Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14870 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. I, 27/05/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 27/05/2021), n.14870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10440/2020 proposto da:

E.J., rappresentato e difeso dall’Avv. Fabrizio Ippolito

D’Avino, come da procura speciale allegata al ricorso per

cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 587/2020,

pubblicata in data 18 febbraio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/04/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 18 febbraio 2020, la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da E.J., proveniente dalla (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 15 marzo 2019, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.

2. Il richiedente aveva dichiarato di essere andato via dal Paese di origine con i denari fornitigli dalla madre e da un amico poliziotto perchè viveva in un clima di costante paura e violenza causato dalla presenza delle sette nigeriane, gli (OMISSIS) e gli (OMISSIS), che pretendevano entrambe la sua affiliazione, la prima per essere ripagata della protezione accordatagli a livello lavorativo e la seconda come successore del padre.

3. La Corte di appello ha ritenuto il racconto del richiedente non credibile per la scarsa coerenza delle affermazioni rese e per la genericità degli episodi narrati; i giudici di secondo grado, inoltre, hanno affermato che non sussistevano nemmeno i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, tenuto conto della narrazione priva di qualsivoglia verosimiglianza (D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b)) e alla luce delle fonti internazionali consultate e specificamente indicate aggiornate al 2018 (D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c)); quanto alla protezione umanitaria, è stato precisato che lo svolgimento di attività lavorativa (contratto di lavoro a tempo indeterminato come colf), nonostante fosse un’iniziativa apprezzabile, non caratterizzava la posizione di una persona che necessitava di protezione rispetto a quella di un migrante economico; che, in tal modo, si ratificava un comportamento illecito in danno degli stranieri che cercavano lavoro nel rispetto dei canali consentiti e che il numero degli stranieri che poteva entrare in Italia per motivi lavorativi era fissato in appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

4. E.J. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere adottato i criteri di legge nel giudizio di credibilità in relazione alla storia personale narrata, che trovava conferma nelle fonti accreditate e non avendo la Corte di appello preso in considerazione le deduzioni di cui all’atto di appello, i documenti depositati, nè provveduto ad istruire correttamente la causa; le dichiarazioni erano state coerenti e solo dopo la precisazione delle conclusioni il richiedente aveva avuto la materiale disponibilità dell’originale del quotidiano unitamente all’articolo reperito sul web, che raccontava la sua storia, nonchè l’originale della denuncia che la madre del ricorrente aveva sporto, ciò a conferma della credibilità del ricorrente.

1.1 Il motivo è inammissibile, perchè il ricorrente censura la valutazione di non credibilità della sua vicenda personale, sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

1.2 La Corte di appello ha ritenuto che la vicenda personale, come riassunta nell’atto di appello, non consentiva alcun vaglio critico in ordine alla sua credibilità, per la scarsa coerenza delle affermazioni rese e per la genericità degli episodi narrati, specificando in modo circostanziato le incongruenze rilevate a pagina 5 del provvedimento impugnato.

Si tratta di ragioni del decidere che non sono state efficacemente censurate dal ricorrente, che peraltro non ha dedotto il vizio di omesso esame nel rispetto delle modalità previste, come individuate dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, che ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti” (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

1.3 Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa Corte, secondo cui, in materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 19 giugno 2020, n. 11925).

1.4 Nessuna rilevanza hanno, poi, i documenti prodotti per la prima volta in questa sede, atteso che nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata (Cass., 12 novembre 2018, n. 28999).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per il giudizio sulla domanda di riconoscimento di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo omesso sia di esaminare le fonti citate dal richiedente, sia di acquisire informazioni sulla situazione del paese di origine aggiornate all’epoca della decisione e con specifico riferimento alla zona di provenienza.

2.1 Il motivo è inammissibile, nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), trattandosi di accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso.

Nella sostanza, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

2.2 Questa Corte ha, più volte, affermato che “Nel giudizio sulla domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’allegazione dal richiedente di una situazione generale determinante l’esposizione effettiva al pericolo per la propria vita o per la propria incolumità psico-fisica, dovuto alla mera condizione del rientro, impone l’accertamento all’attualità della situazione oggettiva del paese d’origine e, in particolare, dell’area di provenienza del cittadino straniero, disancorata dalla rappresentazione della vicenda individuale di esposizione al rischio persecutorio o a quello previsto dell’art. 14, lett. a) e b): si tratta, infatti, di un accertamento autonomo che riguarda la verifica dell’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata dettata da conflitto armato interno od esterno, senza la necessità che egli fornisca la prova di essere interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009 in C-465-07, sentenza Elgafaji)” (Cass., 11 gennaio 2021, n. 108).

2.3 Questa Corte ha, altresì, affermato che chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle e di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso e che in mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza, dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio (Cass., 9 ottobre 2020, n. 21932; Cass., 20 ottobre 2020, n. 22769). 2.4 Ciò posto, nel caso in esame, le censure formulate non colgono nel segno, non avendo il ricorrente riprodotto nel ricorso, come sarebbe stato suo onere, il contenuto di COI più aggiornate di quelle utilizzate dai giudici di secondo grado, avendo richiamato piuttosto il rapporto EASO – Coi del giugno 2017, che peraltro riferisce di conflitti riguardanti i produttori di petrolio e di misure prese a salvaguardia delle compagnie petrolifere.

2.5 E ciò a fronte del compiuto accertamento da parte della Corte territoriale sulla situazione della Nigeria, avuto riguardo alle plurime fonti internazionali espressamente richiamate ed aggiornate al 2018, alle pagine 8 – 12, nel rispetto del consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui le fonti di informazioni devono essere attendibili, puntualmente indicate e aggiornate al momento della decisione (Cass. 28 giugno 2018, n. 17075; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 maggio 2020, n. 8819).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente e contraddittoria con riferimento al capo relativo al rigetto della domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per avere escluso il riconoscimento senza argomentazioni e conclusioni.

3.1 Anche tale motivo è inammissibile, poichè la motivazione dettata dalla Corte di appello nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato nel paese di provenienza del ricorrente è esistente e consente di ricostruire il percorso logico seguito nel rispetto dei canoni di congruità logica e come tale è idonea a sottrarsi alla dedotta censura (si richiamano le pagine 8 – 12, già indicate).

E’ utile ribadire che il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre ogni qualvolta il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logico-giuridica, rendendo così impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio sulla domanda di protezione umanitaria, in particolare della situazione di violazione di diritti umani in atto nel Paese.

4.1 Il motivo è inammissibile, non essendo state censurate specificamente le ragioni del decidere poste a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, avendo la Corte affermato che lo svolgimento di attività lavorativa (contratto di lavoro a tempo indeterminato come colf), nonostante fosse un’iniziativa apprezzabile, non caratterizzava la posizione di una persona che necessitava di protezione rispetto a quella di un migrante economico; che, in tal modo, si ratificava un comportamento illecito in danno degli stranieri che cercavano lavoro nel rispetto dei canali consentiti e che il numero degli stranieri che poteva entrare in Italia per motivi lavorativi era fissato in appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

4.2 E ciò senza prescindere dal principio pure affermato da questa Corte che l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà, proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti nè rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

4.3 I ricorrente, peraltro, anche in questa sede si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno.

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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