Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14836 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. III, 27/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 27/05/2021), n.14836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35821/2019 proposto da:

M.E., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCA CAMPOSTRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3900/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA,

depositata il 27/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – Con ricorso affidato a quattro motivi, M.E., cittadino del (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Venezia, resa pubblica il 27 settembre 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto del richiedente (aver lasciato il Paese di origine per timore di essere ucciso in quanto testimone di un litigio all’interno del proprio negozio tra esponenti dei partiti (OMISSIS) e (OMISSIS), in occasione del quale un membro di quest’ultimo partito aveva ucciso con un bastone un membro del partito (OMISSIS), i cui appartenenti avevano quindi intimato ad esso richiedente di testimoniare sull’accaduto, ciò che gli appartenenti del partito (OMISSIS) volevano impedire) non era credibile in quanto contraddittorio e generico; b) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 non potendosi ritenere, in base alle COI utilizzate (EASO dicembre 2017) che il (OMISSIS) fosse Paese “fuori controllo” e che il richiedente potesse essere bersaglio di violenza politica in ragione del racconto “privo di ogni elemento circostanziale”; c) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo sufficiente l’allegazione di aver acquisito un certo grado di integrazione in Italia, essendo escluso che vi fosse prova (“per quanto sopra si è detto”) della compromissione del nucleo fondamentale dei diritti umani in caso di rimpatrio.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 3, “violazione delle norme sulla competenza per materia” e dell’art. 25 Cost., per aver il Presidente della Corte di appello, in forza di progetti di applicazione infradistrettuale non approvati dalla Delib. CSM 23 ottobre 2019, nominato un relatore della causa non “specializzato”.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Con esso – oltre a prospettarsi questione processuale in via del tutto generica e priva di qualsivoglia riferimento puntuale agli atti del giudizio che sarebbe implicati (in palese violazione, dunque, dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6) – si evoca il “diritto tabellare” derivante da delibere del C.S.M. in relazione alla disciplina recata dal D.L. n. 13 del 2017 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017) – riguardante l’istituzione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea presso i tribunali ordinari del luogo nel quale hanno sede le Corti d’appello -, che non è affatto pertinente nel caso di specie, in quanto la causa è soggetta al regime processuale precedente a quello recato dal citato D.L. n. 13 del 2017.

2. – Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 116 c.p.c., comma 1, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per aver la Corte territoriale ritenuto non credibili le dichiarazioni di esso richiedente senza procedere alla necessaria procedimentalizzazione richiesta dalla legge e nonostante la coerenza intrinseca ed estrinseca del racconto.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della richiesta protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, in forza di un prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 6897/2020, cfr. anche Cass. n. 27503/2018 e Cass. n. 21142/2019), ossia di omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti (Cass., S.U., n. 8053/2014).

La Corte territoriale, nell’apprezzamento della credibilità del racconto del richiedente, si è attenuta al principio di procedimentalizzazione legale della decisione avendo operato la propria valutazione (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, prendendo in considerazione – con delibazione non già atomistica, ma complessiva – tutte le circostanze dedotte in giudizio, mentre le censure mosse con il ricorso (che non mettono in rilievo ulteriori e decisivi elementi di fatto la cui valutazione sarebbe stata pretermessa dal giudice di secondo grado, la cui motivazione, peraltro, non è attinta là dove sono messe in risalto le contraddizioni essenziali rilevate nel racconto) sono orientate piuttosto a criticare l’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, che, come detto, è quaestio facti, censurata (in modo inammissibile) alla luce del paradigma di cui al previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in guisa di vizio motivazionale e non di omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti.

3. – Con il terzo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del decreto (recte: sentenza) per motivazione apparente, avendo la Corte rigettato la domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) in assenza di qualsivoglia motivazione.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Con esso non è colta la ratio decidendi della sentenza impugnata, che verte sulla inattendibilità della storia personale narrata dal richiedente, ciò che preclude l’esame nel fondo di una denuncia concernente il mancato riconoscimento e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

4. – Con il quarto mezzo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo in relazione alla domanda di protezione umanitaria, non avendo la Corte territoriale considerato l’attività lavorativa di esso richiedente e “tutta la documentazione relativa alla condizione del paese di origine e di eventuale quanto denegato rimpatrio”.

4.1. – Il quarto motivo è fondato.

In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., n. 29459/2019). A tal riguardo, il giudice di merito, nel procedere alla tale comparazione, non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, ma dovrà coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda personale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità.

Là dove, poi, la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità.

A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass. n. 13897/2019; Cass. n. 20335/2020).

Nella specie, la Corte territoriale (cfr. pp. 14/15 della sentenza impugnata) ha del tutto trascurato di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale attuale del richiedente sul territorio italiano e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare – attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte (che non possono fondarsi sulla verifica effettuata unicamente ai fini della delibazione delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc. (Cass. n. 20335/2020, citata). La motivazione adottata dal giudice di appello si palesa, dunque, meramente apparente e tale, quindi, da non integrare il c.d. “minimo costituzionale” (Cass., S.U., n. 8053/2014).

4. – Va, dunque, accolto il quarto motivo di ricorso e dichiarati inammissibili i restanti motivi.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che dovrà applicare, nella delibazione del gravame, il principio innanzi enunciato, nonchè provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il quarto motivo di ricorso e dichiara inammissibili i restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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