Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14845 del 14/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 14/06/2017, (ud. 10/11/2016, dep.14/06/2017),  n. 14845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4115/2016 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

L.G.C., M.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati MARIO PETTORINO, DOMENICO PUCA e RICCARDO

COTTONE, in virtù di mandato in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso il decreto n. 61289/10 della CORTE D’APPELLO di ROMA, emesso

il 410/2014 e depositato il 06/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 06.07.2015 la Corte d’appello di Roma ha accolto le domande riunite proposte da L.G.C. e M.F. intese ad ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio definito con sentenza del Tribunale di Napoli depositata il 07.04.2009, liquidando l’indennizzo di Euro, 9.250,00 indicando la sola L.G..

Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui hanno resistito entrambi i resistenti con controricorso, proposto dal solo M. ricorso incidentale articolando un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.

Con l’unico motivo di ricorso principale, l’Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, per non avere la corte di merito rilevato la tardività del ricorso proposto essendo stata la sentenza che ha definito il giudizio presupposto depositata in data 23.05.2010, termine dal quale avrebbe dovuto essere computato quello semestrale per la proposizione del ricorso di equa riparazione, mentre la domanda di indennizzo è stata proposta solo il 24.11.2010.

Il motivo è privo di pregio.

La L. n. 89 del 2001, art. 4, nella sua formulazione vigente alla data di proposizione del ricorso, e dunque ratione temporis applicabile nella specie, dispone che la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, che pendente il giudizio presupposto e fino a quando lo stesso venga definito nell’ambito di un periodo non superiore a sei mesi, sorge contestualmente ed è per ciò stesso azionabile, il diritto di colui che è parte di detto giudizio a percepire l’equa riparazione. In altri termini, atteso l’indissolubile collegamento esistente tra il diritto suddetto ed il suo presupposto, non si può richiedere l’equa riparazione in difetto di quest’ultimo, costituendo la prima e fondamentale condizione di proponibilità della relativa domanda.

La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente interpretato tale norma nel senso che “definitiva” è la pronuncia che chiude formalmente il processo, non essendo consentita contro di essa alcuna impugnazione ordinaria (cfr. Cass. n. 22767 del 2013; Cass. n. 14725 del 2013 e Cass. n. 3264 del 2007). Detta nozione si correla al processo quale luogo in cui si realizza il diritto dell’uomo ad ottenere dallo Stato un’amministrazione della giustizia in tempi ragionevoli, tenendo conto unicamente del momento in cui il giudice abbia adottato una pronuncia non soggetta ad impugnazione ordinaria.

Va, inoltre, richiamato l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (cfr. Cass. 18 marzo 2016 n. 5423; Cass. 11 marzo 2009 n. 5895).

Alla data del 24 novembre 2010, dì del deposito del ricorso della L. n. 89 del 2001, ex art. 3, non era perciò decorso il termine decadenziale semestrale di cui alla medesima L. n. 89 del 2001, art. 4, per essere stata la sentenza nel giudizio presupposto depositata in data 23 maggio 2010 – come asserito dallo stesso Ministero ricorrente – per cui essa è divenuta definitiva, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 1, ratione temporis applicabile, al 7 gennaio 2011.

Dunque, la pretesa dell’amministrazione ricorrente di considerare decorso il termine semestrale assumendo a data iniziale il compimento del termine di sei mesi per la definitività della sentenza è destituita di fondamento.

Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo M.F. lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la corte territoriale pronunciato in ordine alla sua posizione, pur regolarmente introdotta con il ricorso riunito a quello della L.G.. Nè la corte di merito aveva ritenuto di emendare l’errore provvedendo sull’istanza di correzione, che era stata rigettata.

Il motivo è palesemente fondato.

Con esso si fa valere un error in procedendo e cioè quel vizio che impone a questo giudice di legittimità – secondo l’orientamento ribadito dalle Sezioni Unite civili a composizione di un pregresso contrasto giurisprudenziale (sentenza n. 8077 del 22 maggio 2012) – una cognizione non circoscritta all’esame della sufficienza e logicità della motivazione della sentenza impugnata, bensì estesa all’esame diretto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la denuncia sia stata proposta, come nella specie, in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito. Risulta, dunque, che M.F. ha agito nel giudizio presupposto, come si evince dallo stesso decreto impugnato (v. pag. 1 del provvedimento dove si riferisce “sentite le parti ricorrenti”). Del resto in tal senso depone la stessa intestazione del ricorso principale laddove L.G.C. e M.F. sono indicati quali originari ricorrenti rispetto a due domande poi riunite e destinatari della notificazione del ricorso per cassazione, ma la posizione del secondo non risulta, però, essere stata esaminata nel testo del decreto impugnato, nè riportata nel dispositivo. Infatti non vi è alcun cenno al ritardo maturato quanto alla posizione del predetti rispetto al giudizio presupposto.

Sicchè, l’aver deciso il giudice del merito la lite solo nei confronti di una delle parti in giudizio, trascurando la posizione di altra, integra il vizio di omessa pronuncia, che, in quanto incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice, è deducibile con ricorso per Cassazione, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (tra le altre, Cass. 1 settembre 1997 n. 8266).

Dunque il ricorso principale va rigettato, mentre va accolto quello incidentale ed il decreto impugnato cassato sul punto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito.

Nel caso di specie, infatti, dallo stesso ricorso principale – nel quale risultano trascritti per intero gli atti di causa, riportando anche i tempi del giudizio presupposto – emerge che entrambi i ricorsi sono stati depositati presso la Corte d’appello di Roma il 24 novembre 2010 e che nel giudizio presupposto, introdotto con atto di citazione notificato il 10 maggio 1996, era stata parte per tutta la durata anche il M..

Alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio, anche al ricorrente incidentale spetta un indennizzo per i dieci anni di ritardo, che va liquidato sulla base di Euro 750,00 per i primi tre anni ed Euro 1.000,00 per quelli successivi, e quindi in complessivi Euro 9.250,00, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo.

Ferme le spese liquidate per il giudizio di merito, ai ricorrente compete altresì il rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, con distrazione in favore dei difensori dei ricorrenti, dichiaratisi antistatari.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso principale ed accoglie quello incidentale; cassa il decreto impugnato in relazione al ricorso incidentale accolto e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore di Fabrizio M., dell’importo di Euro 9.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo;

ferme le spese del giudizio di merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00, oltre spese generali e accessori di legge;

dispone la distrazione delle spese in favore dei difensori dei ricorrenti, dichiaratisi antistatari.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017

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