Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14873 del 13/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 13/07/2020), n.14873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5571-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che o rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COLDGEST SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA 19,

presso lo studio dell’avvocato FRANCO PAPARELLA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANDREA PARLATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2013 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 08/C1/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa CORRADINI GRAZIA;

lette le conclusioni scritte Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento – emesso sulla base di una verifica della Guardia di Finanza, a seguito della quale era stato notificato un processo verbale di constatazione per l’anno di imposta 2001 che aveva riscontrato la indebita deduzione di elementi negativi di costo e la sussistenza di componenti positivi non dichiarati e della consequenziale IVA – la Agenzia delle Entrate, Ufficio di Palermo 2 rettificò, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, il reddito imponibile dichiarato dalla Spa COLDGEST, esercente la attività di gestione di magazzini per conto terzi, ai fini IRES ed in conseguenza il reddito ai fini IRAP e l’IVA indebitamente detratta nelle fatture relative a dette operazioni.

Il ricorso, proposto contro l’accertamento dalla Spa COLDGEST per motivi formali ma anche sostanziali, fu accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo con sentenza n. 93/10/2008, la quale ritenne la sussistenza del difetto di motivazione dell’accertamento e la illegittimità dei recuperi operati dall’Ufficio.

Investita dall’appello principale proposto dalla Agenzia delle Entrate che sostenne la correttezza della motivazione dell’accertamento e delle riprese eseguite, nonchè dall’appello incidentale della contribuente che ripropose i motivi formali già respinti dal primo giudice e ribadì la erroneità delle riprese eseguite con l’accertamento, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con sentenza n. 7/35/2013, rigettò l’appello incidentale della contribuente ed, in parziale accoglimento dell’appello principale della Agenzia delle Entrate, ritenne corretto il recupero relativo all’ammortamento, relativo alla cessione del marchio, eseguito in misura superiore ad 1/10 del costo di acquisizione, in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, comma 1, ed in conseguenza rigettò il ricorso iniziale su tale punto, mentre invece ritenne legittima la deduzione dei costi per Euro 235.903,09, derivanti da tre fatture per servizi resi alla Coldgest Spa – che la Agenzia delle Entrate aveva escluso per genericità della descrizione nelle fatture delle prestazioni rese -ed in conseguenza confermò l’accoglimento del ricorso iniziale sotto tale profilo. In proposito la Commissione Tributaria Regionale rilevò che la pretesa genericità delle fatture non era adeguatamente supportata da un esame critico della documentazione giustificativa prodotta dalla contribuente, che aveva presentato i contratti relativi ai servizi con riguardo ai quali erano state emesse le fatture, contenenti specificamente le attività di servizio in outsourcing commissionate dalla Coldgest alla Srl Horigel per attività di studio sui consumi energetici presso gli stabilimenti Coldgest e che, pur non essendo stata dimostrata la congruità delle tariffe per le prestazioni rese dalla società di servizio, peraltro “doveva essere riconosciuta ammissibile la esistenza di un collegamento fattuale tra le fatture esaminate dai verbalizzanti (riferite agli anni dal 1999 al 2001)….e i contratti di servizi di cui è sopra cenno, con conseguente impossibilità, alla luce della documentazione in atti, di ritenere che la indeducibilità di detti costi esposta in avviso di accertamento sia supportata da validi elementi di certezza”.

Contro la sentenza di appello, depositata in data 8.1.2013, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con atto consegnato all’UNEP di Roma il 20.2.2014 e ricevuto il 5 marzo successivo, affidato ad un solo motivo.

La contribuente si è costituita con controricorso sostenendo la inammissibilità del ricorso per mancata indicazione della esposizione sommaria dei fatti di causa e comunque la infondatezza dello stesso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con un unico motivo “misto” la Agenzia delle Entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 2697 c.c. ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, per avere la sentenza impugnata, laddove aveva ritenuto “non dimostrata la congruità delle tariffe per le prestazioni rese dalle società di servizio”, erroneamente applicato la regola iuris per cui “è onere del contribuente dimostrare tutti i presupposti e requisiti dei componenti negativi affinchè possa concorrere a determinare il risultato finale del periodo di imposta” e per avere ingiustificatamente deciso in senso favorevole alla società omettendo di esaminare un elemento fondamentale in relazione al rilievo fiscale oggetto di contestazione fra le parti e cioè se vi fosse stata o meno la piena dimostrazione della congruità delle tariffe per le prestazioni rese dalla società di servizio; circostanza che, se considerata, sarebbe stata idonea di per sè a condurre ad una decisione diversa da quella effettivamente adottata.

2. Il motivo, pur se “misto” o “composito”, è ammissibile in quanto, come ritenuto anche dalle sezioni unite di questa Corte (v. Cass. Sez. U., 06/05/2015, n. 9100, Rv. 635452-01; Cass. sez. 6-3, 17/03/2017, n. 7009, Rv. 643681-01) poichè, in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi. Il che è quanto avvenuto nel caso in esame, in cui anche nella esposizione i due motivi recano due diverse numerazioni e la loro illustrazione è contenuta in due punti separati, cosicchè non esiste confusione fra le due diverse doglianze proposte.

3. E’ poi infondata anche la questione di inammissibilità del ricorso proposta dalla società contribuente sotto il profilo della mancata esposizione sommaria dei fatti di causa, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè, se è vero che nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (v., per tutte, Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 10072 del 24/04/2018 Rv. 648165 – 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018 Rv. 651277 – 01), peraltro il ricorso, nel caso in esame, contiene tale esposizione con riguardo al contenuto dell’accertamento, del ricorso, degli atti difensivi successivi e delle sentenze di primo e di secondo grado, ovviamente in forma sintetica, come previsto dalla norma, mentre è infondata la pretesa della contribuente che il ricorso debba contenere dettagliatamente le numerose argomentazioni sollevate dal contribuente nel giudizio di primo e di secondo grado e la trascrizione integrale di tutti i passaggi della sentenza impugnata. Il ricorso deve infatti contenere – oltretutto sommariamente – solo la ricostruzione dei fatti utili ai fini della decisione e cioè dei fatti contestati, evitando di riportare le questioni ormai non riproposte e soprattutto di ricopiare anche quanto non interessa, il che potrebbe determinare invece la sua inammissibilità, in assenza della valutazione critica del materiale acquisito nei giudizi di merito in relazione ai motivi di ricorso.

3. Il motivo è però infondato.

4. Quanto al profilo della violazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la Agenzia ricorrente ha lamentato, nella sostanza, la erronea applicazione della regola dell’onere della prova, con riguardo alla deduzione dei costi ai fini della determinazione del reddito di impresa, poichè sarebbe spettato alla contribuente dare la dimostrazione anche della congruità delle tariffe per le prestazioni rese dalle società di servizi, mentre nella specie la stessa sentenza aveva riconosciuto che tale prova non sarebbe stata fornita dalla parte che ne aveva l’onere.

4.1. In effetti, il vizio di violazione di legge può essere posto anche con riguardo alla violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01) e in proposito la regola iuris è quella richiamata dal contribuente per cui la prova della effettività dei costi deve essere offerta dal contribuente, al fine di consentirne la detrazione. Però, in tema di imposte sui redditi delle società, che qui viene in considerazione, il principio dell’inerenza dei costi deducibili, in primo luogo, si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, ora del medesimo D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (v. per tutte Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 30366 del 21/11/2019 Rv. 655932 – 01). Inoltre, pur gravando sul contribuente l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, la sentenza impugnata ha analizzato le prove dedotte dalla contribuente ed in particolare i contratti di servizio, prodotti in allegato al ricorso introduttivo del giudizio, con cui la Coldgest Spa, a supporto delle fatture che l’Ufficio aveva contestato solo sotto il profilo della genericità, aveva provato la specificità delle prestazioni, il che aveva consentito di escludere che fosse accoglibile la tesi dell’Ufficio della indeducibilità dei costi proprio perchè i contratti giustificavano quelle spese per attività relative a studio sui consumi energetici presso la Coldgest.

4.2. La sentenza impugnata, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente Agenzia, ha quindi fatto corretta applicazione della regola iuris richiamata dalla ricorrente ed in effetti applicabile nel caso nel esame, ritenendo che la prova della specificità dei costi, contestata dall’Ufficio, spettasse al contribuente, che però la aveva offerta attraverso la produzione dei contratti posti a supporto delle fatture contestate, anche sotto il profilo della “esistenza di un collegamento fattuale tra le fatture esaminate dai verbalizzanti (riferite agli anni dal 1999 al 2001)….e i contratti di servizi di cui è sopra cenno, con conseguente impossibilità, alla luce della documentazione in atti, di ritenere che la indeducibilità di detti costi esposta in avviso di accertamento sia supportata da validi elementi di certezza”.

4.3. Non vi è stata quindi alcuna violazione di legge che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 – 01), mentre nella specie non si pone una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, bensì della valutazione della prova operata dalla sentenza di merito, nell’ambito della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito nell’ambito della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

4.4. Il giudice di merito ha infatti rilevato che la prova emergeva dai contratti e solo incidentalmente ha aggiunto la espressione “ancorchè non sia stata dimostrata la congruità delle tariffe per le prestazioni rese dalla società di servizio”, che comunque non escludeva la certezza e la inerenza del costo sotto il corretto profilo del “collegamento fattuale” fra le fatture ed i contratti di servizio per prestazioni relative alla attività di impresa, costituendo al contrario una valutazione di puro fatto del giudice, non censurabile in sede di giudizio di legittimità, poichè costituente espressione della irrilevanza della prova della congruità delle tariffe indicate nelle fatture e nei contratti alla luce della inerenza dimostrata attraverso “il collegamento fattuale” fra fatture e servizi resi nell’interesse dell’impresa e per le sue specifiche finalità produttive.

5. Quanto poi al secondo profilo del motivo di ricorso, dedotto “per insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” e che sarebbe consistito nell’omesso esame della piena dimostrazione della congruità delle tariffe e cioè di un fatto che, se esaminato, avrebbe potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata, occorre preliminarmente rilevare che esso è inammissibile perchè trattasi di censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012 convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile nella specie ratione temporis. Infatti il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, ha modificato l’art. 360 c.p.c., n. 5, limitandone l’applicazione al solo caso di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e di ciò non ha tenuto conto la ricorrente che ha richiamato, a sostegno del ricorso, la norma non più applicabile.

5.1. L’attuale versione di detta norma, che è applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore dell’anzidetta legge di conversione, e dunque dall’11.9.2012, è stata interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo più inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè in quello del precedente n. 4 (v. Cass. n. 11892 del 2016). Pertanto, il vizio previsto dal vigente – ed applicabile alla fattispecie in esame per essere stata la sentenza impugnata depositata l’8.1.2013 – art. 360 c.p.c., n. 5 sussiste qualora il giudice di appello abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, oppure ricorrano una “mancanza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, una “motivazione apparente”, un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, a nulla rilevando il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n. 21257 del 2014; da ultimo, v. Sez. 2 -, Ordinanza n. 20721 del 13/08/2018 Rv. 650018 – 02).

5.2. Nel caso in esame parte ricorrente contesta l’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di appello per avere trawato un fatto che avrebbe potuto – a suo dire – essere decisivo e cioè la dimostrazione della congruità o meno delle tariffe applicate in base al contratto di servizio; però occorre rilevare che non si tratta di un “fatto storico”, bensì di una valutazione del giudice di merito e non si tratta neppure della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o della “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, bensì eventualmente di un caso di un motivazione “insufficiente”, così come dedotto dalla Agenzia ricorrente, che, come tale, resta irrilevante poichè la censura si s’infrange ora anche contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis, secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez. un. 19881 del 2014).

5.3. In ogni caso si deve escludere che la congruità della tariffe abbia costituito una argomentazione oggetto di discussione fra le parti nel giudizio, poichè, come rilevato anche dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni, dalla sentenza impugnata risulta che l’unica contestazione mossa dalla Agenzia nel giudizio di merito, a sostegno della indeducibilità dei costi, era stata quella della genericità delle fatture. Ed anche nel ricorso per cassazione non è indicato in alcuna parte che la congruità delle tariffe abbia costituto oggetto del dibattito processuale, cosicchè il suo richiamo deve intendersi come un obiter dictum da parte della sentenza di appello, avulso dal thema decidendum.

6. Ferma restando la compensazione delle spese del giudizio di merito disposta dal giudice di appello con riguardo alla reciproca soccombenza in quella sede, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente, mentre non sussistono i presupposti per l’applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1.17, con il quale è stato modificato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, mediante l’inserimento, poichè tale disposizione non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 (Rv. 638714 -01).

P.Q.M.

La Corte: Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della parte resistente, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese forfetarie, IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 13 luglio 2020

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