Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14829 del 14/06/2017

Cassazione civile, sez. VI, 14/06/2017, (ud. 19/05/2017, dep.14/06/2017),  n. 14829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5871/2016 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BUCCARI

3, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA RUGGIERO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

N.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 11,

presso lo studio dell’avvocato MARINA MARINO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE.

Fatto

RILEVATO

– che la parte ricorrente ha proposto ricorso, per due motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 7 gennaio 2016, la quale – per quanto ora rileva – a parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha revocato la dichiarazione di addebito della separazione al marito e l’assegno di mantenimento in via provvisoria disposto favore della moglie, stabilendo in Euro 1.200,00 mensili quello per i figli minori;

– che resiste l’intimato con controricorso;

– che è stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti;

– che la parte controricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

CONSIDERATO

– che il primo motivo – vertente sulla deduzione di violazione degli artt. 143 e 151 c.c., in relazione alla pronuncia di addebito – è manifestamente inammissibile, perchè, sotto l’egida del vizio di motivazione, mira ad ottenere una nuova valutazione sugli elementi di fatto del processo, in sede di legittimità non consentita;

– che, infatti, la corte del merito, facendo corretta applicazione del consolidato principio secondo cui, ai fini dell’addebito della separazione, occorre una comparazione dei comportamenti dei coniugi, al fine di risalire al nesso eziologico con la prodotta intollerabilità della convivenza coniugale (e multis, Cass., ord. 19 dicembre 2016, n. 26199; 10 settembre 2014, n. 18999; 11 agosto 2011, n. 17193; ed, ancor prima, Cass. n. 12383 del 2005; n. 13747 del 2003; n. 14162 del 2001; n. 12130 del 2001; n. 279 del 2000), e valutando tutte le risultanze probatorie del processo, ha concluso per l’inesistenza della prova di quell’imputabilità al marito, risultando, al contrario, una progressiva incompatibilità caratteriale ed emotiva tra le parti, essa stessa causa della intollerabilità della convivenza;

– che il secondo motivo, il quale verte sulla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per “omesso esame circa il reale reddito del marito o meglio di conti e provviste economiche”, nonchè sulla “confusa valutazione del reddito del marito ex art. 156 c.c.”, è manifestamente inammissibile;

– che, invero, sotto il primo profilo, è stato ormai ben chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale introduce nell’ordinamento un vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, esige, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053);

– che, inoltre, sotto il secondo profilo, sotto l’egida del vizio di violazione di legge, il motivo intende, invece, censurare l’apprezzamento di merito compiuto dalla sentenza impugnata;

– che la condanna alle spese segue la soccombenza;

– che, trattandosi di giudizio esente, non si provvede alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017

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