Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1485 del 24/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1485 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 15177-2008 proposto da:
FORTE ERICO C.F.

FRTRCE50P15A465Y, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. FERRARI 35, presso lo
studio dell’avvocato MARZI MASSIMO FILIPPO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO
ANTONIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

3457

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

I.N.P.S.
SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

Data pubblicazione: 24/01/2014

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA N.

29,

presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

LELIO, giusta delega in atti;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 275/2007 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 31/05/2007 R.G.N. 84/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/12/2013 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato MARZI MASSIMO FILIPPO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA per delega CORETTI
ANTONIETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

avvocati CORETTI ANTONIETTA, CALIULO LUIGI, MARITATO

Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Vicenza, Enrico Forte proponeva
opposizione awerso l’ordinanza ingiunzione n.91\99 fondata su
addebiti rilevati in sede di accertamento ispettivo INPS del 16.6.95,
col quale gli venne contestato l’omesso versamento contributivo per
due lavoratrici da esso dipendenti.

lavoro dipendente, per un periodo più lungo di quello denunciato ed
un c.f.l. ritenuto nullo; per la stessa figurava inoltre come datore di
lavoro (per il periodo 1985-89) altro soggetto (la moglie del Forte,
Da Ros). Era stato poi accertato che nel periodo successivo (sino al
1994) erano state erogate somme a titolo di trasferta senza che ne
sussistessero i presupposti.
Per la lavoratrice Rodeghiero le contestazioni riguardavano, per un
periodo in parte coincidente, l’omessa denuncia della dipendente, e
parimenti indennità erogate a titolo di trasferta insussistenti oltre ad
un c.f.l. nullo.
Nel contestare la veridicità dei fatti evidenziati nel verbale ispettivo,
il Forte proponeva querela di falso in ordine a tale documento.
Il Tribunale di Vicenza con sentenza del 18.2.04 accoglieva
parzialmente il ricorso quanto alla lavoratrice Tosin ed
integralmente quanto alla Rodeghiero.
Proponeva appello il Forte, presentando nuovamente querela di
falso ideologico in ordine al verbale di accertamento in questione.
Resisteva l’INPS proponendo appello incidentale con riferimento alla
posizione della lavoratrice Tosin.
Con sentenza depositata il 31 maggio 2007, la Corte d’appello di
Venezia rigettava l’appello principale ed accoglieva quello
incidentale, condannando il Forte a pagare all’INPS, per la posizione
Tosin, l’importo di E.47.216,64 oltre somme aggiuntive ed interessi.
Per la cassazione propone ricorso il Forte, affidato ad otto motivi,
poi illustrati con memoria.
Resiste l’INPS con controricorso.
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In particolare per la lavoratrice Tosin fu accertato un rapporto di

Motivi della decisione
1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art.
221 c.p.c. e l’illogicità delle valutazioni svolte dai giudici di appello e
dal Tribunale riguardo alla querela di falso proposta.
Lamenta che il Tribunale omise qualsivoglia esame in ordine alla
querela, mentre la Corte d’appello la ritenne erroneamente

storico di lite) privo di valenza probatoria nel giudizio di
opposizione.
Evidenziato che la querela di falso può essere presentata in
qualunque stato e grado del giudizio e che essa poteva ritenersi
irrilevante solo per quanto accertato nel verbale in ordine alla
posizione Rodigheiro in quanto non oggetto di impugnazione da
parte dell’INPS, il Forte riproduce nell’odierno ricorso il contenuto
della querela.
Il motivo è inammissibile, oltre che per censurare in questa sede
l’operato del Tribunale, per la totale mancanza del quesito di diritto
ex art. 366 bis c.p.c., applicabile nel caso di specie.
2.- Con il secondo motivo il Forte denuncia l’illogicità delle
valutazioni svolte dai giudici di appello e dal Tribunale, oltre alla
violazione delle norme sul diritto di difesa e falsa applicazione delle
norme sulla ripartizione dell’onere probatorio, ex art. 360, comma
1, n. 3 c.p.c.
Formula il seguente quesito di diritto:

“se in presenza della

contestazione del quantum dell’accertamento, sia sufficiente per la
sua determinazione la visione unicamente del libro matricola e del
libro infortuni senza ledere II diritto di difesa costituzionalmente
garantitd’.
Il quesito, e con esso l’intero motivo (Cass. sez.un. 9 marzo 2009 n.
5624, Cass.7 marzo 2012 n. 3530), è inammissibile.
Giova infatti rammentare il consolidato orientamento di questa
Corte, secondo cui “Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod.
proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli
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irrilevante riguardando un documento (il verbale ispettivo di cui allo

elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica
indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la
diversa regola di diritto che, ad awiso del ricorrente, si sarebbe
dovuta applicare al caso di specie. È, pertanto, inammissibile il
ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla
S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno
luglio 2008 n. 19769, Cass. ord. 25 settembre 2007 n. 19892.
Ed ancora (Cass. sez.un. 28 settembre 2007 n. 20360) “Il quesito di
diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della
questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in
termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad
esso si dia, discenda in modo univoco raccoglimento od il rigetto
del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso
nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello formulato in
modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di
fatto”, come nella specie.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’illogicità delle
valutazioni svolte dai giudici di appello e dal Tribunale, oltre alla
violazione e falsa applicazione delle norme sulla ripartizione
dell’onere probatorio (artt. 2697 c.c., 23, comma 12, L. n. 189\81
ed art. 414 n. 4 c.p.c.), ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Lamenta che spetta a chi ha emesso l’ordinanza ingiunzione di
provare i fatti che ne sono a fondamento, mentre l’art.23, comma
12, L. n. 189\81 stabilisce che l’opposizione vada accolta qualora
non vi siano prove sufficienti della responsabilità dell’opponente.
Riporta talune valutazioni in fatto svolte dalla Corte distrettuale,
lamentandone l’insufficienza ai fini probatori in questione.
Formula il seguente quesito di diritto: “se ai sensi dell’art. 2697 c.c.
sia a carico dell’ente accettatore dare la prova delle violazioni
contestate; se ai sensi dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 414 n. 4 c.p.c.
debbano considerarsi dimostrati o meno i fatti per cui è causa sulla

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la violazione di una determinata disposizione di legge”, Cass. 17

base delle sole informazioni rese dalla sig.ra Tosin Mara, sentita
liberamente.
Anche tale quesito, e con esso l’intero motivo, è inammissibile, in
parte per le ragioni sopra evidenziate, in parte in quanto
sottopongono al diretto esame di questa S.C. accertamenti in fatto,
chiedendone una inammissibile diversa valutazione.

fatto, consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ.,
non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia
dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una
determinata soluzione della questione esaminata, posto che una
simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto
e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione,
contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice
di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito
del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di
procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma,
propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Del resto, il
citato art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. non conferisce
alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito
della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logicoformale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le
fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie
risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n.
12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006
n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n.
7394). Per completezza espositiva deve evidenziarsi che nel giudizio
tra l’ente previdenziale ed il datore di lavoro, avente ad oggetto il
pagamento di contributi previdenziali che si assumono evasi, non è
incapace a testimoniare il lavoratore i cui contributi non siano stati
6

Deve infatti considerarsi che il controllo di logicità del giudizio di

versati, in assenza di un interesse giuridico attuale e concreto che
legittimi il lavoratore-teste ad intervenire in giudizio, non essendo
configurabile l’incapacità a testimoniare che l’art. 246 cod. proc. civ.
(come affermato dalla Corte Cost. nelle sentenze n. 248 del 1974,
n. 62 del 1995 e nell’ordinanza n. 143 del 2009) ricollega non solo
alla posizione di parte formale o sostanziale del giudizio, ma anche

giudizio da altro soggetto (Cass. n. 3051\11).
4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia: “corresponsione
trasferte. Sulla l’illogicità delle valutazioni svolte dai giudici di
appello e dal Tribunale. Violazione e falsa applicazione delle norme
sulla ripartizione dell’onere probatorio, nonché insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia
in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.”.
Lamenta che le somme erogate a titolo di trasferta non erano da
assoggettare a contribuzione, tanto più che la Tosin aveva negato
di essersi recata in trasferte, salvo rari casi in dieci anni.
Il motivo è inammissibile, oltre che per censurare nuovamente
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st~Irdel primo giudice, per sottoporre a questa Corte, in
modo peraltro non adeguatamente specifico ex art. 366 c.p.c.,
valutazioni in fatto, non contenendo, inoltre, ai sensi dell’art. 366
bis c.p.c. la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, owero le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la
renda inidonea a giustificare la decisione, ed il momento di sintesi
che consenta alla Corte di valutare immediatamente l’ammissibilità
del ricorso, senza necessità di un’attività interpretativa dell’intero
motivo da parte della Corte (ex plurimis, Cass. 30 dicembre 2009 n.
27680, Cass. 7 aprile 2008 n. 8897, Cass. 18 luglio 2007 n. 16002,
Cass. sez. un. 1°ottobre 2007 n. 20603).
5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia “Sulla illogicità delle
valutazioni di merito svolte dai Giudici di Appello e dai Giudici di
primo grado al riguardo dell’ipotesi di intermediazione illecita di
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alla titolarità di situazione giuridica dipendente da quella dedotta in

manodopera. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge
n. 1369\60, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su
un punto decisivo della controversia in relazione all’art.360, comma
1, n. 5 c.p.c.”.
Lamenta che secondo l’art. 1 della legge n. 1369\60 in materia di
appalto di mere prestazioni di lavoro, i lavoratori devono essere

concretamente abbia utilizzato le loro prestazioni, sicché le
prestazioni previdenziali e retributive gravano solo su quest’ultimo;
che nella specie era emerso, come da riportati brani dell’istruttoria
svolta e dalla menzione di alcuni documenti, che la Tosin aveva
lavorato per conto e nell’interesse della sig.ra Da Ros.
Il motivo è inammissibile per tre ordini di considerazioni.
La prima è la mancanza del cd. quesito di fatto ex art. 366 bis
c.p.c., come sopra specificato.
La seconda, già rammentata, è che il controllo di logicità del
giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5) cod.
proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”
che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione
della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà,
non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe
sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla
funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. La
terza è la violazione del principio di autosufficienza del ricorso,
posto che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di
motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze
probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le
circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento
trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito,
prowedendo alla loro trascrizione (o quanto meno all’indicazione
della loro esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, Cass.
sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726 ), al fine di consentire al
giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare,
8

considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che

e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza
del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere
sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative (Cass. ord. 30 luglio
2010 n. 17915; Cass. ord. 16.3.12. n. 4220). Deve al riguardo
precisarsi che la pur indicata collocazione all’interno dei fascicoli di
l’improcedibilità del motivo (Cass. sez. un. n. 22726\11), non ne
esclude, secondo l’autorevole pronuncia, l’inammissibilità ex art.
366, n. 6 c.p.c. per difetto di specificazione del contenuto dei
documenti indicati, owero della loro trascrizione nella sua
completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza” (Cass.
ord. 16.3.12. n. 4220), cosa nella specie non avvenuta.
6.- Con il sesto motivo il Forte denuncia “Sulla illogicità delle
valutazioni di merito svolte dai Giudici di Appello e dai Giudici di
primo grado. Insufficiente esame delle argomentazioni delle parti e
valutazione delle prove, nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione
all’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c.”.
Lamenta che la Corte di merito attribuì rilevanza alle dichiarazioni
rese dalla teste Tosin, che invece venne sentita liberamente dal
Tribunale. Contesta comunque la veridicità delle affermazioni della
Tosin, suffragandola con vari brani estrapolati dalle sue
dichiarazioni e di quelle, neppure riprodotte, di altri testi; col
contrasto con una serie di documenti di cui sono riportati al più gli
estremi (come le numerose dichiarazioni sostitutive di atti di
notorietà; le fatture ed altri documenti, tra cui allegati a processi
verbali della Guardia di Finanza) ma non il contenuto.
Anche tale motivo risulta inammissibile per le medesime
considerazioni svolte in ordine all’esame della precedente censura,
tra cui, in primis, la mancanza del momento di sintesi ex art. 366
bis c.p.c.

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causa di taluni dei documenti richiamati, se vale ad escludere

7.- Con il settimo motivo il Forte espone: “Sulla omessa utilizzazione
di elementi da porre a base del giudizio. Vizio di motivazione.
Insufficiente esame delle argomentazioni delle parti e valutazione
delle prove, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione e
travisamento dei fatti su un punto decisivo della controversia in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
particolare delle testimonianze “ammesse e non ammesse dal
Tribunale” (pag.40 ricorso), evidenziando che qualora ciò fosse
awenuto “la decisione del giudice sarebbe stata diversa”.
Anche tale motivo è inammissibile, per censurare nuovamente
statuizioni del giudice di primo grado, difettando inoltre, ancora, del
quesito di fatto di cui all’art. 366 bis c.p.c.
Per completezza espositiva può evidenziarsi che la Corte di merito
risulta aver valutato la complessa attività istruttoria compiuta in
primo grado, né il ricorrente stesso spiega adeguatamente le
ragioni dell’obiettiva deficienza o contraddittorietà del ragionamento
del giudice, non potendo le censure risolversi nella mera
contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata
(Cass. 22 novembre 2010 n. 23635), ed è al riguardo sintomatica la
generica affermazione del Forte secondo cui una “migliore
valutazione” delle risultanze istruttorie avrebbero condotto ad una
decisione “diversa”.
D’altro canto deve rimarcarsi che perché la motivazione adottata dal
giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente
non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o
condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è
sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le
argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass.
n.12121\04), così come la riduzione delle liste testimoniali
sovrabbondanti (nella specie il Forte lamenta la mancata o non
completa audizione di circa venti testimoni) costituisce un potere
10

Lamenta la mancata ammissione dei mezzi istruttori, ed in

tipicamente discrezionale del giudice di merito, non censurabile in
sede di legittimità, ed esercitabile anche nel corso dell’espletamento
della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testi
ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua
l’ulteriore assunzione della prova. Tale ultima valutazione non deve
essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito
2009 n. 9551).
8.- Con l’ottavo motivo il Forte denuncia: “Richiesta di doppia
contribuzione per la medesima posizione lavorativa. Vizio di
motivazione. Insufficiente esame delle argomentazioni delle parti e
valutazione delle prove, nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione e travisamento dei fatti su un punto decisivo della
controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Lamenta che mentre il Tribunale ritenne che in relazione alla
medesima posizione lavorativa (tale dovendosi considerare quella
del lavoratore dipendente da datore di lavoro fittiziamente
interposto) non poteva essere pretesa dall’INPS una doppia
contribuzione (una dall’interposto ed altra dall’interponente), la
Corte di merito la ritenne erroneamente legittima.
Anche tale motivo difetta del quesito di fatto di cui all’art. 366 bis
c.p.c. Deve comunque evidenziarsi che la Corte di merito ha escluso
l’esistenza, nella specie, di una interposizione fittizia di
manodopera, ampiamente argomentando circa l’obbligo
contributivo da parte del Forte, argomentazioni che non risultano
specificamente censurate dal ricorrente.
Del resto, anche qualora si volesse ipotizzare l’esistenza nella specie
di una interposizione fittizia di lavoro, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (Cass. sez.un. n. 22910\06; da ultimo Cass. n.
3795\13), nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono – prima
dell’intervenuta abrogazione ad opera dell’art. 85, comma primo,
lett. c) del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 – i primi tre commi
dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, la nullità del
11

dal complesso della motivazione della sentenza (Cass. 22 aprile

contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e la
previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo – secondo cui i
lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze
dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le
prestazioni – comportano che solo sull’appaltante (o interponente)
gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e

materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una
(concorrente) responsabilità dell’appaltatore (o interposto) in virtù
dell’apparenza del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di
lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza
sociale degli interessi ad esso sottesi. Ne consegue che semmai
avrebbe potuto o potrebbe la Da Ros ripetere all’INPS i contributi
versati, ma non già lamentarsi il Forte della posizione a suo carico
della contribuzione dovuta per la lavoratrice Tosin.
9.- Il ricorso deve pertanto dichiararsi inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che
liquida in E.100,00 per esborsi, E.4.000,00 per compensi, oltre
accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 dicembre
2013

normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in

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