Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14851 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. I, 27/05/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 27/05/2021), n.14851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2562/19 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato a Roma, v. F. Corridoni n.

25, (c/o avv. Ciaralli), difeso dagli avv.ti Emilio Serena, e Laura

D’Andrea, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato a Roma, via dei Portoghesi n. 12,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 11.7.2018 n.

1362;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.M., cittadino bengalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto perseguitato da appartenenti ad un partito politico avverso al suo, i quali avevano malmenato e minacciato lui, la sua famiglia, ed in particolare provocato a suo fratello lesioni tali che resero necessaria l’amputazione di ambo gli arti superiori.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento R.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 20.6.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 11.7.2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato non potesse essere concesso perchè i fatti narrati dal ricorrente riguardavano una vicenda privata;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potesse essere concessa perchè i “trattamenti inumani degradanti” lamentati dall’appellante non provenivano dallo Stato o da organi statali, ma da privati;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato nè dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”; nè poteva discendere tale condizione di vulnerabilità dalla mera circostanza dell’esistenza nel paese di origine di una povertà diffusa.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da R.M. con ricorso fondato su cinque motivi. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8.

Sostiene che la Corte d’appello sarebbe venuta meno al dovere di “effettuare indagini più approfondite” sui fatti specifici posti alla base della richiesta di protezione.

1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda di concessione dello status di rifugiato sul presupposto che “le minacce ricevute dal richiedente costituiscono una vicenda privata e non provengono dallo Stato”.

E’ dunque ovvio che, una volta qualificata in termini di “vicenda privata” la storia narrata dal richiedente, la Corte d’appello non aveva alcun obbligo di cooperazione istruttoria.

Nè il motivo in esame censura la qualificazione in termini di “vicenda privata” della storia narrata dal richiedente, ed è di conseguenza inammissibile per difetto di rilevanza.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9 e 12, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19.

Sostiene che “il verbale redatto dalla commissione territoriale non presenta le caratteristiche sufficienti a garantire un completo ed esaustivo colloquio del richiedente, essendo sintetico e dai contenuti elettivamente succinti”.

2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.

E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che qualsiasi nullità verificatasi nel giudizio dinanzi la Commissione territoriale diventa irrilevante nella fase giurisdizionale, dal momento che quest’ultima non costituisce una impugnazione del provvedimento adottato dalla commissione territoriale, ma ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza, o meno, del diritto stesso, senza limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 17318 del 27/06/2019, Rv. 654643-01).

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Vi si sostiene che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza in Bangladesh d’una situazione di violenza generalizzata derivante da un armato.

3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.

Lo stabilire se in un determinato paese esista o non esista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito; esso sarebbe censurabile eventualmente solo sotto il profilo del mancato ricorso, da parte del giudice di merito, a fonti di informazione attendibili ed aggiornate.

Nel caso di specie, tuttavia, la Corte d’appello ha fatto riferimento ad un rapporto dell’EASO, e dunque ha assolto l’onere di utilizzare fonti attendibili ed aggiornate. Lo stabilire poi se siano preferibili le fonti utilizzate dal giudice di merito o quelle invocate dal ricorrente è questione ovviamente non prospettabile in sede di legittimità.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Il motivo investe il rigetto della domanda di protezione umanitaria. Sostiene il ricorrente che, in caso di rimpatrio, subirebbe una minaccia grave e individuale alla propria vita, “considerata l’inidoneità dello Stato e delle organizzazioni statuali operanti nel paese a fornire una adeguata protezione”.

4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria sul presupposto che il ricorrente non avesse “nemmeno dedotto” quali fossero i fatti fondativi della domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa andava impugnata con un motivo ad hoc. Il ricorrente, invece, in nessun punto del motivo in esame spiega in quale atto, in quali termini, e sulla base di quali fatti, aveva formulato la propria domanda di protezione umanitaria; e non prospetta mai il vizio di nullità processuale ex 360 c.p.c., n. 4, consistente nell’avere ritenuto non dedotti in giudizio fatti che invece erano stati ritualmente introdotti nel thema decidendum.

5. Col quinto motivo il ricorrente prospetta la violazione dell’art. 10 Cost..

Sostiene che tale norma gli attribuirebbe un diritto di asilo ingiustamente misconosciuto del giudice d’appello.

5.1. Il motivo è inammissibile perchè in base alla stessa esposizione dei fatti processuali di cui alle pagine: 3-4 del ricorso non risulta che tale questione sia stata sollevata nei gradi di merito, e deve ritenersi per ciò nuova.

In ogni caso è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che le tre forme di protezione legislativamente previste (rifugio, protezione sussidiaria, protezione umanitaria) esauriscono tutte le ipotesi previste dall’art. 10 Cost., comma 3, sicchè non è concepibile un autonomo “diritto costituzionale di asilo”, quasi fosse una quarta forma di protezione internazionale (ex multis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16362 del 04/08/2016, Rv. 641324-01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 11110 del 19/04/2019, Rv. 653482-01).

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6-3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826-01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna R.M. alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito;

(-) dà atto che sussistono in astratto i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se risultasse dovuto nel caso specifico.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

 

 

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