Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14866 del 06/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/07/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 06/07/2011), n.14866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16690-2007 proposto da:

F.E., già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA

DI RIENZO 149, presso lo studio dell’avvocato FIDENZIO SERGIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TONELLO ALDO, giusta

delega in atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta delega in calce;

– MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro in

carica, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 781/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 01/06/2006 R.G.N. 1164/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA per delega CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. F.E., dipendente del Ministero delle attività produttive, ivi transitata a seguito della soppressione dell’Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, Agensud (già Cassa del Mezzogiorno) di cui era stata dipendente, conveniva in giudizio dinanzi al giudice del lavoro di Salerno l’INPS, l’INPDAP ed il Ministero delle attività produttive proponendo le seguenti domande:

a) accertare che aveva maturato un’eccedenza di contributi rispetto alla riserva matematica necessaria ai fini pensionistici; b) condannare l’INPS, l’INPDAP ed il Ministero delle attività produttive, ciascuno per le rispettive competenze e responsabilità, a pagare l’eccedenza contributiva versata e non computabile ai fini pensionistici. La domanda veniva respinta sia in primo grado che dalla Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 1 giugno 2006.

2. La Corte territoriale osservava che:

– a norma del D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 14 bis, comma 4, (articolo aggiunto dal D.L. n. 32 del 1995, art. 9, convertito in L. n. 104 del 1995), solo il personale cessato dal servizio dopo la data del 13 ottobre 1993 e prima dell’entrata in vigore del predetto decreto, che non avesse optato per il mantenimento della posizione pensionistica di provenienza, poteva chiedere la restituzione dei contributi versati se non computati ai fini della ricongiunzione dei periodi previdenziali;

– in base alla predetta normativa, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 219 del 1998), doveva escludersi il diritto della ricorrente alla restituzione dell’eccedenza contributiva richiesta avendo questa optato (circostanza pacifica fra le parti) per il passaggio nei ruoli del Ministero delle Attività Produttive con il ricongiungimento del servizio prestato presso l’AGENSUD;

– la norma suddetta, nella parte in cui dispone la restituzione dei contributi, doveva ritenersi di carattere eccezionale e come tale di stretta interpretazione (ex art. 14 preleggi), e non suscettibile di censure di costituzionalità;

in definitiva, l’articolata e complessiva disciplina del trattamento economico del personale dell’Agensud, a seguito della soppressione dell’Ente, non era lesiva dei diritti della ricorrente, considerata anche la funzione assicurativo-solidaristica e non strettamente corrispettiva dei contributi previdenziali.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, F. E., ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L’INPS ha resistito con controricorso, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, il difetto di legittimazione passiva dell’istituto e contestando la fondatezza del ricorso.

L’INPDAP non ha svolto attività difensiva. Il Ministero dello sviluppo economico ha resistito con controricorso deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 14 bis, comma 4, (così come introdotto dal D.L. n. 355 del 1994, e dai successivi D.L. fino al D.L. n. 32 del 1995, convertito in L. n. 104 del 1995), dell’art. 2033 c.c. e dell’art. 12 preleggi, nonchè vizio di motivazione.

5. Deduce la ricorrente che la pretesa è fondata sull’applicazione del D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 4-bis, comma 4, finalizzato alla sistemazione del personale della soppressa Agensud, che prevede la possibilità per l’ex dipendente dell’Agensud di chiedere la restituzione dei contributi non più utili a fini pensionistici. Ad avviso della ricorrente è vero che la norma sottopone la possibilità di richiedere la restituzione dei contributi versati e non computati ai fini pensionistici alla condizione che l’interessato, cessato dal servizio dopo il 13 ottobre 1993 e prima della data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, non abbia optato per il mantenimento della posizione pensionistica di provenienza; tuttavia la stessa, pur essendo transitata presso l’amministrazione statale e pur non avendo diritto, in base all’interpretazione letterale della norma citata, ritiene che il suo diritto trovi fondamento in un’interpretazione costituzionalmente corretta della legge stessa.

6. Col secondo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 36, 38 e 97 Cost. e vizio di motivazione.

Si deduce che erroneamente la Corte di merito avrebbe rigettato l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 14-bis, sopra citata invocando la sentenza della Corte costituzionale n. 219 del 1998, atteso che i profili invocati sono affatto differenti.

7. L’illustrazione dei motivi si conclude con la formulazione dei quesiti di diritto.

8. Occorre innanzitutto premettere che sulla questione di giurisdizione si è formato il giudicato. Come è noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche dopo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 37 c.p.c., che ne ha delineato l’ambito applicativo in senso restrittivo, la questione di giurisdizione può essere sempre sollevata, anche in relazione alla sentenza di appello, quando una delle parti (non importa quale) abbia sollevato tempestivamente la questione stessa con i motivi di appello. Infatti, la portata dell’art. 37 c.p.c., riacquista la sua massima espansione quando il tenore della decisione (che attenga al rito o al merito, o ad entrambi) sia tale da escludere qualsiasi forma di decisione implicita o esplicita sulla giurisdizione (v.

Cass., SU, 7097/2011; Cass. 24883/2008), ovvero quando la questione sia emersa entro i limiti cronologici consentiti.

9. Nella specie, invece, la questione di giurisdizione non può essere posta in questo giudizio di legittimità non avendola una delle parti sollevata tempestivamente nel giudizio di appello, impedendo la formazione del giudicato sul punto.

10. Venendo ai motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè logicamente connessi, le questioni poste sono state già scrutinate da questa Corte di legittimità, che le ha risolte, in senso sfavorevole agli ex dipendenti dell’Agensud.

11. In particolare, questa Corte ha già affermato che il D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 14-bis, comma 4, aggiunto dal D.L. n. 32 del 1995, art. 9 convertito in L. n. 104 del 1992, che riconosce agli ex dipendenti dell’ Agensud la possibilità di chiedere la restituzione dei contributi non più utili a fini pensionistici, si applica esclusivamente a favore del personale cessato dal servizio dopo il 13 ottobre 1993 e anteriormente al 9 febbraio 1995, data di entrata in vigore del decreto-legge citato (cfr, ex piurimis, Cass. 24909/2010;

12959/2010).

12. Anche l’irragionevolezza della suddetta limitazione o la sussistenza di una disparità di trattamento sono già state scrutinate da questa Corte, escludendo la violazione dei canoni costituzionali – anche alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale n. 219/1998 e n. 404/2000 – in base al rilievo secondo cui, nel nostro ordinamento, alla base della contribuzione non vi è necessariamente un principio di corrispettività tra contributi e pensioni, ma un dovere di solidarietà ex art. 38 Cost., con conseguente inesistenza di un principio generale di restituzione dei contributi legittimamente versati per i quali manchino, o non possano più verificarsi, i presupposti per la maturazione del diritto ad una prestazione previdenziale (v., precedenti richiamati al n. 11).

13. Nè può ritenersi la violazione del principio di uguaglianza, derivando il differente trattamento dei dipendenti considerati dall’art. 14-bis citato, rispetto a quelli transitati ad altri ruoli, da una diversità di situazione conseguente alla scelta operata dal dipendente stesso in relazione alle opzioni – dalla cessazione del rapporto con deroga del regime di sospensione pensionistico all’epoca vigente, all’avvio di un nuovo rapporto con definizione del trattamento pregresso, fino alla ricongiunzione dei servizi con riconoscimento di un nuovo inquadramento – offerte dal legislatore (v. precedenti art.).

14. A sostegno dell’indicato principio, che il Collegio condivide e dal quale non ravvisa ragioni per discostarsi non essendo state prospettate persuasive argomentazioni che inducano ad una revisione, è stata rimarcata, della più volte citata disposizione (D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 14-bis, comma 4), la natura di norma eccezionale, con conseguente impossibilità di un’interpretazione estensiva o analogica, e l’esclusione dell’irragionevolezza dell’interprelazione letterale alla luce della diversità della situazione dei dipendenti considerati dalla norma rispetto a quella dei dipendenti transitati nei ruoli delle altre amministrazioni, diversità a sua volta conseguente ad una scelta interamente rimessa alla volontà del dipendente.

15. Infatti, come osservato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 219/1998, il legislatore ha offerto al personale di che trattasi una serie di opzioni che vanno dalla cessazione del rapporto, con deroga all’allora vigente regime di sospensione dei pensionamenti, sino all’alternativa tra l’avvio, dal 13 ottobre 1993, di un rapporto d’impiego a livello iniziale della qualifica (con pagamento del trattamento di fine rapporto e computo della pregressa posizione assicurativa nella futura determinazione della pensione) e il ricongiungimento dei servizi (pregressi presso l’Agensud e presso l’amministrazione di destinazione) con un nuovo inquadramento (accompagnato dal riconoscimento, sia pure in dati limiti, dell’anzianità maturata).

16. Al che deve altresì aggiungersi che soltanto con la conversione in legge del D.L. n. 32 del 1995, il quadro normativo ha raggiunto, per i lavoratori interessati, una configurazione giuridica certa, onde del tutto ragionevolmente il discrimine temporale è stato ricollegato alla data di entrata in vigore di detto decreto.

17. Nè argomenti per una diversa opzione interpretativa si rinvengono nell’ordinanza con la quale la Corte costituzionale (ord. n. 268/2008) ha dichiarato manifestamente inammissibile, per uso improprio del giudizio incidentale da parte del giudice a quo, la questione di legittimità costituzionale della già richiamata disposizione, per non aver il rimettente indicato le ragioni che impedirebbero di adottare, nella decisione della controversia, l’interpretazione ritenuta costituzionalmente corretta e poichè finalizzata ad ottenere l’avallo della Corte costituzionale a favore di una determinata interpretazione della norma censurata. Il Giudice delle leggi ha, invero, ribadito la consolidata giurisprudenza costituzionale secondo cui nessuna disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima sol perchè suscettibile di essere interpretata in contrasto con precetti costituzionali, ma deve esserlo soltanto quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione.

18. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, restando assorbita ogni altra eccezione sollevata dai controricorrenti.

19. Le spese, liquidate come in dispositivo, in favore della parti costituite, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento d spese processuali liquidate, nei confronti delle parti costituite, in oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA e CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2011

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