Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14842 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. I, 10/07/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 10/07/2020), n.14842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13144/2019 proposto da:

R.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Mariagrazia Stigliano,

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Taranto, per mezzo

di procura allegata al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di BARI n. cronol. 1924/2019 del 9

aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’1/07/2020 dal consigliere Lunella Caradonna.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.A., nato in (OMISSIS), ha proposto ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale competente del 2 maggio 2018, che aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e le domande di protezione sussidiaria e umanitaria.

2. Il richiedente ha dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese per il timore di essere ucciso dai familiari di una studentessa allontanatasi da una scuola coranica femminile nelle more che lui chiedeva alla responsabile della scuola coranica chiarimenti e l’eventuale autorizzazione; che anche la responsabile della scuola lo aveva ritenuto responsabile dell’accaduto e aveva chiamato la polizia; che si era recato da suo cugino a Lahore dove era rimasto per venti giorni e che, saputo che la ragazza non era stata ancora trovata, aveva deciso di partire per l’Italia dove era arrivato il 16 settembre 2017.

3. Il Tribunale ha rigettato il ricorso, affermando che le dichiarazioni del ricorrente non erano credibili e che, alla stregua dello stesso racconto del richiedente, non sussisteva una vessazione o repressione violenta implacabile; che le rilevate incongruenze non rendevano meritevole il ricorrente dell’onere della prova agevolato e che non si ravvisava nel Paese di provenienza la presenza di un conflitto armato interno da cui potesse conseguire violenza indiscriminata tale da comportare una minaccia individualizzata a danno del ricorrente.

4. R.A. ricorre in cassazione con un unico motivo.

5. L’Amministrazione intimata ha presentato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed unico motivo R.A. lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4, 57, 16,17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 10; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 10 Cost., in relazione al rigetto della domanda di protezione sussidiaria e della protezione umanitaria; motivazione omessa, apparente, generica e insufficiente, per avere il Tribunale di Bari valutato in modo sommario la situazione del richiedente alla luce di fonti internazionali tra l’altro datate (Easo 2017), omettendo di valutare e di motivare nel diniego la eventuale superfluità o dubbio sulla genuinità della documentazione offerta dal richiedente, in particolare del tesserino di addetto alla sicurezza della scuola coranica, che comunque era un valido indizio documentale della veridicità della storia narrata dal ricorrente e che invero andava verificato nel corso dell’istruttoria e che era indice di una storia che trovava corrispondenza anche nelle fonti internazionali come eventi possibili nella zona pakistana indicata.

1.1 Il motivo è infondato.

1.2 Nel caso concreto, come si evince dalla lettura del provvedimento impugnato, il Tribunale ha ritenuto che, proprio alla stregua del racconto del richiedente, non sussistevano i presupposti della protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7 poichè non erano state dedotte situazioni di persecuzione intesa quale vessazione o repressione violenta implacabile e ha, altresì, affermato che il racconto del ricorrente non era credibile, evidenziando specificamente i profili di inattendibilità a pag. 3 del provvedimento impugnato.

1.3 La decisione censurata ha quindi valutato, seppure in modo sintetico, ma non apodittico, le dichiarazioni rese dal ricorrente, ritenendo che le stesse fossero inattendibili e che fossero assenti, nella specie, atti di persecuzione.

Il motivo, sotto lo specifico profilo esaminato, è quindi infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal Tribunale e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

1.4 Il Tribunale, inoltre, ha compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale ha ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente, elemento questo di fondamentale importanza, poichè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e con l’ulteriore corollario che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

Ne deriva che il giudicante non può supplire attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi alle deficienze probatorie del ricorrente su cui grava, invece, l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza (Cass., 14 novembre 2018, n. 29358).

1.5 In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività.

Il ricorrente non solo non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del ricorso, additando quelle utilizzate dal Tribunale come obsolete (pur risalendo al 2017), ma elenca, in modo del tutto generico, tutta una serie di avvenimenti che non riscontrano i presupposti delle chieste tutele, sussidiaria e umanitaria, a fronte delle specifiche motivazioni del Tribunale, che divide la regione del Punjub in tre zone (nord, centro e sud) e afferma che la zona maggiormente interessata da fenomeni di conflittualità generalizzata e da attacchi terroristici è esclusivamente quella del sud, confinante con il Belucistan, oltre che la zona contigua alla città di Lahore, al confine con l’India, correttamente (e non illogicamente) escludendo la zona di provenienza del ricorrente, Distretto di Mandi Bahauddin, che dista ben 140 Km da Lahore.

La censura del ricorrente si risolve, quindi, in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile, come già affermato, in sede di legittimità.

1.6 Anche la censura sull’omesso esame del tesserino di addetto alla sicurezza presso la scuola coranica non merita accoglimento, in quanto nei termini in cui è formulata si risolve nella sollecitazione ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede, spettando al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass., 26 marzo 2010, n. 7394).

Il Tribunale, peraltro, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha evidenziato che gli elementi emersi deponevano per una valutazione di non credibilità del racconto del richiedente circa la narrazione dei fatti accaduti riguardanti la studentessa e non già con riferimento al lavoro di addetto alla sicurezza presso la scuola coranica.

Anche di recente questa Corte ha affermato il principio che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476).

2. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna R.A. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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