Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14864 del 15/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/06/2017, (ud. 02/03/2017, dep.15/06/2017),  n. 14864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 338/2011 proposto da:

PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIA, C.F. (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

L.G.G. C.F. (OMISSIS), T.F. C.F. (OMISSIS),

nella qualità di eredi di TA.FR., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio degli

avvocati MARCELLO E CECILIA FURITANO, rappresentati e difesi dagli

avvocati GIUSEPPE PALMERI giusta delega in atti ed ESTER DAINA,

giusta procura speciale notarile in atti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 657/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/05/2010 R.G.N. 625/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale con assorbimento ricorso incidentale.

udito l’Avvocato CECILIA FURITANO per delega verbale Avvocato ESTER

DAINA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 22 aprile 2010, in riforma della sentenza emessa dal Giudice del lavoro del locale Tribunale, in accoglimento della domanda proposta da L.G.G. e da T.F., nella qualità di eredi di t.F., ha condannato la Presidenza della Regione Siciliana, al pagamento in favore dei ricorrenti, della somma di Euro 44.136,97, oltre ulteriori interessi dal 1 marzo 2010 al soddisfo, a titolo di equo indennizzo per il decesso del loro congiunto.

2. T.F., aveva ottenuto in data 26 novembre 1979 il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità (angina pectoris) ascritta alla 5^ ctg. della tabella A e successivamente il diritto all’equo indennizzo in data 12 febbraio 1981. Il dipendente, dimessosi il 1 maggio 1984, era deceduto il (OMISSIS). In data 21 dicembre 1994 gli eredi avevano chiesto il riconoscimento dell’equo indennizzo per il decesso del loro congiunto, ritenuto ascrivibile a causa di servizio. La domanda veniva respinta in sede amministrativa, avendo la P.A. addotto che la revisione poteva avvenire una sola volta entro cinque anni dalla comunicazione del decreto di concessione del precedente beneficio, mentre ciò era avvenuto dopo undici anni; inoltre il T., al momento del decesso, si trovava da dieci anni in quiescenza, sicchè era inapplicabile la norma relativa alla concessione dell’equo indennizzo per infermità contratta in attività di servizio.

3. Il Giudice del lavoro di Palermo, respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione, rigettava la domanda escludendo la legittimazione passiva della Presidenza della Regione Siciliana, essendo il rapporto di lavoro intercorso con l’Assessorato degli Enti Locali.

4. La Corte di appello di Palermo ha riformato tale sentenza, affermando la legittimazione passiva della Regione Siciliana, ed ha accolto nel merito la domanda, osservando che:

– il D.P.R. n. 686 del 1957, art. 56, prevede il termine di cinque anni decorrente dalla comunicazione del decreto di liquidazione dell’equo indennizzo per la richiesta di revisione, conseguente ad aggravamento di postumi, ma non per il riconoscimento del diritto all’equo indennizzo in conseguenza di un nuovo e diverso evento; l’istanza proposta dagli eredi T. era motivata dalla sopravvenuta e nuova insorgenza di postumi invalidanti e, come tale, soggetta unicamente al termine semestrale; nella specie tale termine era stato rispettato, tenuto conto che il decesso del Dott. T. era avvenuto il (OMISSIS) e che la domanda era su a proposta il 21 dicembre 1994;

– vi era stato un accertamento favorevole espresso dalla Commissione medica militare del 1996, secondo cui l’infermità che aveva condotto il T. al decesso era “interdipendente con la patologia (cardiaca) a suo tempo dichiarata dipendente da causa di servizio”.

5. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Presidenza della Regione Siciliana con due motivi. Gli eredi T. resistono con controricorso e propongono a loro volta ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione del D.P.R. n. 686 del 1957, art. 56 (ratione temporis applicabile), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si censura la sentenza per avere i Giudici di appello ritenuto che il decesso non costituisse aggravamento della angina pectoris da miocardiopatia ischemica trattata chirurgicamente, affezione già riconosciuta dipendente da causa di servizio. Si chiede che sia affermato che, nell’ipotesi in cui sia pacifico e non contestato che il decesso sia stato eziologicamente determinato da una preesistente patologia cardiaca (nel caso di specie, l’angina pectoris) in relazione alla quale già veniva corrisposto l’equo indennizzo, l’evento-morte deve essere qualificato come aggravamento della preesistente patologia con la conseguenza che l’adeguamento dell’equo indennizzo è possibile solo se la relativa domanda venga presentata entro il termine di decadenza di cinque anni dal primo provvedimento che ha disposto l’equo indennizzo, così come previsto dal D.P.R. n. 686 del 1957, art. 56 (applicabile ratione temporis).

2. Con il secondo motivo si denuncia, in via subordinata rispetto al primo, violazione del D.P.R. n. 349 del 1994, art. 3, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ove dovesse essere confermata la statuizione secondo cui il decesso costituisce un nuovo e diverso evento e non invece un aggravamento della preesistente patologia cardiaca, dovrebbe comunque trovare applicazione l’art. 3, comma 3, cit., il quale prevede che la menomazione dell’integrità fisica deve manifestarsi entro cinque anni dalla cessazione del rapporto di impiego, mentre per il decesso del T., avvenuto a distanza di dieci anni dalla cessazione del rapporto di impiego, non era possibile corrispondere alcun equo indennizzo ai sensi dell’art. 3, comma 3, cit..

3. Con ricorso incidentale condizionato gli eredi T. chiedono, in caso di accoglimento del primo motivo del ricorso principale, con conseguente interpretazione del D.P.R. n. 686 del 1957, art. 56, tale ricomprendere nel concetto di aggravamento la nuova patologia ad effetto invalidante, che sia affermata l’illegittimità, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. e perchè irragionevole, dovendo pertanto essere disapplicato (trattandosi di norma regolamentare non soggetta al giudizio di costituzionalità) il disposto di cui al D.P.R. n. 686 del 1957, art. 56, comma 1, laddove tale norma subordina al termine di cinque anni dalla data di comunicazione del decreto previsto dall’art. 49 anche la proposizione di domanda di concessione di equo indennizzo in ipotesi di insorgenza di nuova malattia con postumi invalidanti prima insussistente.

4. Il primo motivo di ricorso principale, seppure apparentemente proposto in termini di error in iudicando per asserita mancata applicazione della disciplina dettata dal D.P.R. 686 del 1957 art. 56, concernente l’aggravamento sopravvenuto della menomazione all’integrità fisica (suscettibile di consentire la revisione dell’indennizzo già concesso soltanto entro cinque anni dalla data della comunicazione del decreto previsto dall’art. 49 dello stesso decreto), prospetta invece una questione di fatto che involge l’accertamento medico-legale diretto a stabilire se l’evento-morte fosse ascrivibile ad un aggravamento della patologia già riconosciuta come dipendente da causa di servizio (angina pectoris) oppure, come ritenuto dalla Corte territoriale, fosse correlabile ad una infermità sopravvenuta atta a integrare nuovi postumi invalidanti assoluti, come tali idonei a configurare un nuovo evento indennizzabile, ancorchè in nesso causale o concausale la pregressa patologia già accertata come dipendente da causa di servizio. Trattasi di una questione di fatto (e non di diritto) che implica l’accertamento della natura dell’infermità che ha condotto il T. al decesso, onde accertarne il carattere di mero aggravamento anzichè di nuovo evento invalidante.

4.1. A ciò aggiungasi che la sentenza impugnata ha dato atto di fondare il proprio convincimento sul parere espresso dalla Commissione medica ospedale militare del 1996, per cui sarebbe stato onere di parte ricorrente produrre copia di tale documento e trascriverne nel ricorso le parti salienti, in ossequio il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, onde far comprendere se, oltre al concetto di “interdipendenza”, di per sè indicativo del solo nesso causale tra patologia cardiaca a suo tempo dichiarata dipendente da causa di servizio e gli eventi successivi, vi fossero ulteriori elementi deponenti nel senso preteso dall’odierna ricorrente.

4.2. Il motivo è dunque inammissibile, restando in esso assorbito l’esame di ricorso incidentale condizionato.

5. Il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

5.1. Parte ricorrente invoca l’applicazione del D.P.R. n. 349 del 1994, art. 3, comma 3, disposizione del seguente tenore: “…3. L’infermità non prevista in dette tabelle è indennizzabile solo nel caso in cui essa sia da ritenersi equivalente ad alcuna di quelle contemplate nelle tabelle stesse, anche quando la menomazione dell’integrità fisica si manifesta entro 5 anni dalla cessazione del rapporto d’impiego, elevati a 10 anni per invalidità derivanti da parkinsonismo…. “..Assume che la domanda proposta dagli eredi, seppure intervenuta entro sei mesi dal decesso del pensionato, verteva su menomazione dell’integrità fisica che si era manifestata ben oltre il quinquennio dalla cessazione del rapporto di impiego e quindi non poteva dare luogo alla corresponsione di alcun equo indennizzo.

6. Occorre premettere che il D.P.R. n. 349 del 1994, è entrato in vigore il 5 dicembre 1994, quindi in data successiva al decesso del T., avvenuto il (OMISSIS). A tale data vigeva il D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, art. 51, del seguente tenore: “Per conseguire l’equo indennizzo l’impiegato deve presentare domanda all’amministrazione da cui dipende entro sei mesi dal giorno in cui gli è comunicato il decreto che riconosce la dipendenza della menomazione dell’integrità fisica da cause di servizio; ovvero entro sei mesi dalla data in cui si è verificata la menomazione dell’integrità fisica in conseguenza dell’infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio. La disposizione di cui al comma precedente si applica anche quando la menomazione dell’integrità fisica si manifesta dopo la cessazione del rapporto d’impiego. La domanda può essere proposta negli stessi termini ivi previsti anche dagli eredi dell’impiegato o del pensionato deceduto”.

6.1. Alla stregua di tale norma, non era previsto che fossero suscettibili di valutazione ai fini dell’equo indennizzo solo le menomazioni dell’integrità fisica sopravvenute entro il quinquennio dal pensionamento, ma anche le infermità manifestatesi oltre tale limite temporale purchè denunciate entro sei mesi del loro rilievo. Il comma 2 dell’art. 51 cit. precisava infatti che la disposizione (e perciò quei termini) doveva valere anche quando la menomazione si manifestava dopo la cessazione del rapporto d’impiego, senza ulteriori specificazioni. La domanda poteva essere proposta negli stessi termini anche dagli eredi dell’impiegato o del pensionato deceduto.

7. E’ di queste norme che si deve tener conto nel caso in esame, non già della parzialmente diversa disciplina recata dal D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349, recante riordino dei procedimenti di riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio e di concessione dell’equo indennizzo, che è entrata in vigore il 5 dicembre 1994 (art. 12), nella pendenza del termine semestrale applicabile agli eredi del T. in forza della disciplina previgente.

7.1. E’ dunque errato il riferimento normativo invocato dall’Amministrazione ricorrente, dovendo poi rilevarsi che non ha formato oggetto del ricorso per cassazione l’accertamento fattuale sotteso al decisum della Corte territoriale, secondo cui nella specie era stato rispettato il termine semestrale dalla manifestazione della menomazione.

8. In conclusione il ricorso va respinto con condanna della Presidenza Regione Sicilia al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la Presidenza della Regione Siciliana al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2017

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