Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1483 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. I, 21/01/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 21/01/2011), n.1483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21876/2009 proposto da:

D.M.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CHISIMAIO 42, presso l’avvocato FERRARA

ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRARA Silvio,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

10/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/11/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 28.09.2007, D.M.C. adiva la Corte di appello di Napoli chiedendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 28.03 – 10.09.2008, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, respingeva la domanda della D.M., condannandola al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 769,00, oltre competenze accessorie. La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

che la D.M. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo, da lei introdotto dinanzi al TAR Campania, con ricorso depositato il 28.01.1992, ed ancora pendente in primo grado;

che il danno non patrimoniale solitamente subito dalla parte per il perdurare dell’incertezza sull’assetto delle posizioni coinvolte nel dibattito processuale, era conseguenza normale ma non necessaria ed automatica della violazione del termine ragionevole di durata del processo;

che l’istante non aveva assunto iniziative sollecitatorie per il cospicuo lasso di tempo di quindici anni, sicchè doveva presumersi che fosse ben consapevole del probabile insuccesso della sua iniziativa giudiziaria, siccome in radice esclusa dall’univoco e consolidato orientamento giurisprudenziale, e, conseguentemente, escludere che, nonostante la durata del processo presupposto, avesse sofferto dello stato di disagio psicologico, integrante ineliminabile condizione di fondatezza della domanda.

Avverso questo decreto la D.M. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 5.10.2009, affidato a cinque motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso notificato il 7.11.2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la D.M. denunzia, con conclusiva formulazione di quesiti di diritto in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c. 1. “‘Violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Contestuale violazione e mancata applicazione della L. n. 848 del 1955 (art. 6 parag. 1, 13, 19 e 53 della Convenzione ratificata) e artt. 24 e 111 Cost.. Nullità del procedimento e del decreto ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

2. “Violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Contestuale violazione e mancata applicazione della L. n. 848 del 1955 (art. 6 parag. 1, 13, 19 e 53 della Convenzione ratificata) e artt. 24 e 111 Cost., nonchè L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 23 e R.D. 17 agosto 1907, artt. 51 e 53, nonchè della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

3. “Violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2. Contestuale violazione e mancata applicazione della L. n. 848 del 1955, art. 2 (art. 6 parag. 1, 13, 19 e 53 della Convenzione ratificata) e artt. 24 e 111 Cost., nonchè L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 23 e R.D. 17 agosto 1907, artt. 51 e 53, nonchè della L. L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

4. “Omessa o quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

5. “Violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ingiustizia manifesta. Travisamento interpretativo del fatto storico della domanda e di quello processuale” (l’amministrazione aveva chiesto la compensazione).

Con i primi quattro motivi di gravame, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, la ricorrente si duole che i giudici di merito abbiano escluso la sussistenza del suo diritto all’equa riparazione del danno non patrimoniale da lei subito.

Le censure meritano favorevole apprezzamento nei limiti delle ragioni che seguono; conseguentemente il quinto motivo rimane assorbito.

La Corte d’appello ha disatteso la domanda di equo indennizzo della D.M. non escludendo la durata irragionevole del processo da lei intrapreso dinanzi al giudice amministrativo, ma presumendo l’assenza di sofferenze psicologiche connesse al ritardo di definizione. A tale riguardo non ha negato il principio (ormai consolidato) secondo il quale tale specie di danno è da ritenersi conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicchè – pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – il giudice, una volta accertata e determinata la violazione relativa alla durata ragionevole del processo, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (in questo senso Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339). Ha ritenuto, invece, che nel caso specifico detta presunzione di danno dovesse ritenersi superata, presumendo l’originaria consapevolezza da parte dell’istante dell’insuccesso della sua iniziativa giudiziaria, desunta dal suo prolungato contegno inerte. Qualora, come nella specie, nel processo affetto da durata irragionevole non sia stata adottata alcuna pronuncia conclusiva sfavorevole alla parte che agisca per conseguire l’indennizzo previsto dalla L. n. 89 del 2001, il diritto a tale beneficio non può essere escluso della mera prevedibilità della pronuncia negativa ma, sia pure in detta consapevole prospettiva, dall’eventuale abuso del processo, tramite anche l’adozione di una tattica dilatoria, volontariamente intesa a conseguire vantaggi dalla pendenza, evenienza questa non contemplata nel decreto impugnato (in tema, cfr. Cass. 200824269) nè altrimenti desumibile dal generico richiamo al contesto giurisprudenziale.

Accolta, dunque, la censura in questione ben può procedersi sulle esposte premesse, alla cassazione dell’impugnato decreto ed alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., Considerando che il processo amministrativo, secondo la tesi della ricorrente, era pendente da circa 14 anni e 9 mesi mentre, invece, anche in linea con i parametri cronologici sovranazionali, avrebbe dovuto essere definito nel tempo ragionevole di tre anni, il periodo d’irragionevole durata può determinarsi in circa 11 anni e 9 mesi Quanto alla misura dell’indennizzo, da rapportare al solo periodo di ritardo irragionevole (cfr. tra le altre, Cass. 200508568; 200608714;

200723844), considerati gli standards CEDU, recepite le ragioni che la Corte distrettuale ha posto a fondamento della sua pronuncia sfavorevole, segnatamente l’inerzia manifestata dall’istante, e conseguentemente individuato nella somma di Euro 750,00 ad anno per il primo triennio ed in Euro 1.000,00 ad anno per il periodo successivo, il parametro indennitario per la riparazione del danno non patrimoniale, devesi riconoscere all’istante l’indennizzo complessivo di Euro 10.998,00 oltre agli interessi legali con decorrenza dalla domanda (Cass. 200608712).

Quanto alla regolamentazione delle spese, a carico dell’Amministrazione soccombente va posto il pagamento delle spese sia del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, adottando la tariffa per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello, che del giudizio di cassazione, anch’esse liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 10.998,00, oltre agli interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 1.650,00, di cui Euro 1.000,00, per onorari ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, spese da distrarsi in favore dell’Avv.to Silvio Ferrara antistatario.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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