Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14865 del 13/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 13/07/2020), n.14865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24322/2013 R.G. proposto da:

M.R. rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv.

Coronas Salvatore (PEC salvatorecoronas.ordineavvocatiroma.org) e

dall’avv. Coronas Umberto (PEC

umbertocoronas.ordineavvocatiroma.orq) presso i quali è

elettivamente domiciliata in Roma nel loro studio in via G. Ferrari

n. 4;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC

ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it);

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 99/03/13 depositata il 18/03/2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

30/1/2020 dal consigliere Succio Roberto.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della CTP con ciò confermando in parte la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, per IVA 2007;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione la contribuente con atto affidato a sette motivi; l’amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, ex art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere la CTR ritenuto causa di nullità dell’accertamento il difetto di specificazione ed allegazione dei dati dai quali l’Ufficio riteneva di desumere la condotta antieconomica del contribuente oggetto della contestazione di maggior imposta;

– il motivo è inammissibile per due ordini di ragioni;

– la prima consiste nel fatto che le doglianze in esso esposte sono dirette, come si evince dalla lettura del corpo del motivo, verso l’avviso di accertamento, e non colpiscono quindi la sentenza impugnata;

– la seconda deriva dal contenuto del motivo, che ripropone censure di merito, sollecitando la Corte a un riesame del merito della controversia non consentito in questa sede di Legittimità;

– il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, come convertito in legge, artt. 2727 e 2729 e 2697 c.c. tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto legittimo l’accertamento in quanto, nel difetto di controprova, la contestata incongruenza del rapporto tra ricavi e costi dichiarati ovvero l’antieconomicità della gestione della contribuente ha consentito di presumere dimostrata l’esistenza di ricavi;

– il motivo è privo di fondamento;

questa Corte ha più volte chiarito (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017) come in materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni;

– il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3 convertito in legge, della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3-bis, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 409, artt. 2727,2729 e 2697 c.c. tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto l’accertamento di tipo analitico-induttivo, non fondato quindi sulla sola applicazione delle risultanze degli studi di settore;

– il motivo è infondato;

– invero, risulta dalla sentenza impugnata come l’accertamento non sia appunto fondato unicamente sullo scostamento rispetto agli studi di settore; pertanto, la pretesa dell’Ufficio non si è fondata su tal elemento probatorio (che andava approfondito e posto in discussione in sede di contraddittorio procedimentale tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate) ma sulle diverse risultanze degli elementi probatori presuntivi altrimenti dedotti e introdotti in causa dall’Amministrazione;

– il quarto motivo censura la sentenza gravata per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere la CTR, una volta contestata l’antieconomicità della gestione dell’impresa, con conseguente presunzione di ricavi sottratti a imposizione, non aver preso in considerazione gli elementi di fatto dedotti dalla contribuente per dar prova contraria in ordine all’esistenza dei maggiori ricavi oggetto dell’accertamento;

– il motivo è inammissibile;

– invero, in concreto esso tende a sottoporre alla Corte una nuova valutazione del merito della controversia, non consentita in questa sede di Legittimità;

– il quinto motivo si incentra sulla violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., del D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 111 Cost. per avere la CTR non enunciato in alcun modo nè perchè le presunzioni poste a base dell’accertamento fossero munite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, nè perchè le prove offerte dalla contribuente siano state ritenute inidonee a contrastare quanto addotto dall’Ufficio;

– tal motivo è logicamente congiunto con il successivo il sesto motivo di ricorso che censura la gravata sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR valutato la documentazione prodotta dalla contribuente relativa alle assunzioni a tempo indeterminato di due dipendenti; gli stessi possono quindi esaminarsi congiuntamente;

– entrambi i mezzi sono privi di fondamento;

– va premesso, in diritto, come secondo questa Corte (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14237 del 07/06/2017) in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge rispettivamente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – dispone che la maggior pretesa tributaria possa essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e art. 2697 c.c., comma 2;

– invero, e in ogni caso, dalla lettura dell’intera sentenza si evince come la CTR abbia dato adeguato conto di quanto eccepito e chiesto di provare da parte della contribuente, esaminando le prove introdotte nella causa e valutandole secondo corretti criteri di ripartizione e applicazione dell’onere probatorio (ultima pag. sentenza, prime 5 righe, e righe dalla n. 13 alla n. 20);

– il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., per avere la CTR mancato di ostendere le ragioni che hanno condotto a ritenere legittima la rideterminazione dei ricavi;

– il motivo risulta in primo luogo inammissibile in quanto diretto a sollecitare la Corte a una rivalutazione del meritus causae;

– nondimeno, esso è anche infondato per le ragioni indicate ed illustrate in sede di decisione del quinto e del sesto motivo, costituendo essi con il settimo, nella sostanza, frammentazione di una medesima censura;

– conclusivamente, il ricorso è integralmente rigettato;

– la soccombenza regola le spese;

– va dato infine atto della sussistenza dei presupposti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato.

PQM

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 7.300,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

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