Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14839 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. I, 10/07/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 10/07/2020), n.14839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

F.A., rappr. e dif. dall’avv. Jacopo Maria Pitorri,

jacopomariapitorri.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo

studio dello stesso in Roma, via Pietro Mascagni n. 186, come da

procura spillata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Roma 4.6.2018, n. 7864/2018, in

R.G. 64881/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 23.6.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. F.A. impugna il decreto Trib. Roma 4.6.2018, n. 7864/2018, in R.G. 64881/2017 che ne ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale (notificato il 3.10.2017), la quale aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. il tribunale, premessa la natura non politica o religiosa del prospettato conflitto, ha così: a) rilevato l’assenza di una situazione persecutoria rilevante, già nella allegazione delle ragioni dell’espatrio; b) ritenuto l’estraneità di quanto comunque riferito alla qualificazione dei danni gravi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 anche per l’assenza di un riscontro individualizzante; c) negato la sussistenza di un conflitto generalizzato nel Paese di provenienza (Guinea); d) negato il diritto alla protezione umanitaria, stante la mancata prova di una sufficiente integrazione sociale e di uno stato di vulnerabilità;

3. il ricorso descrive cinque motivi di censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1.con i motivi si contestano: la violazione della Direttiva 2004/83/CE e D.Lgs. n. 251 del 2007 per la valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente ed il loro rilievo al fine della concessione dei richiesti provvedimenti, con omesso esercizio del potere officioso; l’omesso esame delle allegazioni sul Paese di origine e le sue condizioni socio-economiche; la omessa concessione della protezione umanitaria, che s’imporrebbe alla luce dei fatti esposti; viene inoltre proposta questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35bis ove ha escluso il grado d’appello;

2. il ricorso è improcedibile; risulta pacifico che il ricorrente, pur dando atto della data di pubblicazione del decreto impugnato (4.6.2018), prodotto in copia autentica dal difensore, nulla riferisce in ordine alla comunicazione di tale provvedimento, cioè non chiarisce (positivamente) nè se esso sia stato comunicato a cura della cancelleria e quando, nè se tale comunicazione sia stata omessa; inoltre, non risulta depositata copia autenticata (dal difensore medesimo), cioè con attestazione di conformità, della relata di comunicazione di cancelleria; è depositata mera istanza di trasmissione del fascicolo ai sensi dell’art. 369 c.p.c., u.c.; la notifica del ricorso è, infine, del 16 ottobre 2018;

3.stabilisce, tra l’altro, del D.Lgs. 28 gennaio 2018, n. 25, art. 35bis, il comma 13 che, una volta pronunciato il decreto del tribunale, “Il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita”;

3.1 la norma prevede dunque che la cancelleria debba sempre provvedere alla comunicazione del decreto (in versione integrale), comunicazione che va eseguita via PEC al difensore del richiedente, nel quadro di applicazione dell’art. 136 c.p.c., in collegamento con il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, convertito, con modificazioni, in L. 17 dicembre 2012, n. 221, secondo cui: “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata… La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”;

4.il legislatore, per i procedimenti in esame, ha individuato una norma speciale, non solo in deroga al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2 (quello ordinario di 60 giorni per il ricorso in cassazione), ma altresì rispetto al seguente (e all’art. 133 c.p.c., comma 2, secondo periodo), posto che mentre l’art. 326 c.p.c., comma 1 stabilisce la decorrenza del predetto termine dalla notificazione della sentenza, l’art. 35bis, comma 13 in esame fissa come dies a quo la data di comunicazione del decreto da parte dell’Ufficio; in tal modo la norma speciale fa operare il termine di 30 giorni (di pacifica natura perentoria, perchè la disposizione sul punto non deroga in alcun modo alla regola fondamentale che sorregge il sistema impugnatorio) dalla comunicazione a cura della cancelleria, mentre il controllo del suo rispetto è consegnato, nel presupposto dell’impossibilità del deposito telematico dell’atto, alla necessità di ricorrere all’attestazione di conformità (ai documenti informatici) del difensore, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1ter, risultando non onerata la Corte della diretta verifica della notifica o (nella specie, del tutto equipollente) comunicazione telematica;

5.tale soluzione, imposta dalla necessità di dare termini ragionevoli alla durata del processo civile, in apparenza incontra due ostacoli; in primo luogo, il riferirsi l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 alla “relazione di notificazione”, espressione che non coincide con la “comunicazione di cancelleria”; in secondo luogo, gli eventuali limiti di autocertificazione posti dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, in capo al difensore;

6. sulla prima questione, si premette, non soccorrono le soluzioni adottate da Cass. s.u. 22438/2018, cioè il meccanismo del mancato disconoscimento ovvero dell’asseverazione “ora per allora”, posto che, nella vicenda, da un lato il Ministero non si è costituito e, dall’altro, non risulta incerta la conformità all’originale (ancorchè informatico) del decreto, in quanto il ricorrente ne riporta la coincidenza con il versamento in atti di “copia autentica”; nè appare applicabile il criterio della prova positiva di resistenza, che, con riguardo alla tempestività della notifica del ricorso, può consentire di superare la questione della procedibilità del ricorso medesimo con riferimento alla relazione di comunicazione, posto che la sua notificazione è ampiamente successiva ai 30 giorni dalla pubblicazione del decreto (tanto più che, ratione temporis, nella specie non si applica la sospensione feriale dei termini, poichè la decisione della Commissione territoriale è stata notificata il 3.10.2017, oltre il limite dell’insorgenza del procedimento per Cass. 22304/2019); trova pertanto attualità, e pieno dispiegamento, il principio per cui l’art. 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilità, come con chiarezza statuito già da Cass. 30765/2017, Sesta Sezione, nella composizione stabilita dal par. 4.2. delle tabelle della Corte di cassazione e senza che ricorrano, nella presente vicenda, le condizioni distintive di fattispecie successivamente considerate da Cass. s.u. 22438/2018 e Cass. s.u. 8312/2019;

7.sin dal citato primo precedente, per quanto qui d’interesse ed anche con riguardo alla seconda questione, si è puntualizzato che tradizionalmente l’improcedibilità, a differenza di quanto previsto in altre situazioni procedurali, trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio di un determinato processo; mentre con riguardo ai problemi specifici posti dall’applicazione dell’art. 369 c.p.c., ricorda la stessa Cass. s.u. 8312/2019, nel riepilogo dell’indirizzo che ha fissato i rapporti del p.c.t. e gli atti relativi con il processi di cassazione, che “quando nel processo di merito la notifica della sentenza di appello sia avvenuta con modalità telematiche, la Corte ha, in primo luogo, confermato il prevalente indirizzo secondo cui, stante l’impossibilità di procedere al deposito telematico nel giudizio in cassazione, è necessario che il difensore provveda ad autenticare la copia del messaggio PEC ricevuto e del provvedimento allegato avvalendosi del potere di autentica di cui alla L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis, applicabile “in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche”, a norma del medesimo art. 9, comma 1-ter. D’altro canto, è stato prospettato il valore sanante dell’eventuale deposito della documentazione relativa alla notifica, con l’attestazione di conformità, prodotta dal contro ricorrente”; per contro, e come anticipato, gli aggiornamenti di tale ultimo principio non sono pertinenti alla vicenda in esame, per difetto delle condizioni di non contestazione in senso lato ravvisate nel prosieguo del formante giurisprudenziale; inoltre, Cass. 19695/2019 ha a sua volta precisato che “il ricorso resti improcedibile laddove, pur essendosi depositata copia autentica della sentenza, che però si assume essere stata notificata, non siano stati tempestivamente depositati nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1 anche i detti messaggi pec con annesse ricevute”; l’indirizzo, tra l’altro, già era stato espresso da Cass. 21386/2017 per la quale “quando la sentenza impugnata sia stata notificata e il ricorrente abbia depositato la sola copia autentica della stessa priva della relata di notifica, deve applicarsi la sanzione dell’improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, a nulla rilevando che il ricorso sia stato notificato nel termine breve decorrente dalla data di notificazione della sentenza, ponendosi la procedibilità come verifica preliminare rispetto alla stessa ammissibilità”, principio ribadito da Cass. 13751/2018;

8. si tratta di duplice conclusione che trae plausibilità dalla normativamente prevista e dovuta comunicazione del decreto che, in materia, avviene d’iniziativa della cancelleria e nei confronti di tutte le parti, anche quelle non costituite; pari esito trova conforto nelle scelte normative recenti di altre materie speciali, in cui il legislatore ha adottato un modello del tutto simile, come ad esempio la notifica della sentenza sul reclamo avverso quella di fallimento, ex art. 18, comma 13, L. Fall., adempimento pure effettuato dalla cancelleria, con termine d’impugnazione, ai sensi del comma 14, di 30 giorni da detta notificazione (Cass. 23433/2019, 23575/2017, 10525/2016 oltre che 30201/2019); ovvero anche, in applicazione del L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 36, comma 6 circa il ricorso per cassazione avverso le decisioni del CNF, che dev’essere proposto entro 30 giorni dalla notifica della sentenza, una regola applicata e riaffermata dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 16993/2017; ed è proprio questa decorrenza abbreviata ad offrire allora coerenza alle citate norme speciali, inclusa quella in esame, le quali – benchè assortite in esempi di notificazione o comunicazione – tutte presuppongono che il provvedimento sia reso noto nella sua integralità dall’Ufficio del giudicante, con copia conforme all’originale ed identico valore di dies a quo per la decorrenza dell’impugnazione; identico è allora il procedimento cui deve sottostare l’impugnante, dovendo documentare la tempestività della propria iniziativa e perciò dar conto di averla perfezionata entro lo spirare del termine di decadenza, conseguentemente provandone la compatibilità con la data iniziale di decorrenza della stessa;

9.considerato pertanto il precetto posto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il ricorrente per cassazione il quale agisca in forza del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis dovrebbe allegare, a pena di improcedibilità, oltre alla copia autentica del provvedimento, altresì la “relazione di comunicazione/notificazione telematica”, produzione indispensabile ai fini del necessario scrutinio officioso della tempestività del ricorso, attestandone la conformità ai documenti informatici; si ritiene cioè che la locuzione (ristretta alla notifica) prevista in generale dalla norma codicistica assolva alla funzione innanzitutto di dar conto della operatività di un dies a quo diverso dalla mera pubblicazione del provvedimento, agli effetti di ultima data dello spirare del termine per l’impugnazione, secondo la norma di chiusura dell’art. 327 c.p.c.; appare invero ed inoltre agevole dover intendere, per queste fattispecie abbreviate con essenziale adempimento dello stesso Ufficio, la “relazione di notificazione” come del tutto inclusiva anche di ogni “relata di comunicazione”, ogni qual volta non solo l’adempimento assolva, come nel caso, alla medesima finalità, e cioè di strumento di messa a conoscenza integrale del provvedimento (con ogni certezza circa la sua corrispondenza all’originale), ma altresì valga a costituire l’inizio della decorrenza del termine per impugnarlo (non casualmente ridotto rispetto a quello ordinario, per esigenze di maggior celerità del procedimento), secondo una puntuale previsione normativa di espressa e speciale unicità e perentorietà;

10. l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 aggiunge peraltro che tale onere grava sull’impugnante “se questa è avvenuta”, ponendo così l’interrogativo su come operi la norma se la comunicazione/notificazione sia avvenuta e però la parte non ne dia conto ovvero semplicemente essa non sia proprio avvenuta e appunto la parte conseguentemente ometta ogni produzione e però anche non riferisca in ricorso tale evento negativo; in realtà, l’espressione può essere letta come impositiva di un onere di esplicitazione nell’atto d’impugnazione di quanto avvenuto, dovendo l’inciso di condizionalità della circostanza (“se questa è avvenuta”) correlarsi all’imposizione, a carico del ricorrente, di un dovere di attività (“debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità”), secondo altro passaggio sopra riportato di Cass. s.u. 8312/2019, per cui “ai fini del deposito della decisione in copia autentica, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il difensore può giovarsi del potere di autentica a lui espressamente conferito dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 9-bis, cit., purchè sia rispettata la condizione ivi prevista, vale a dire che egli attesti trattarsi di atto contenuto nel fascicolo informatico di ufficio (perchè originariamente digitale ovvero perchè digitalizzato dal cancelliere”, poichè, nel richiamo a Cass. Sez. L, 8 novembre 2017, n. 26479, “l’ambito del potere di autentica conferito ai difensori ed agli altri soggetti ivi indicati si estende a tutti gli atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico, sia perchè originariamente depositati in formato digitale sia perchè depositati in formato cartaceo e successivamente digitalizzati dal cancelliere, ai sensi del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 15, comma 4”;

11.qualora infatti l’insorgenza dell’onere in capo al ricorrente di depositare la relazione di notificazione (o anche di comunicazione, nei casi speciali e secondo l’accezione riportata) fosse fatta dipendere dalla prova positiva già emergente dagli atti che quest’ultima sia avvenuta, la norma sarebbe del tutto frustrata; ciò in quanto, in caso di documentata avvenuta notificazione, la corrispondente relata già assolverebbe, ma ab externo rispetto ai doveri della parte verso la quale la norma è indirizzata, all’esigenza di verificare la tempestività del ricorso; conseguendone, per l’ipotesi di provata intempestività del ricorso medesimo, la declaratoria della sua inammissibilità, istituto tuttavia successivo – anche logicamente ex Cass. s.u. 7431/1991, Cass. s.u. 11850/2018 – alla verifica d’introduzione preliminare dell’impugnazione per la quale la improcedibilità sembra invece, quale verifica ancora anteriore, congegnata; se poi l’inciso di condizionalità permettesse alla parte, che pur ha ricevuto la notifica (ovvero la comunicazione, nel senso qui circoscritto), di arbitrare senza conseguenze la propria condotta di produzione della relata informatica, la norma non avrebbe alcun senso ed in particolare sarebbe destinata a non operare mai, nemmeno in termini indiretti, ove al processo non partecipasse, costituendosi, l’altra parte; si finirebbe cioè per giustificare, da tale lettura, una prestazione giurisdizionale (il processo) obiettivamente iniziato al di fuori delle sue condizioni di avvio regolare, posto che invece “l’esame del ricorso improcedibile non è consentito nemmeno per rilevarne l’inammissibilità” (Cass. s.u. 1104/2006, Cass. 11091/2009, Cass. 9567/2011);

12.va dunque affermato, alla stregua del precetto posto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, che il ricorrente per cassazione il quale agisca in forza del D.Lgs. n. 25 del 2008, citato art. 35 bis è tenuto ad allegare l’avvenuta comunicazione del decreto (trattandosi di adempimento di cancelleria normativamente previsto che di regola deve ritenersi effettuato, dovendo altrimenti il ricorrente espressamente dichiarare che detto adempimento non ha avuto luogo), con ciò producendo, a pena di improcedibilità, copia autentica del decreto stesso con la relazione di comunicazione di cui si è detto, in attestazione di conformità delle ricevute PEC pervenute in via telematica dalla cancelleria, produzione indispensabile ai fini del necessario scrutinio officioso della tempestività del ricorso; la mancanza della relazione menzionata rimane irrilevante, oltre che nel caso in cui il ricorso vinca la “prova di resistenza” (perchè notificato entro 30 giorni dalla pubblicazione, indipendentemente dalla comunicazione), ove essa risulti comunque nella disponibilità della Corte perchè prodotta dalla parte controricorrente (e non è questo il caso) ovvero acquisita a seguito dell’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (secondo le indicazioni provenienti da Cass. s.u. 10648/2017; conf. Cass.9681/2020, Cass. 9638/2020), ma con la precisazione che detta trasmissione assume rilievo se effettuata e nella misura in cui da essa risulti l’avvenuta comunicazione, non spettando alla Corte attivarsi per supplire attraverso tale via all’inosservanza del precetto posto dal citato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, essendo peraltro allo stato tecnicamente inattuabile la trasmissione del fascicolo telematico, e con esso della comunicazione telematica in via diretta e tra sistemi, in conseguenza della limitata applicazione del processo telematico nel giudizio di legittimità; è poi senz’altro da ritenere che, ove la comunicazione di cancelleria non risulti provatamente effettuata, debba trovare applicazione il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., calcolato dalla pubblicazione del decreto;

13. nel caso in esame, il ricorrente nulla ha affermato quanto alla comunicazione del decreto impugnato, non producendo alcuna attestazione di comunicazione telematica del decreto a cura della cancelleria e così notificando il ricorso solo in data 16.10.2018, quindi ben oltre il termine dei 30 giorni dalla citata pubblicazione del 4.6.2018;

il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara improcedibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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