Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14853 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. I, 27/05/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 27/05/2021), n.14853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2868/19 proposto da:

Y.W., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del

proprio avvocato (alfredina.marini.ordineavvocatifermopec.it), difeso

dall’avvocato Alfredina Marini, in virtù di procura speciale

apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 25.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Y.W., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese perchè ingiustamente accusato di avere provocato l’incendio della falegnameria dove lavorava; venne dei conseguenza ridotto in schiavitù dal proprio datore di lavoro e costretto a lavorare in condizioni disumane per ripagare il danno.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento Y.W. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 21.10.2016.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla

Corte d’appello di Ancona con sentenza 25.6.2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi sia perchè il racconto del richiedente era inattendibile, sia perchè i fatti narrati riguardavano comunque una vicenda privata;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva “nemmeno dedotto” specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da Y.W. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè violazione ed errata applicazione delle norme di diritto erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione”.

L’illustrazione del motivo è costituita dal susseguirsi delle più diverse affermazioni, costituisce una trascrizione quasi integrale dell’appello, e non contiene alcuna ragionata censura avverso la decisione di secondo grado.

La censura è dunque manifestamente inammissibile.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 184,345,359 e 738 c.p.c..

L’illustrazione del motivo non è affatto chiara.

Parrebbe di capire che secondo il ricorrente “il Tribunale” (sic) di Ancona avrebbe violato la convenzione di Ginevra sui rifugiati perchè non ha seguito i criteri stabiliti dai paragrafi 195-205 del Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato diffuso dall’ACNUR.

2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, perchè denuncia la violazione di un precetto prasseologico, e non d’una norma di legge. Ed infatti gli studi ed i rapporti di organizzazioni internazionali, quali il “Manuale sulle procedure” o il rapporto “Beyond proof credibility assessment in EU asylum systems” dell’UNHCR non costituiscono fonti di produzione normativa, nè contengono “disposizioni”, ma sono solo pareri, per quanto autorevoli: come tali ovviamente non vincolanti per il giudice; e tantomeno per una Corte Suprema.

Aggiungasi che il suddetto Manuale non affronta problemi giuridici, ma solo tecnico-operativi, e si rivolge, per espressa ammissione degli autori, alle autorità politiche ed alle pubbliche amministrazioni, non agli organi giudicanti (“a practical tool for policy makers and asylum practitioners”).

Una sentenza di merito che pronunci in materia di protezione internazionale, pertanto, non potrà mai dirsi viziata sol perchè l’iter logico seguito dal Giudicante non collimi con l’opinione, col metodo o peggio – con l’interpretazione della legge sostenuta nei suddetti testi diffusi da organizzazioni internazionali.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione di legge, erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione”.

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato le norme sulla protezione sussidiaria perchè se tornasse in patria correrebbe il rischio di subire trattamenti inumani.

3.1. Il motivo è inammissibile per totale estraneità rispetto alla motivazione del provvedimento impugnato.

La domanda di protezione sussidiaria è stata infatti rigettata da un lato perchè il racconto del richiedente è stato ritenuto non credibile, e dall’altro sul presupposto che in Pakistan non esista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Nessuna di queste due statuizioni è neanche sfiorata dal motivo in esame.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta l’erroneità del rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Anche in questo caso è prospettata la violazione di legge, l’erronea valutazione dei fatti e “l’eccesso di potere” per carenza assoluta di motivazione.

Nell’illustrazione del motivo si dice che “la ricorrente” (sic) se tornasse nel suo paese “rischierebbe di essere arrestata per accuse prive di alcun fondamento giuridico”.

4.1. Anche questo motivo è manifestamente inammissibile in quanto: -) non contiene nessuna ragionata censura alla sentenza impugnata;

-) non si confronta con l’affermazione secondo cui la domanda di protezione umanitaria andava rigettata perchè il ricorrente non aveva “nemmeno dedotto” i fatti fondativi di essa;

-) il rischio di arresto è circostanza introdotta soltanto nel ricorso per cassazione, e da nessun punto del ricorso risulta prospettato nei gradi di merito, nè si saprebbe dire quale sarebbe la “accusa priva di fondamento giuridico” contestata in patria all’odierno ricorrente.

5. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826-01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono in astratto i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se risultasse dovuto nel caso specifico.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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