Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14864 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. I, 27/05/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 27/05/2021), n.14864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9754/2020 proposto da:

E.J., rappresentato e difeso dall’Avv. Caterina

Bozzoli, in virtù di procura in calce al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 3306/2019,

pubblicata in data 7 agosto 2019, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/04/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 7 agosto 2019, la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da E.J., proveniente dalla Nigeria (Edo State), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che aveva che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale.

2. Il richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il paese di origine perchè perseguitato e minacciato in quanto aveva riferito di non sapere dove si fosse nascosto il suo datore di lavoro, titolare di una ditta che aveva ottenuto un appalto per realizzare taniche per combustibile, che era fuggito con il consistente acconto a lui versato dal committente, tale H., uomo facoltoso ed influente della Nigeria.

3. La Corte di appello ha ritenuto che la ricostruzione degli eventi descritti dal richiedente era inverosimile e che, anche se ritenuta credibile, aveva natura privata e non legittimava il riconoscimento dello status di rifugiato; che dalle fonti in atti non risultava la presenza di persecuzioni indiscriminate nella regione di provenienza del ricorrente; che non sussisteva nemmeno il rischio per l’incolumità dell’interessato, nè prove di rischio di danno grave alla persona nelle forme declinate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; quanto alla protezione umanitaria, i giudici di secondo grado hanno rilevato che non sussistevano obblighi di specie che imponevano allo Stato italiano la concessione di legittimo permesso di soggiorno, sia con riferimento alle fonti internazionali e alle fonti interne, sia con riferimento ad ulteriori ragioni di carattere umanitario, comunque interpretate.

4. E.J. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

5. L’Amministrazione intimata si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dei parametri relativi alla credibilità del richiedente fissati dall’art. 3, comma 5, lett. c), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale; l’omesso esame di fatti decisivi; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,14; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 e degli art. 2 e 3 CEDU, avendo errato la Corte di appello nel negare la protezione sussidiaria per l’inesistenza di prove apprezzabili in punto di rischio di grave danno alla persona” in quanto avrebbe dovuto approfondire quelle che sono le condizioni della Nigeria in particolare nella zona di sua provenienza (Edo State) in virtù del principio dell’onere probatorio attenuato.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 In tema di protezione internazionale, il ricorrente per cassazione che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non deve limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate dal giudice di merito avrebbero dovuto ragionevolmente condurre ad un diverso esito del giudizio e la mancanza di tale allegazione impedisce alla Corte di valutare la rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile (Cass., 20 ottobre 2020, n. 22769).

1.3 Inoltre, nel caso in esame, non risulta nè dal ricorso, nè dal provvedimento impugnato, che il ricorrente (appellante) abbia sottoposto ai giudici di secondo grado le fonti richiamate nel ricorso per cassazione, circostanza questa necessaria tenuto conto della natura del giudizio di appello, che è un giudizio di revisione delle domande proposte e non un giudizio nuovo.

Ed infatti, il principio, secondo cui spetta al giudice, nell’esercizio dei poteri officiosi di indagine e di informazione conferitigli dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, il compito di verificare la sussistenza di un rischio di grave danno alla persona e la situazione delle condizioni del paese di provenienza del richiedente, dev’essere coordinato con la portata limitata dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, correlata alla configurazione del relativo giudizio come revisio prioris instantiae, anzichè come un nuovo giudizio, in virtù della quale la cognizione del giudice di secondo grado deve ritenersi circoscritta alle questioni prospettate dall’appellante con i motivi di gravame o riproposte dall’appellato ai sensi dello art. 346 c.p.c., con la conseguenza che i punti della sentenza di primo grado non espressamente investiti dall’iniziativa di parte non possono più costituire oggetto di discussione, formandosi al riguardo una preclusione che ne impedisce il riesame (Cass., 12 maggio 2020, n. 8819).

1.4 Il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli a persone provenienti dalla Nigeria non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, art. 10 Cost., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè la Corte, alla luce della situazione di instabilità della Nigeria, aveva tutti i requisiti per concedere quantomeno la protezione umanitaria.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Ed invero, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente; tale elemento, però, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, il quale è, perciò, onerato quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (Cass., 8 gennaio 2019, n. 231; Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio, con la conseguenza che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua evidente genericità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo, dato che, in ragione dell’indeterminatezza della condizione di vulnerabilità dell’istante, non si sarebbe saputo ove indirizzare.

Sul punto, la Corte distrettuale ha evidenziato l’assenza di criticità nel Paese di provenienza del richiedente (Nigeria, Edo State) ed ha escluso sue situazioni di vulnerabilità soggettiva derivante da grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza, in conformità del disposto degli artt. 2, 3 e 4 CEDU (Cass., 5 aprile 2019, n. 9651). 3. Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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