Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14871 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. I, 27/05/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 27/05/2021), n.14871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10525/2020 proposto da:

E.P., rappresentata e difesa dall’Avv. Caterina Bozzoli,

in virtù di procura in calce al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 4102/2019,

pubblicata in data 2 ottobre 2019, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/04/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 2 ottobre 2019, la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da E.P., proveniente dalla (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia dell’1 giugno 2018.

2. La richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il Paese di origine per paura di essere uccisa dal padre e dalla propria comunità di appartenenza, per essersi avvicinata, insieme al fratello (poi ucciso), alla religione cristiana.

3. La Corte di appello ha ritenuto la vicenda della richiedente non credibile, specificando i profili di inverosimiglianza del racconto alle pagine 8 e 9; quanto alla protezione sussidiaria ha evidenziato che, dalle fonti internazionali richiamate e aggiornate al 2018, non risultava che la zona di provenienza della ricorrente (Edo State) fosse caratterizzata da una violenza indiscriminata o da una situazione di conflitto armato interno, nè la ricorrente aveva allegato i motivi per cui il suo rientro in patria la avrebbe esposta a pericolo, a distanza di più di quattro anni dai fatti narrati; nemmeno poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria, poichè la narrazione della ricorrente non era credibile, nè era idonea ad ottenere la misura richiesta la mera allegazione di avere acquisito un certo grado di integrazione sociale nel nostro paese (e, in particolare, i corsi di italiano frequentati), nè il periodo trascorso in Libia.

4. E.P. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

5. L’Amministrazione intimata si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); motivazione illogica e contraddittoria, avendo la Corte di appello, in modo contraddittorio ed illogico negato la protezione sussidiaria, pur affermando l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Nigeria, e la mancanza di qualsiasi elemento, a livello di allegazione, idoneo a definire una presumibile esposizione a rischio da parte della richiedente nel caso di rimpatrio forzoso; che il giudice era tenuto a verificare, attraverso lo scrutinio delle fonti più accreditate, quale era la situazione effettiva nella sua regione di provenienza e che, per converso, la Corte di appello, non adempiendo all’obbligo di cooperazione istruttoria, si era limitata, a pag. 16, ad evidenziare che in certe zone del nord della Nigeria si concentravano attacchi indiscriminati contro la popolazione civile che, però, non potevano estendersi a tutto il territorio

1.1 Il motivo, nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è inammissibile, trattandosi di accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso.

1.2 La Corte territoriale, infatti, ha escluso la sussistenza, in Nigeria, nella regione dell’Edo State, di un contesto di pericolo diffuso, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), indicando, alle pagine 16 – 18 del provvedimento impugnato, le fonti internazionali consultate, affermando in modo specifico e non contraddittorio che le zone più critiche erano quelle situate a Nord della Nigeria, mentre nella regione di provenienza della ricorrente, terra di emigrazione, favorita dalle scarse prospettive economiche, dove si trovava tutto quello che ruotava attorno all’Europa e dove, pur sussistendo scarsità di prospettive economiche, non vi era alcun riferimento ad una violenza indiscriminata; i giudici di secondo grado hanno anche specificato che la Nigeria non poteva essere considerata un paese sfuggito al controllo dell’autorità statale, come altre realtà del continente africano, quali la Somalia e la Libia, sicchè nei confronti della popolazione civile non era ravvisabile una condizione di violenza generalizzata che poteva esporre la stessa a una situazione di grave pericolo.

1.3 L’accertamento in esame è stato, quindi, compiuto nel rispetto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28349; Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990) e dell’onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).

1.4 A quanto già detto, soccorre l’ulteriore principio, pure affermato da questa Corte, che, il ricorrente in cassazione che deduce la violazione del dovere di cooperazione istruttoria per l’omessa indicazione delle fonti informative dalle quali il giudice ha tratto il suo convincimento, ha l’onere di indicare le COI che secondo la sua prospettazione avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio, con la conseguenza che, in mancanza di tale allegazione, non potendo la Corte di Cassazione valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (Cass., 20 ottobre 2020, n. 22769).

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e la motivazione illogica e contraddittoria, non avendo la Corte di appello riconosciuto la protezione umanitaria, nonostante fosse stata vittima di tratta e fosse affetta da gravi disturbi psicologici, come riscontrato anche dal richiamo, nella sentenza impugnata, al parere espresso dalla Dott.ssa G. che aveva eseguito una consulenza psicologica in data 19 febbraio 2019, che aveva concluso con una diagnosi di “sindrome da stress post traumatico” e avendo la Corte di appello affermato che la mera allegazione di avere acquisito un certo grado di integrazione sociale non era idonea, occorrendo la prova della compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2, esclusa in ragione di quanto desunto dalle COI; la Corte, inoltre, non aveva dato alcun rilievo al periodo trascorso in Libia, pur consumandosi in Libia un’ampia violazione dei diritti umani.

2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile, non essendo stata censurata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2.2 Il ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non credibili dal giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità.

2.3 Questa Corte, di recente, ha affermato che in tema di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, se è pur vero che la valutazione in ordine alla sussistenza dei suoi presupposti deve essere il frutto di autonoma valutazione avente ad oggetto le condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti, tuttavia, la necessità dell’approfondimento da parte del giudice di merito non sussiste se, già esclusa la credibilità del richiedente, non siano state dedotte ragioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte per le protezioni maggiori (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29624).

Il ricorrente, peraltro, svolge doglianze totalmente generiche e, non curandosi nemmeno della specifica ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata, sollecita ancora una volta un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dai Giudici di merito, che hanno, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, che non era decisiva la mera allegazione di avere acquisito un certo grado di integrazione sociale nel paese di accoglienza e, in particolare, la frequentazione di corsi di italiano.

2.4 Con specifico riferimento al diritto alla salute, questa Corte pur avendo incluso il diritto alla salute nell’alveo dei diritti umani della persona, ha affermato che, da un lato, la protezione umanitaria non può essere riconosciuta per il semplice fatto che lo straniero non versi in buone condizioni di salute e, dall’altro che, ove nel Paese di origine, tale diritto, in relazione alla patologia allegata e dimostrata, non possa essere garantito, il rientro può integrare la grave violazione dei diritti umani posta a base delle condizioni di vulnerabilità richieste dalla legge (Cass. 27 novembre 2013, n. 26566).

In particolare, è stato affermato che il richiedente deve allegare in modo specifico le cattive condizioni di salute e l’assenza di condizioni di protezione dell’integrità psico-fisica nel Paese di origine (elemento cui deve seguire l’approfondimento istruttorio officioso del giudice finalizzato a verificare la fondatezza o meno della prospettazione delle perduranti problematiche di salute, al fine di valutarne la riconducibilità o meno ai presupposti di legge fissati per il riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 13 agosto 2020, n. 17118).

2.5 Anche il profilo di censura relativa alla mancata valutazione delle condizioni del paese di transito è inammissibile per difetto di specificità, difettando l’indicazione delle ragioni per le quali la valutazione dovesse estendersi anche alla condizione di tale Paese.

Al riguardo, va evidenziato che l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide, potendo il paese di transito rilevare, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva UE n. 115/2008, solo nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. 21 novembre 2019, n. 30408; Cass., 6 dicembre 2018, n. 31676).

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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