Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14844 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. I, 27/05/2021, (ud. 08/07/2020, dep. 27/05/2021), n.14844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17262/2018 proposto da:

O.V., nata in (OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI N. 30, rappresentata e

difesa dall’Avvocato ALESSANDRO FERRARA, per procura speciale estesa

in calce al ricorso;

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (C.F. (OMISSIS)) – in persona del Ministro

pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2089 del 2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA,

pubblicata in data 3 aprile 2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 8 luglio 2020 dal Cons. Relatore Dott. Vannucci Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza emessa il 29 dicembre 2015 a definizione di processo svoltosi secondo il rito sommario di cognizione, il Tribunale di Roma rigettò le domande di O.V. (di nazionalità (OMISSIS)) volte al riconoscimento dello status di rifugiata, in subordine al riconoscimento della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, del riconoscimento della protezione umanitaria.

2.Adita da O., la Corte d’Appello di Roma confermò tali statuizioni con sentenza emessa il 3 aprile 2018.

2.1 Per quanto qui ancora interessa, la motivazione della conferma del rigetto della domanda di rilascio di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie è nel senso che: l’appellante non ha conseguito una “rilevante forma di integrazione in Italia”; “il quadro patologico esitato al sinistro stradale in cui è rimasta coinvolta quale trasportata non configura ipotesi di rilievo”; “il diritto alla protezione umanitaria non può essere riconosciuto “per il semplice fatto di versare in non buone condizioni di salute, occorrendo invece che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani dell’interessato nel paese di provenienza, ipotesi non ricorrente”.

3. O. propose ricorso per la cassazione di tale sentenza nella parte dispositiva della conferma del rigetto della domanda di protezione umanitaria.

4. Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

5. Con ordinanza interlocutoria emessa il 20 settembre 2019, la trattazione della causa è stata rinviata a nuovo ruolo essendo pendente avanti le Sezioni Unite della Corte questione (di massima particolare importanza) relativa all’applicabilità della normativa introdotta con D.L. n. 113 del 2018, conv. nella L. n. 132 del 2018 (nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6) nei giudizi in corso relativi alle domande di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte, come quella di specie, prima dell’entrata in vigore della citata legge del 2018.

6. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di censura, la parte privata deduce che la motivazione della sentenza impugnata è caratterizzata da violazione ovvero mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, (di seguito indicato come T.u. immigrazione”) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in ragione della mancata considerazione da parte della Corte di appello di Roma del sopravvenuto e documentato stato di gravidanza di essa ricorrente in sede di riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Con il secondo motivo, la parte privata deduce la violazione ovvero la falsa applicazione del principio dispositivo di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi sulla domanda di protezione umanitaria fondata su detto documentato stato di gravidanza.

3. In via preliminare, si osserva che, se è vero che con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito con la L. n. 132 del 2018, è stata soppressa la disciplina della protezione umanitaria di cui all’art. 5, comma 6 t.u. immigrazione, è altrettanto vero che le domande relative al diritto in questione, proposte, come quella oggetto della pronuncia recata dalla sentenza impugnata, prima dell’entrata in vigore (il 5 ottobre 2018) del citato decreto-legge, sono regolate dalla disciplina legale in vigore al momento della loro presentazione: è in tale momento, infatti, che, in tesi, sorge il diritto fatto valere con l’azione giudiziale (in questo senso, cfr. Cass. S.U., 13 novembre 2019, n. 29459).

4. I due motivi di impugnazione sono da trattare congiuntamente in ragione della loro stretta connessione.

In considerazione delle modalità di prospettazione delle censure, la Corte è abilitata a prendere visione degli atti e documenti depositati nel giudizio di appello.

Risulta che nel corso dell’udienza di trattazione svoltasi avanti la Corte di appello di Roma il 14 luglio 2017 il difensore con procura dell’odierna ricorrente depositò certificazione clinica attestante lo stato di gravidanza di tale persona e chiese espressamente di prendere in esame tale fatto nuovo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Tale fatto non è preso in alcun modo in considerazione dalla sentenza impugnata ed era potenzialmente decisivo ai fini della pronuncia sull’appello contro il diniego di protezione umanitaria.

La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la protezione umanitaria rappresenta una categoria aperta volta al riconoscimento caso per caso del diritto a permanere sul territorio italiano alla luce della condizione personale di vulnerabilità del richiedente tale forma di protezione individualizzata sulla base di un’analisi comparata tra la vita privata condotta in Italia e quella alla quale la stessa sarebbe esposta in caso di rimpatrio (cfr. per tutte, Cass. 6 maggio 2020, n. 3571). In questo senso, la condizione di donna in gravidanza e quindi di madre, non può che riflettersi sulla valutazione individuale della situazione di vulnerabilità della richiedente la protezione umanitaria.

D’altra parte, è la stessa disciplina in materia a riconoscere la donna neo-madre come bisognosa di tutele specifiche, avendo inserito nella lista delle persone vulnerabili D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 2, comma 1, lett. h-bis), la donna in stato di gravidanza, facendo insorgere sullo Stato italiano un divieto assoluto di respingimento che si estende ai sei mesi successivi al parto (art. 19, comma 2, lett. d) tu. immigrazione) e permane in presenza di famiglie monoparentali con figli) minori (art. 19, comma 2-bis t.u. immigrazione).

L’allegazione della ricorrente, sulla base della quale essa riteneva essere titolare del diritto alla protezione umanitaria in ragione della sua condizione di donna in stato di gravidanza, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica considerazione da parte della Corte di appello di Roma che, come detto, omise di prendere in esame tale fatto potenzialmente decisivo.

La sentenza impugnata deve dunque essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che dovrà prendere in esame il contenuto del citato documento, uniformarsi al principio di diritto sopra ribadito e provvedere alla regolamentazione tra le parti delle spese processuali relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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