Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14837 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. I, 10/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 10/07/2020), n.14837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9236/2019 proposto da:

F.I., elettivamente domiciliato in Fermo, in via Ognissanti

n. 13, presso lo studio dell’avv. Antonella Natale, che lo

rappresenta e difende, come da delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 1640/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 7/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- F.I., proveniente dalla terra della Nigeria meridionale, ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Ancona avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria) e pure di diniego del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con ordinanza emessa in data 18 giugno 2017, il Tribunale ha rigettato il ricorso.

2.- Il richiedente ha presentato ricorso avanti alla Corte di Appello di Ancona. Che lo ha respinto con sentenza depositata in data 7 agosto 2018.

Ha in particolare ritenuto la Corte territoriale che il “racconto” effettuato dal richiedente era “del tutto generico e stereotipato”; e che, comunque, i contenuti del racconto medesimo escludevano da sè soli la sussistenza dei presupposti del riconoscimento del diritto di rifugio.

In relazione al tema della protezione sussidiaria, la sentenza ha, poi, rilevato come non risulti che la confraternita degli Ogboni che, secondo il racconto del richiedente, intendeva costringerlo a entrare nella setta e a compiere, in via correlata, dei “sacrifici umani” (nelle persone della madre e delle sorelle) – abbia un “potere tale da impedire al ricorrente, a tutto concedere al suo racconto, di trovare protezione dello Stato, emergendo anzi il contrario dalla fonte richiamata dalla Commissione territoriale”; e che, poste le fonti richiamate sempre dalla Commissione, sia solita procedere al “reclutamento formale degli adepti” secondo il metodo esposto nel racconto del richiedente.

In punto di protezione umanitaria, la sentenza ha osservato che il richiedente non ha neppure allegato, “una specifica situazione soggettiva tale da giustificare una simile concessione”.

3.- Avverso questo provvedimento ha presentato ricorso F.I., proponendo due motivi di cassazione.

Il Ministero ha depositato atto di costituzione tardiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale: (i) col primo motivo, per “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”; (ii) col secondo motivo, per “violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”.

5.- Con il primo motivo, il ricorrente afferma in particolare che la “valutazione in ordine alla credibilità del richiedente, operata dalla Corte di Appello di Ancona è sindacabile in sede di legittimità, poichè, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata si riduce alle parole (racconto del tutto generico e stereotipato), senza alcuna precisazione degli elementi posti a base di detta valutazione e senza alcuna confutazione delle critiche che l’appellante ha sollevato”.

6.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso non risulta confrontarsi con la ratio decidendi disposta dalla Corte territoriale. Che, lungi dall’esaurirsi in una astratta valutazione di “generico stereotipo”, si è sviluppata anche con riferimento al merito dei contenuti del racconto esposto dal richiedente: in particolare, riscontrando la non verosimiglianza di una prassi di reclutamento a mezzo di “sacrifici umani” (cfr. sopra, terzo capoverso del n. 2).

7.- Nel secondo motivo, il ricorrente osserva che, “rientrando in patria, subirebbe la violazione dei propri diritti più direttamente collegati alla sua sfera personale, nonchè la compromissione, a causa delle condizioni del suo Paese, di beni primari, quali la salute e l’alimentazione”; e che il giudice del merito non ha tenuto conto del “carattere residuale” della misura della protezione umanitaria, che pure ha “presupposti non coincidenti con quelli riguardanti le misure di protezione maggiori”.

8.- Il motivo è inammissibile.

Come ha chiarito la giurisprudenza di questa Corte, l’allegazione di una situazione di vulnerabilità rilevante non può consistere nella mera indicazione che, nel paese di provenienza del richiedente, sussiste una “situazione di instabilità politica e sociale che esponga a situazioni di pericolo per l’incolumità personale” (cfr., in particolare, la pronuncia Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

9.- In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Non vi è luogo per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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