Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14861 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. I, 27/05/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 27/05/2021), n.14861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11760/2020 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

rilasciata su foglio separato, ma congiunto materialmente al ricorso

per cassazione, dall’Avv. Paolo Tacchi Venturi.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, nella persona del Ministro in carica,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e

domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di VENEZIA n. 5079/2019,

pubblicata in data 18 novembre 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/04/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 18 novembre 2019, la Corte di appello di Venezia ha dichiarato manifestamente infondato l’appello proposto da S.A., nato in (OMISSIS), avverso l’ordinanza del 2 ottobre 2018, con la quale il Tribunale di Venezia aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.

2. Il ricorrente aveva riferito di avere lasciato il Senegal a causa di problemi legati all’eredità del padre, deceduto nel (OMISSIS), per via di contestazioni dei suoi diritti ereditari da parte degli zii, fratelli del padre, i quali gli avevano intimato di lasciare la casa paterna, minacciandolo di morte.

3. La Corte di appello di Venezia ha confermato il giudizio di inattendibilità del ricorrente, alla luce delle molte contraddittorietà e profili di inverosimiglianza delle dichiarazioni rese, non ritenendo plausibili i timori espressi verso gli zii, essendo la suddetta situazione continuata per almeno 4 anni dopo la morte del padre, senza che il richiedente si fosse nel frattempo rivolto alla giustizia locale per tutelare le proprie ragioni ereditarie; nè poteva configurarsi come causa di persecuzione, la malattia ravvisata nelle maledizioni che gli zii gli avrebbero rivolto; che non era stato assolto l’onere di allegazione e di prova e che il ricorrente avrebbe potuto, per evitare ogni rischio, trasferirsi in un’altra zona del proprio paese; che, comunque, i fatti narrati avevano natura privatistica; che, in ragione dell’inesistenza del pericolo di vita, della non credibilità del ricorrente e della natura privata delle vicende narrate, anche la domanda di protezione sussidiaria era infondata, tenuto conto anche delle fonti internazionali, espressamente indicate e aggiornate al 2017; quanto alla protezione umanitaria, i giudici di secondo grado hanno evidenziato che il documentato inserimento sociale e lavorativo dell’appellante non poteva assurgere a motivo fondante il riconoscimento della protezione di tipo internazionale invocata, ben potendo il suddetto tipo di stabile inserimento condurre a forme differenti di permesso di soggiorno e che, in ogni caso, le garanzie previste dal sistema di protezione internazionale non prevedevano la concessione di un titolo di permanenza in Italia a chi emigrava per motivi economici, sociali o familiari.

4. S.A. ricorre in cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia con atto affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della Legge di Conversione n. 415 del 2017, art. 2, con modificazioni, del D.L. n. 13 del 2017, concernenti disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale, in relazione alla composizione dell’organo giudicante, che ha previsto la specializzazione nella trattazione dei procedimenti in materia di immigrazione, poichè il Presidente della Corte d’Appello di Venezia, con provvedimenti nn. 23346 e 23347 del 6 dicembre 2018, aveva disposto l’applicazione dei giudici civili provenienti da tutti i Tribunali del distretto ad alcune sezioni civili della stessa Corte d’Appello per comporre il collegio in materia di immigrazione.

1.1 Il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore del provvedimento impugnato, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione e dal quale deriva l’impegno per il ricorrente di operare una esposizione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di Cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando il provvedimento è censurato per non averne tenuto conto (Cass., 4 ottobre 2018, n. 24340).

1.2 L’osservanza di tale principio avrebbe imposto, nel caso in esame, l’onere per il ricorrente di trascrivere integralmente gli indicati atti, ovvero i provvedimenti di applicazione alla Corte di appello dei giudici del distretto e i provvedimenti direttamente riconnessi alla lite in esame e relativi all’assegnazione della stessa ad un collegio straordinario composto da un magistrato della sezione, dal magistrato applicato e da un giudice ausiliario, il cui contenuto costituiva l’imprescindibile termine di riferimento per l’esame della censura sollevata.

1.3 Deve, peraltro, essere evidenziato che il magistrato applicato, in presenza di un provvedimento del Presidente della Corte d’appello assunto ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 110, non può essere considerato una persona estranea all’Ufficio e non investita della funzione esercitata, nè la contestazione relativa alla modalità con cui l’applicazione è stata disposta consente di ipotizzare una nullità della decisione assunta con la partecipazione del magistrato applicato.

1.4 Al riguardo, posto che l’art. 156 c.p.c., prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge, nessuna norma contempla una nullità di atti ricollegata alle modalità con cui il Presidente della Corte d’appello si avvale del potere di disporre l’applicazione al suo ufficio di magistrati del distretto (Cass., 3 marzo 2021, n. 6391).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, non avendo la Corte valutato l’età, le condizioni personali, il viaggio e la condizione del paese di origine dove egli ritornerebbe privo di una rete parentale o quantomeno amicale idonea a garantirgli una sussistenza libera e dignitosa; era assente anche l’accertamento della condizione soggettiva del richiedente, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale, oltre che una valutazione individuale, specifica e concreta, che facesse riferimento alla condizione di povertà estrema in cui larghe fasce della popolazione erano costrette a vivere nel paese di provenienza; non erano nemmeno state considerate le altre forti relazioni personali che in quasi sette anni egli aveva stretto in Italia, con i compagni di scuola e con i colleghi di lavoro che, in caso di rimpatrio, avrebbe perduto con un conseguente danno a livello esistenziale.

2.1 Il motivo è inammissibile, non essendo stata censurata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2.2 Il ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non credibili dal giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità.

In particolare, la scarsa attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio paese svolge un ruolo rilevante, atteso che la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi.

Nella specie, non solo la narrazione dei fatti è stata ritenuta scarsamente attendibile, ma la Corte di appello ha, altresì, osservato, quanto alla protezione umanitaria, che il documentato inserimento sociale e lavorativo dell’appellante non poteva assurgere a motivo fondante il riconoscimento della protezione di tipo internazionale invocata, ben potendo il suddetto tipo di stabile inserimento condurre a forme differenti di permesso di soggiorno e che, in ogni caso, le garanzie previste dal sistema di protezione internazionale non prevedevano la concessione di un titolo di permanenza in Italia a chi emigrava per motivi economici, sociali o familiari.

2.3 Questa Corte, anche di recente, ha affermato che in tema di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, se è pur vero che la valutazione in ordine alla sussistenza dei suoi presupposti deve essere il frutto di autonoma valutazione avente ad oggetto le condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti, tuttavia, la necessità dell’approfondimento da parte del giudice di merito non sussiste se, già esclusa la credibilità del richiedente, non siano state dedotte ragioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte per le protezioni maggiori (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29624).

2.4 Ed ancora questa Corte ha statuito che “In tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perchè non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi difficoltà economiche e sociali” (Cass., 6 novembre 2020, n. 24904).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per l’impiego di fonti informative non idonee, non avendo la Corte di appello tenuto conto di quanto di diverso era stato allegato al ricorso di primo grado e nell’atto di appello e nell’allegato 1 delle conclusioni depositate e specificamente dell’ampia giurisprudenza delle corti italiane facenti riferimento al Senegal richiamata da pagina 2 a pagina 9 dell’atto di appello, oltre che del motivo proposto nell’atto di appello sulla mancanza di link o riferimenti precisi delle fonti consultabili; la Corte era, inoltre, venuta meno al suo obbligo di approfondimento, che avrebbe dovuto essere specifico e mirato sulla specificità che lo riguardava come persona e su quella della zona del Paese dalla quale egli proveniva ed aveva utilizzato Coi non indipendenti o accreditate e, comunque, non attuali riportando fatti relativi al 2016.

3.1 Il motivo è inammissibile.

3.2 Difetta, ancora una volta, la violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che avrebbe richiesto l’onere per il ricorrente – che deduce che la Corte territoriale non aveva preso in esame “quanto di diverso è stato allegato al ricorso di primo grado e nell’atto di appello” – di trascrivere gli atti allegati, il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per l’esame delle censure sollevate.

3.3 Occorre, inoltre, ricordare, che, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, oppure che le stesse siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass., 21 ottobre 2019, n. 26728; Cass., 18 febbraio 2020, n. 4037).

Infatti, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (Cass., 21 novembre 2018, n. 30105; Cass., 9 aprile 2019, n. 9842).

3.4 Ciò posto, il motivo, articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 200, ex art. 14, lett. c, oltre che estremamente generico per la mancata indicazione dei link “non funzionanti”, è inammissibile anche perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative utilizzate ed aggiornate al 2017, per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del paese di provenienza, giudizio quest’ultimo inibito alla Corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative (cfr. pagg. 6 – 7 del provvedimento impugnato).

3.5 Il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli a persone provenienti dal Senegal non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi.

4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna S.A. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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