1979, n. 92, art. 6, comma 1, lett. b). Il Consorzio sostiene che, a fronte del chiaro dettato normativo, la Corte territoriale ha dato valenza probatoria allo statuto consortile piuttosto che all’attività in concreto svolta dai dipendenti e senza che fosse mai stata dimostrata in giudizio la natura industriale della sua attività.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza per la omessa o contraddittoria motivazione, giacchè pur riconoscendo il carattere strettamente agricolo dell’attività del consorzio ha comunque disposto una consulenza tecnica d’ufficio diretta ad accertare “l’effettivo comparto di attività”, per poi concludere per la sua natura industriale.

3. Il terzo motivo è incentrato sulla violazione o falsa applicazione della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 49, comma 1, lett. a) e c): secondo il ricorrente, la Corte bolognese non si è attenuta ai criteri classificatori previsti dalla legge citata, nè ha tenuto conto che, secondo il disposto della L. n. 92 del 1979, art. 6 che ha valore di norma speciale, i consorzi di bonifica non possono essere inquadrati nel settore industriale, come peraltro indicato nella circolare Inps 26/2/1986, n. 42.

4. Il quarto motivo è articolato sul vizio di motivazione, che il ricorrente ravvisa nel fatto che la Corte avrebbe disatteso senza adeguata motivazione le conclusioni del c.t.u., che deponevano nel senso della natura agricola dell’attività in concreto svolta, sì che anche al personale con qualifiche impiegatizie e dirigenziali avrebbe dovuto essere applicato l’inquadramento del settore agricolo.

5. Il quinto motivo ha ad oggetto la violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel compensare le spese di lite in difetto dei presupposti di legge.

6. I motivi si esaminano congiuntamente. Essi sono infondati, oltre a presentare profili di inammissibilità.

6.1. L’inammissibilità sta nel fatto che la parte non trascrive nella sua integrità la consulenza tecnica d’ufficio, nè riporta, quanto meno nelle sue parti salienti, lo statuto del Consorzio in base ai quali la Corte ha ritenuto di attribuire natura industriale all’attività svolta da esso svolta. Inoltre, la parte non deposita tali atti unitamente al ricorso per cassazione, nè fornisce precise indicazioni per una loro facile reperibilità nei fascicoli di parte o d’ufficio dei precedenti gradi del giudizio.

6.2. I motivi inerenti essenzialmente al vizio di motivazione non sono stati dunque formulati in ossequio al principio di autosufficienza, o meglio di specificità, in base al quale qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito (come accade nella specie con riguardo sia alla consulenza tecnica d’ufficio sia allo statuto) per rispettare il suddetto principio egli ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali e assolvendo, così, il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), al fine di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. Sez. U. 11/4/2012, n. 5698; Cass. Sez. Un. 3/11/2011, n. 22726).

7. Ma neppure sussistono le denunciate violazioni di legge.

7.1. Questa Corte ha avuto modo di affermare in controversie analoghe i seguenti principi di diritto: a) i consorzi di bonifica (anche se talvolta ricondotti dalla legge al settore agricolo ai fini previdenziali) non sono imprenditori agricoli ed hanno natura industriale avendo per oggetto il raggiungimento di fini generali di carattere pubblico e trascendenti gli interessi dei singoli consorziati, ancorchè svolgano attività in parte strumentali all’agricoltura (Cass. 26/11/1999, n. 13216; Cass. 1317/2000, n. 9300; Cass. 27/10/2000, n. 14232; Cass. 14/7/2011, n. 15494); b) anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 155 del 1981, art. 16 cit., per l’individuazione delle imprese tenute al pagamento del contributo addizionale dello 0,15 % si deve far riferimento alla L. n. 1115 del 1968, art. 12 che, nel porre il suddetto obbligo a carico di tutte le “imprese industriali diverse da quelle edili”, si riferisce anche alle imprese industriali che, appartenendo ad enti pubblici, sono “escluse dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai” D.L.C.P.S. n. 869 del 1947, ex art. 3 sostituito dalla L. n. 270 del 1988, art. 4 (Cass. 6/7/2001, n. 9157; Cass. 21/08/2006, n. 18206).

7.2. Per quanto concerne il punto sub a), il ricorrente non ha adeguatamente censurato l’affermazione della Corte territoriale secondo cui lo Statuto del Consorzio prevede lo svolgimento di attività industriale, come la creazione e la manutenzione di infrastrutture, e che esso persegue finalità di natura pubblica e industriale. Trattasi all’evidenza di finalità che conducono all’inquadramento del Consorzio nel settore industriale, poichè trascendono le caratteristiche attività proprie della Impresa agricola desumibili dall’art. 2135 c.c., benchè siano finalizzate allo sviluppo delle imprese agricole consorziate.

La Corte territoriale è pervenuta a tale giudizio anche sulla base della consulenza tecnica d’ufficio che ha accertato l’esistenza all’interno del consorzio di un intero comparto, cui è addetto il personale impiegatizio, avente ad oggetto attività diversa da quella agricola e corrispondente alle finalità dello statuto: la censura che investe la consulenza tecnica d’ufficio è, come si è detto, affetta da palese genericità, sicchè non è idonea a scalfire la motivazione, la quale è certamente esistente, adeguatamente sostenuta da evidenze istruttorie e priva di illogicità o contraddittorietà.

7.3. Per quanto concerne il punto sub b) questa Corte, con sentenza n. 9157/2001, cit., richiamata da Cass. n. 4664/2004, cit., ha già avuto modo di precisare che la lettura delle norme di cui alla L. n. 1115 del 1968, art. 11 e della L. n. 155 del 1981, art. 16 non autorizza affatto una interpretazione che porti a far coincidere le imprese industriali tenute al pagamento dell’addizionale dello 0,15% con le imprese i cui lavoratori dipendenti possono beneficiare del prepensionamento. In particolare la L. n. 1115 del 1968, art. 12 nel porre l’obbligo della contribuzione a carico di tutte le “imprese industriali diverse da quelle edili”, non pone limitazioni di sorta, fatta eccezione per le imprese edili, e ricomprende certamente nel suo ambito di applicazione anche le imprese industriali che, appartenendo ad enti pubblici, sono “escluse dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai” (D.L.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3).

7.4. Al riguardo, nessun rilievo può assumere la norma della L. 31 marzo 1979, n. 92, art. 6, secondo cui, agli effetti delle norme di previdenza ed assistenza sociale, si considerano lavoratori agricoli dipendenti gli operai assunti a tempo indeterminato o determinato dai Consorzi di Bonifica per l’attività di manutenzione degli impianti irrigui, di scolo e di somministrazione delle acque ad uso irriguo o per lavori di forestazione, in quanto tale disposizione di legge ha carattere innovativo ed eccezionale, nella parte in cui si dispone, solo ai fini contributivi, l’inquadrabilità nel settore agricolo di lavoratori altrimenti inquadrabili nel settore industriale, in ragione della natura industriale dei Consorzi stessi, aventi per oggetto il raggiungimento di fini generali di carattere pubblico, che trascendono l’interesse dei singoli consorziati (in tal senso, Cass. 21/8/2006, n. 18207).

Nè smentisce l’affermata natura industriale dei consorzi di bonifica la L. n. 88 del 1989, l’art. 49, comma 1 il quale, nel classificare i datori di lavoro a fini assistenziali e previdenziali, fa riferimento non al tipo di imprese, ma alle attività svolte nonchè ai settori in cui esse operano (Cass. 5/5/2001, n. 6313).

Agli orientamenti della giurisprudenza appena richiamata si è attenuta la Corte bolognese che, del tutto correttamente, esaminando lo statuto – fonte legittima e più qualificata per individuare l’ambito delle competenze e delle attività perseguite dal Consorzio ricorrente ne ha individuato la natura industriale.

8. L’ultimo motivo concernente le spese è evidentemente inammissibile per carenza di interesse, giacchè ove esso fosse accolto, ove cioè si dovessero ritenere insussistenti i presupposti per la compensazione delle spese, l’unica conseguenza sarebbe la condanna della parte al pagamento, in favore dell’Inps, delle spese del giudizio d’appello, in considerazione della dichiarata soccombenza del consorzio medesimo.

9. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e la società deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del principio della soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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