Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14846 del 13/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/07/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 13/07/2020), n.14846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 4111 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente –

contro

Studio legale associato M., in persona degli avvocati Sergio Moze e

Chiara Moze, rappresentato e difeso dai suddetti avvocati, i quali

elettivamente si domiciliano in Roma, al viale Parioli, n. 63,

presso lo studio dell’avv. Massimiliano Terrigno;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata in data 4 luglio

2016, n. 218/2016;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

26 novembre 2019 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Luisa De Renzis, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

sentito per parte contribuente l’avv. Sergio Moze.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che l’avv. M.C. è stata amministratrice di sostegno per oltre un biennio e che il giudice tutelare ha liquidato in suo favore l’indennità di 1000,00 Euro, che è stata fatturata. Successivamente l’avv. M. ha chiesto il rimborso della relativa iva corrisposta, ricevendone diniego dall’Agenzia delle entrate, che è stato oggetto d’impugnazione.

La Commissione tributaria provinciale di Trieste ha accolto il ricorso e quella regionale del Friuli Venezia-Giulia ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia.

A sostegno della decisione il giudice d’appello ha configurato l’erogazione dell’indennità, prevista dalla combinazione degli artt. 379 e 411 c.c., come ristoro degli oneri e delle spese difficilmente documentabili che gravano sull’amministratore di sostegno, anche se concernono la cura della persona e non già la gestione del patrimonio di colui che fruisce dell’amministrazione. Indifferente è dunque, ha sottolineato la Commissione, la qualificazione dell’amministratore di sostegno, perchè, altrimenti, si realizzerebbe una disparità di trattamento tra l’amministratore di sostegno non titolare di reddito di lavoro autonomo, che sottrae a tassazione l’indennità corrispostagli, e quello titolare del reddito, che vedrebbe, invece, tassata l’indennità, nonostante si sia al cospetto della medesima attività.

Del resto, ha aggiunto il giudice d’appello, lo stesso giudice tutelare che ha liquidato l’indennità ha escluso che essa corrispondesse a una forma di retribuzione.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che articola in un unico motivo, cui lo studio associato risponde con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1,3 e 13, in relazione agli artt. 379 e 411 c.c., in quanto, sostiene, le somme che l’amministratore di sostegno riceve si pongono in relazione sinallagmatica con la prestazione resa, come si evince, d’altronde, dalla facoltà, contemplata dall’art. 379 c.c., che l’amministratore ha di farsi coadiuvare nell’amministrazione da una o più persone stipendiate.

2.- A fondamento del ricorso v’è la qualificazione soggettiva, di avvocato, e, quindi, di professionista, di colui che ha svolto l’attività; irrilevante sarebbe, dunque, la natura, di amministrazione di sostegno, dell’attività svolta.

In effetti, le operazioni imponibili ai fini dell’iva, per i profili rilevanti in giudizio, sono le cessioni di beni e le prestazioni di servizi svolte nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1).

E la Dir. iva, art. 9, (Dir. n. 2006/112/CE) stabilisce, per un verso, che “si considera “soggetto passivo” chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” e, per altro verso, che “si considera “attività economica” ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonchè quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”.

Non rileva, quindi, lo scopo dell’attività, ma occorre pur sempre che essa sia economica.

3.- In questo contesto va sottolineato che il proprium dell’amministrazione di sostegno, rispetto all’interdizione, storicamente volta alla tutela del patrimonio, sta nella funzione di tutela della persona.

La scelta tra interdizione e amministrazione di sostegno, difatti, dipende non già dal grado d’incapacità del soggetto, ma, di norma, dalla situazione patrimoniale del destinatario; di modo che, a fronte di una situazione patrimoniale che richieda, per la consistenza oppure per il carattere composito, continue e complesse decisioni, l’interdizione andrà preferita rispetto all’amministrazione di sostegno, anche per le interferenze tra le facoltà dell’interessato e i limitati poteri dell’amministratore (Cass. 26 luglio 2013, n. 18171; 26 luglio 2018, n. 19866).

4.- L’ufficio dell’amministrazione di sostegno è quindi innervato da un obbligo morale, di elevato valore sociale.

Occorre, allora, verificare se questa fisionomia dell’amministrazione di sostegno sia compatibile, o no, con un’attività imponibile ai fini iva.

5.- Non dirimente è la connotazione di ufficio dell’amministratore di sostegno, poichè non tutti gli uffici sono gratuiti.

Si pensi, in via d’esempio, all’ufficio del curatore del(l’allora) fallimento, in relazione al quale la Corte costituzionale, facendo leva sulla qualificazione spettantegli di ausiliare della giustizia e non già del giudice, ha dichiarato incostituzionale il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 146, nella parte in cui non prevede che sono spese anticipate dall’erario “le spese ed onorari” a lui dovuti (Corte Cost. 28 aprile 2006, n. 174). La decisione è peraltro coerente con la natura dell’attività, precipuamente di gestione di patrimonio altrui, espletata dal curatore.

5.1.- Dell’ufficio del tutore, e, quindi, di quello dell’amministratore di sostegno, il legislatore (con la combinazione degli artt. 379 e 411 c.c.), tuttavia, ha espressamente stabilito la gratuità; e la Corte costituzionale ha sottolineato che non è prevista alcuna corresponsione d’indennità per le cure dedicate alla persona dell’incapace (Corte Cost. 10 ottobre 2018, n. 218, sia pure con riguardo all’ufficio tutelare).

6.- Un’indennità può essere assegnata dal giudice al cospetto di oneri derivanti dall’amministrazione di un patrimonio, in considerazione delle relative difficoltà.

Ma quest’attività di amministrazione, nel disegno del legislatore, non è indirizzata alla produzione di reddito, e, quindi, non è configurata come economica, ossia svolta a titolo oneroso (secondo i chiarimenti resi sulla nozione di attività economica da Corte giust. 3 luglio 2019, causa C-316/18, The Chancellor, Masters and Scholars of the University of Cambridge, punto 29). 6.1.- E’ infatti prevista la “possibilità” per il giudice di assegnare un’indennità, a fronte di difficoltà, e compatibilmente con l’entità del patrimonio: sicchè la corresponsione è soltanto eventuale.

Non solo: l’unico parametro fissato per la liquidazione è l’equità: il che implica ampia discrezionalità del giudice, chiamato a compiere una valutazione globale con metodo sintetico delle difficoltà nell’amministrazione, della consistenza del patrimonio del beneficiario e degli esborsi sostenuti dall’amministratore.

E, ancora, l’amministratore di sostegno è di norma scelto preferibilmente entro la cerchia familiare del beneficiario dell’amministrazione: per cui il professionista che assuma quel ruolo va considerato come surrogato del parente.

7.- Queste peculiarità comportano che l’indennità, nella fisionomia che ne ha fornito il legislatore, non è chiamata a rispondere a funzione di corrispettivo, ossia di effettivo controvalore del servizio fornito.

E ciò sia in considerazione dell’eventualità della sua assegnazione, e dell’ampia discrezionalità in ordine alla sua quantificazione, che non consentono d’individuare tra amministratore di sostegno e beneficiario un rapporto nel corso del quale siano scambiate prestazioni reciproche (tra varie, sulla nozione di prestazione di servizi, v. Corte giust. 18 gennaio 2017, causa C-37/16, punto 25, e, nella giurisprudenza interna, tra varie, Cass. 9 giugno 2017, n. 14406); sia perchè l’attività dell’amministratore di sostegno non è configurata come destinata al ricavo di introiti aventi carattere di stabilità (secondo le precisazioni rese, da ultimo, da Corte giust. 22 febbraio 2018, causa C-182-17, Nagyszenas Telepulesszolgeltatesi Nonprofit Kft, punto 33).

7.1.- La destinazione al ricavo di introiti con carattere di stabilità, in particolare, manca pur sempre per la strumentalità dell’attività alla cura della persona (in termini, Cass. 26 settembre 2011, n. 19596), amplificata dalla peculiare fisionomia dell’amministrazione di sostegno sopra illustrata.

7.2.- Si è già rilevato, d’altronde, che l’indennità in questione non vuol dire corrispettivo, nè equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro, ancorchè apprezzabile e non meramente simbolico (Cass. 4 luglio 1991, n. 7355), con finalità di compensazione degli oneri e delle spese non facilmente documentabili (Corte Cost., ord. 6 dicembre 1988, n. 1073).

8.- Irrilevante è, quindi, la questione, posta in discussione dalla Procura generale, della prospettata disparità di trattamento tra il professionista che svolga attività di amministratore di sostegno e quello che espleti altra attività di gestione patrimoniale.

8.1.- E parimenti irrilevante è il riferimento all’attività svolta dalle persone che coadiuvano chi esercita l’ufficio, che risponde a una funzione differente, proprio perchè non sono quelle persone a esercitarlo; sicchè conseguentemente il legislatore prevede che esse siano “stipendiate” da chi fruisce del loro lavoro.

9.- A diverse conclusioni si perverrà, invece, allorquando, di là dal disegno del legislatore, l’attività di gestione del patrimonio del beneficiario dell’amministrazione, in luogo di rispondere alla fisionomia che s’è illustrata, risulti in concreto volta a ricavare introiti con carattere di stabilità o, comunque, espletata da un professionista a titolo oneroso, ossia per la produzione di reddito.

9.1.- Quel che conta, dunque, quanto all’imponibilità ai fini iva, non è di per sè, come vorrebbero l’Agenzia e la Procura generale, la connotazione soggettiva di professionalità, ossia la qualità di chi amministra i beni del soggetto beneficiario dell’amministrazione, bensì l’oggettiva natura economica dell’attività espletata.

10.- Nel caso in esame il giudice tutelare di Trieste, si riferisce nella sentenza impugnata, ha espressamente escluso la natura retributiva della somma liquidata, e l’ha riferita ad “attività di assistenza e monitoraggio, con coinvolgimento nell’assistenza e mantenimento di rapporti con il personale sociale e medico”.

10.1.- L’Agenzia non contesta la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’indennità, ma soltanto l’imponibilità dell’attività relativa.

Tale imponibilità è senz’altro esclusa, poichè non sono emersi elementi in base ai quali affermare che l’attività sia qualificabile come economica, ai fini iva, e comunque diretta alla produzione di reddito del professionista.

11.- Ne deriva il rigetto del ricorso, con l’applicazione del seguente principio di diritto:

“In tema di iva, posto che l’attività svolta all’amministratore di sostegno è precipuamente volta alla cura della persona, l’amministrazione del patrimonio non configura, di norma, attività economica e, quindi, imponibile, a meno che non sia volta a ricavare introiti con carattere di stabilità o, comunque, sia espletata a titolo oneroso”.

11.1.- La relativa novità della questione, tuttavia, comporta la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

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