Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14838 del 30/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 14838 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
CACI Vincenzo (CCA VCN 25A11 D960M),

rappresentato e

difeso, per procura in calce al ricorso, dall’Avvocato
Aldo Simoncini, presso lo studio del quale in Roma, via
della Giuliana n. 72, è elettivamente domiciliato;
– ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro

pro tempore,

rappresentato e difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per
legge;
– controri corrente e ricorrente incidentale –

:m f’S

Data pubblicazione: 30/06/2014

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia emesso
il 3 dicembre 2012 e depositato in data 7 febbraio 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10 giugno 2014 dal Consigliere relatore Dott.

sentito l’Avvocato Aldo Simoncini;
sentito

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Lucio Capasso, che ha chiesto
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso
principale e la dichiarazione di inammissibilità del
ricorso incidentale.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 20 giugno 2011
presso la Corte d’appello di Perugia, Caci Vincenzo ha
chiesto la condanna del Ministero dell’economia e delle
finanze al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole
durata di un giudizio amministrativo da lui instaurato
dinnanzi al TAR del Lazio con ricorso notificato all’INPS
il 16 luglio 1990 e definito in secondo grado dal
Consiglio di Stato con sentenza pubblicata in data 6
maggio 2008;
che l’adita Corte d’appello riteneva che il giudizio
presupposto, scomputato il periodo intercorso tra l’inizio
del procedimento e la presentazione dell’istanza di
fissazione dell’udienza in data 14 marzo 2001, avesse
ecceduto il termine di ragionevole durata del giudizio di

Stefano Petitti;

circa quattro anni complessivi; liquidava quindi in favore
del ricorrente la somma di 2.250,00 euro, ritenendo
congruo il criterio di computo ragguagliato ad euro 500,00
per ciascuno dei primi tre anni eccedenti il termine di

oltre interessi legali dalla data della domanda;
compensava per metà le spese di lite;
che Caci Vincenzo ha proposto ricorso per la
cassazione di questo decreto, affidato a quattro motivi;
che il Ministero dell’economia e delle finanze ha
resistito con controricorso e ha, a sua volta, proposto
ricorso incidentale, sulla base di due motivi;
che il ricorrente principale ha resistito con
controricorso al ricorso incidentale, eccependone
l’inammissibilità.
Considerato che il collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di gravame il ricorrente
principale, lamentando violazione dell’art. 3 della legge
n. 89 del 2001 e falsa applicazione dell’art. 54 del
decreto legge n. 112 del 2008, si duole che la Corte
territoriale abbia ingiustamente detratto dal computo
della durata complessiva del giudizio presupposto il

ragionevole durata e ad euro 750,00 per i successivi,

periodo precedente alla data di presentazione dell’istanza
di fissazione dell’udienza;
che con il secondo motivo Caci Vincenzo, lamentando
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n.

perugina per la quantificazione dell’equo indennizzo;
che con il terzo motivo l’odierno ricorrente si duole
della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere
la Corte territoriale omesso sia di riconoscergli il bonus
di 2.000,00 euro richiesto in considerazione della
particolare natura della controversia sia la rivalutazione
monetaria delle somme liquidate in suo favore;
che con l’ultima censura il ricorrente, lamentando
violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.
proc. civ., contesta la compensazione di metà delle spese
di lite disposta dalla Corte territoriale;
che il ricorso incidentale proposto dal Ministero
dell’economia e delle finanze è affidato a due motivi;
che con la prima censura l’amministrazione, ricorrente
in via incidentale, si duole che la Corte d’appello di
Perugia non abbia dichiarato improponibile la domanda di
equo indennizzo sul presupposto dell’assenza di prova
circa l’avvenuto deposito dell’istanza di prelievo nel
procedimento presupposto;

89 del 2001, censura il parametro adottato dalla Corte

che con il secondo motivo il Ministero lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art. 2-bis della
legge n. 89 del 2001, in ordine al criterio di computo
applicato dalla Corte d’appello nella quantificazione

che preliminarmente si rileva che il controricorso,
qualora racchiuda anche un ricorso incidentale, deve
contenere, in ragione della sua autonomia rispetto al
ricorso principale, l’esposizione sommaria dei fatti della
causa ai sensi del combinato disposto degli artt. 371,
terzo comma, e 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;
che, conseguentemente, il ricorso incidentale è
inammissibile tutte le volte in cui si limiti, come nella
specie, ad un mero rinvio all’esposizione del fatto
contenuta nel ricorso principale, potendo il requisito
imposto dal citato art. 366 reputarsi sussistente solo
quando, nel contesto dell’atto di impugnazione, si
rinvengano gli elementi indispensabili per una precisa
cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia,
dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte
dalle parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti
(Cass. n. 76 del 2010);
che il primo motivo del ricorso principale merita
accoglimento;

5

dell’equo indennizzo spettante alla parte istante;

che, avendo la Corte d’appello ritenuto la domanda
proponibile per effetto della presentazione della istanza
di fissazione d’udienza – accertamento, questo, che non
può essere più posto in discussione, in considerazione

incidentale, che detta valutazione censurava -, risulta
erronea la statuizione concernente la limitazione della
durata del giudizio presupposto, ritenuta scrutinabile ai
fini della valutazione della sua ragionevole durata solo a
far data dalla presentazione della istanza di fissazione,
atteso che la durata del processo amministrativo deve
essere computata a partire dal momento della sua
instaurazione (Cass. n. 17543 del 2010, con riferimento a
fattispecie anteriore, come quella oggetto del presente
giudizio definito in appello con sentenza depositata il 6
maggio 2008, alla entrata in vigore del citato art. 54);
che, dunque, in applicazione dei principi sopra
richiamati, l’equa riparazione deve essere rideterminata e
commisurata in relazione all’intera durata del processo,
ovvero, a far data dal 16 luglio 1990;
che il secondo motivo è infondato;
che, invero, questa Corte ha già avuto modo di
chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in
linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo

6

della dichiarazione di inammissibilità del ricorso

(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore ad euro

anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto
di potersi discostare dagli ordinari criteri di
liquidazione dell’indennizzo, adottando quello di euro
500,00 per i primi tre anni di ritardo, e quello di euro
750,00 per i successivi, in considerazione della natura
del giudizio presupposto e della tardata presentazione
dell’istanza di fissazione d’udienza (Cass. n. 3271 del
2011);
che tale approdo consente di escludere che un
indennizzo di 500,00 euro per i primi tre anni di ritardo
e di 7500,00 euro per ciascun anno successivo, possa
essere di per sé considerato irragionevole e quindi lesivo

750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre

dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte
europea intende assicurare in relazione alla violazione
del termine di durata ragionevole del processo;
che anche il terzo motivo è infondato;

del risarcimento dovuto, mentre la durata della
ingiustificata protrazione del processo è un elemento
obiettivo che si presta a misurare e riparare un
pregiudizio patrimoniale tendenzialmente sempre presente
ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore, c.d.
bonus,

postula che nel caso concreto, a causa di

particolari circostanze specifiche, questo sia stato
maggiore;
che pertanto, sul punto, la critica alla decisione non
può essere affidata alla sola contraria postulazione che
il bonus spetti ratione materiae, ma deve essere corredata
di documentazione attestante la spettanza o delle prove
delle allegazioni addotte nel giudizio di merito (Cass. n.
22869 del 2009);
che relativamente alla seconda censura veicolata con
il terzo motivo di gravame, questa Corte ha chiarito che
l’obbligazione avente oggetto l’equa riparazione si
configura, non già come obbligazione

ex delicto, ma come

obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173

8

che, in tema di equa riparazione, nella determinazione

c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte
di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico;
che, pertanto, dal carattere indennitario di tale
obbligazione discende sia che gli interessi legali possono

riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti
della pronuncia retroagiscono alla data della domanda,
nonostante il carattere d’incertezza e illiquidità del
credito prima della pronuncia giudiziaria, sia,
all’opposto, che nessuna rivalutazione monetaria può
essere accordata (Cass. n. 18150 del 2011);
che per effetto dell’accoglimento del primo motivo
resta assorbito l’esame del quarto mezzo, con il quale il
decreto impugnato viene censurato in relazione alla
operata parziale compensazione delle spese;
che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che, invero, il giudizio amministrativo presupposto si
è svolto in due gradi e ha avuto una durata complessiva di
circa diciassette anni e dieci mesi, dalla quale deve
essere detratta quella ragionevole di cinque anni per i
due gradi di giudizio;
che, dunque, residua una durata irragionevole di
dodici anni e dieci mesi, in relazione alla quale può

9

decorrere, sempreché richiesti, dalla domanda di equa

essere riconosciuto, applicando il criterio seguito dalla
Corte d’appello, un indennizzo di euro 8.875,00;
che il Ministero dell’economia e delle finanze deve
quindi essere condannato al pagamento, in favore del

interessi legali dalla data della domanda al soddisfo;
che il Ministero deve essere altresì condannato al
pagamento delle spese dell’intero giudizio, liquidate come
da dispositivo, con distrazione in favore dell’Avvocato
Aldo Simoncini, dichiaratosi antistatario.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
ragione;

cassa

accoglie

il ricorso per quanto di

il decreto impugnato in relazione alle

censure accolte e, decidendo nel merito, condanna il
Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento, in
favore di Vincenzo Caci, della somma di euro 8.875,00,
oltre agli interessi legali dalla data della domanda al
saldo; condanna altresì il Ministero alla rifusione delle
spese dell’intero giudizio che liquida, per il giudizio di
merito, in euro 500,00 per compensi, oltre ad euro 50,00
per esborsi e agli accessori di legge, e, per il giudizio
di legittimità, in euro 600,00 per compensi, oltre a euro
100,00 per esborsi, agli accessori di legge e alle spese
generali. Dispone la distrazione delle spese come

ricorrente, della somma di euro 8.875,00, oltre agli

liquidate in favore dell’Avvocato Aldo Simoncini,
dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II
Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10

giugno 2014.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA