Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14872 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/06/2017, (ud. 21/03/2017, dep.15/06/2017),  n. 14872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17301/2015 proposto da:

NEW TILE S.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO SOMALIA 67,

presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO CENNA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 14/01/2015 R.G.N. 361/2014.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza 14 gennaio 2015, la Corte d’appello di Brescia accertava l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato il 20 giugno 2011 ad M.A. da New Tile s.r.l., condannandola, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 8, alla riammissione in servizio o al risarcimento del danno, liquidato in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (Euro 5.361,64), oltre accessori dal giorno del licenziamento: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che l’aveva invece condannata alla reintegrazione del lavoratore licenziato per ritorsione e al risarcimento del danno, in suo favore, in misura pari alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento, detratto l’aliunde perceptum;

che avverso tale sentenza la società datrice ha proposto ricorso con due motivi, mentre il lavoratore intimato, già contumace in appello, non ha svolto difese;

CONSIDERATO

che la ricorrente deduce motivazione apparente su fatto decisivo della controversia, quale la documentata condizione di crisi della società comportante la necessità di contrazione dei costi attraverso la riduzione del personale, alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di M.A., erroneamente ritenuta irrilevante, senza un suo argomentato esame (primo motivo); violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3, 8, L. n. 183 del 2010, art. 8 e art. 2697 c.c., per esclusione del processo di riorganizzazione, comportante la soppressione del posto del lavoratore licenziato, con una ridistribuzione di mansioni per eliminazione di altre posizioni comportante il licenziamento di altri due lavoratori e l’accettazione delle dimissioni di un quarto (su dodici dipendenti), ben integrante giustificato motivo oggettivo del licenziamento impugnato; con riduzione, in subordine, della misura dell’indennità risarcitoria liquidata, considerato il numero di dipendenti occupati, della recentissima costituzione della società datrice e della minima anzianità del lavoratore (secondo motivo);

che ritiene il collegio che entrambi i motivi, congiuntamente esaminabili, siano infondati;

che, infatti, con riferimento al primo, non sussiste motivazione apparente, configurabile qualora non sia percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. s.u. 3 novembre 2016, n. 22232) ed integrante ipotesi di anomalia motivazionale, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, censurabile secondo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, da interpretare come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass. 20 novembre 2015, n. 23828): avendo la Corte territoriale adeguatamente argomentato, sulla base della documentazione scrutinata e del critico esame delle deduzioni di prova orale, la sostanziale irrilevanza della “volontà della… cessionaria dell’azienda di ridurre i costi della produzione mediante la diminuzione del personale”, senza nulla dire “in ordine alla ragione del licenziamento comunicato al lavoratore, ossia alle necessità di sopprimere il posto per ristrutturazione o per problemi produttivi” (per le ragioni da pg. 5 al primo capoverso di pg. 7 della sentenza);

che neppure per il secondo sussiste la violazione di norme denunciata, pur nella condivisa sufficienza della determinazione del licenziamento da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa, tra le quali non possono essere pregiudizialmente escluse quelle attinenti ad una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero dirette ad un aumento della redditività di impresa (anche se nel caso di specie prospettata piuttosto una condizione di crisi), per l’accertamento giudiziale nel merito del difetto di prova (insindacabile in sede di legittimità, qualora, come detto, congruamente giustificato: Cass. 16 maggio 2003, n. 7717; Cass. 14 luglio 2005, n. 15815; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 22 marzo 2016, n. 5592) dell’effettività del ridimensionamento e del nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato: nella pertinenza al sindacato giudiziale di un tale accertamento di ricorrenza (e non pretestuosità) delle ragioni stabilite dalla L. n. 604 del 1966, art. 3, senza alcuna indebita interferenza sull’insindacabile autonomia decisionale imprenditoriale (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201);

che infine non è censurabile in sede di legittimità la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 (sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 2) spettante al giudice di merito, se non per motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. 8 giugno 2006, n. 13380; Cass. 11 gennaio 2011, n. 458; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1320): nel caso di specie da escludere per l’adeguata giustificazione della misura liquidata, tenuto conto della durata del rapporto di lavoro e del valutato comportamento complessivo aziendale (secondo capoverso di pg. 9 della sentenza);

che pertanto il ricorso deve essere rigettato;

che nessun provvedimento deve essere assunto sulle spese, per il mancato svolgimento di difese dalla parte intimata vittoriosa;

che sussistono la condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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