Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14824 del 30/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14824 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 3036-2008 proposto da:
CIRILLO

SALVATORE CRLSVT40C10I026L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 8, presso lo
studio dell’avvocato DE LUCA MICHELE, rappresentato e
difeso dall’avvocato APA GIUSEPPE;
– ricorrente contro

2014
1134

ALBANI

ROBERTO

LBNRRT44T18D122W,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VI Q. VISCONTI 20, presso lo
studio dell’avvocato PAGANELLI MAURIZIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCELLI

Data pubblicazione: 30/06/2014

ROSA PATRIZIA;
– controricorrente nonchè contro

ARCIDIOCESI CROTONE SANTA SEVERINA;
– intimati –

di CATANZARO, depositata il 27/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/04/2014 dal Consigliere Dott. EMILIO
MIGLIUCCI;
udito l’Avvocato PAGANELLI Maurizio, difensore del
resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

avverso la sentenza n. 905/2006 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.- Salvatore Cirillo conveniva in

giudizio davanti al

Pretore di Crotone Roberto Albani, in proprio e quale procuratore

ob

Emma Zuanic, e Tito Albani per sentire dichiarare di essere proprietario

Si costituivano i convenuti, deducendo di avere donato una parte
del fondo (per

estensione di HA 2.17.94) alla Arcidiocesi di

Crotone S.Severina,

che l’aveva sempre posseduta, mentre la

restante parte era di essi convenuti che l’avevano posseduta
fino al 1986; pertanto, chiedevano il rigetto della domanda e, in
via riconvenzionale, la condanna ala restituzione della
superficie di loro proprietà, oltre al risarcimento dei danni.
Interveniva l’Arcidiocesi di Crotone S.Severina,
chiedendo la declaratoria di usucapione del terreno de quo,
posseduto in virtù di donazione da parte dei convenuti, e la
condanna dell’attore al pagamento dei canoni relativi al
fondo de quo che essa gli aveva concesso in fitto.
Il tribunale di Crotone, con sentenza del 10 giugno
2001, accoglieva la domanda di usucapione proposta dall’attore,
escludendo che il contratto di affitto prodotto, intercorso fra la Curia
e l’attore, e le ricevute di pagamento dei canoni dal medesimo versati
all’interventrice si riferissero al fondo di cui è causa.
Con sentenza dep. il 27 dicembre 2006 la Corte di appello di
Catanzaro, in riforma della decisione impugnata dai convenuti, rigettava
la domanda proposta dall’attore.

per usucapione del fondo Santa Litania sito in S.Mauro Marchesato,

Per quel che ancora interessa nella presente sede, i Giudici
escludevano che :
il contratto di fitto prodotto in atti – che era del 1991 e nel
quale le persone degli affittuari pro quota erano tre soggetti avesse

le ricevute di fitto, risalenti ad annate precedenti al 1991,
potessero ad esso riferirsi, osservando che il fondo de quo era nella
esclusiva disponibilità del Cirillo da epoca anteriore al 1991.
Pertanto, la disponibilità del terreno in oggetto al quale
avrebbero dovuto collegarsi quei pagamenti, doveva ritenersi avvenuto a
titolo di detenzione qualificata, non essendo l’animus possidendi
peraltro neppure avvalorato dalle deposizioni escusse.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Salvatore
Cirillo sulla base di un unico motivo illustrato da memoria.
Resiste con controricorso Roberto Albani, in proprio.

moTrvI

DELLA DECISIONE

l. Preliminarmente vanno disattese le eccezioni sollevate dal resistente
in merito alla mancata sottoscrizione da parte del difensore della copia
notificata del ricorso e della consegna di essa in unica copia al
difensore dei resistenti
a) AI fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, qualora
l’originale dell’atto rechi la firma del difensore munito di procura
speciale e l’autenticazione, ad opera del medesimo,
della sottoscrizione della parte che la procura ha conferito, la mancanza
di tale firma e dell’autenticazione nella copia notificata non

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la incidenza determinante che il tribunale gli aveva attribuito;

determinano l’invalidità del ricorso,

purchè la copia stessa contenga

elementi, quali l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica
è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente,

idonei ad

evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato

b) secondo quanto statuito con la sentenza n.29290 del 2008 dalle Sezioni
Unite della Corte, la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita
presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una
sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace, in virtù
della generale applicazione del principio costituzionale della
ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che
non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art.
170 cod. proc. civ., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 primo
comma, cod. proc. civ., il procuratore costituito non è un mero
consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il destinatario,
analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della
sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione “ex” art. 285
cod. proc. civ., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di
fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di
riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni
relative allo svolgimento e all’esito del processo.
2.1.- L’unico motivo lamenta l’omessa valutazione

di elementi

decisivi:
– dal contratto di affitto rustico prodotto era risultato che lo stesso
era rinnovazione o ricognizione di altro in precedenza intercorso fra le
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speciale.

parti avente a oggetto un fondo diverso da quello di cui è causa di
guisa che le ricevute di pagamento del canone dovevano riferirsi al
primo;
– dalle deposizioni testimoniali era emerso che i terreni oggetto del

Rosario Cirillo, ai quali erano subentrati i figli Salvatore e Saverio
Cirillo, che figuravano firmatari del contratto suddetto insieme a
Elisabetta Poerio, vedova di Rosario Cirillo, mentre nessun canone era
stato pagato da moltissimi anni per il terreno di cui è causa;
il comportamento processuale della interventrice, che aveva fatto
acquiescenza alla sentenza del tribunale di Crotone del 15 giugno 2001,
confermava che doveva essere esclusa la qualità di detentore qualificato
del fondo di cui è causa dell’attore.
2.2.- Il motivo è infondato.
Preliminarmente deve ritenersi la rispondenza del motivo ai
requisiti previsti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. atteso che, essendo
in sostanza censurato il Vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.,
la censura si conclude con la sintesi delle ragioni dedotte con il
motivo e che riguardano l’omesso esame di documenti ritenuti decisivi;
il riferimento a Rosario Cirillo appare frutto di mero errore materiale,
a stregua di quanto esposto nel motivo.
Ciò premesso, la doglianza si risolve nella censura della
valutazione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte, dovendo
qui osservarsi quanto segue.
a) Per quanto riguarda il contratto del 1991 – che la Corte ha
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contratto del 1991 erano detenuti da moltissimi anni da Francesco e

esaminato, escludendo che le ricevute di pagamento del canone potessero
ad esso riferirsi – la denuncia si risolve nella censura circa
l’erronea interpretazione del contratto medesimo. Orbene,
del

contratto,

consistendo in un’operazione di

accertamento della volontà dei contraenti,

si risolve in un’indagine di

fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile
in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per
violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente
indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo
contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della
predetta violazione è giunta la decisione, chè altrimenti sarebbe stata
con certezza diversa la decisione. Nella specie, non è dedotta la
violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e

ss.

cod.

civ.: la censura si risolve nella formulazione da parte del ricorrente
di una soggettiva interpretazione del contratto de quo difforme da
quella compiuta dai Giudici.
b) la sentenza ha esaminato le deposizioni testimoniali,
escludendo – anche alla stregua di quanto ritenuto a proposito delle
ricevute di pagamento dei canoni e della non riferibilità al contratto
del 1991 – la non decisività delle circostanze riferite dai testi in
relazione all’animus possidendi.
Orbene, le critiche formulate dalle ricorrenti

non sono

idonee a

scalfire la correttezza e la congruità dell’Iter logico giuridico seguito
dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio
logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a
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l’interpretazione

sostenere – attraverso la disamina e la discussione delle prove raccolte
– l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai
giudici laddove, in contrasto con quanto sarebbe emerso dalle prove, era
stata esclusa l’esistenza di un possesso utile ad

usucapionem.

Al

360 n. 5 cod. proc. civ. deve consistere in un errore

intrinseco al

ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame
del

contenuto

del provvedimento impugnato e non può risolversi nella

denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali
compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il
ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art.
360 n. 5 citato, la ( dedotta ) erroneità della decisione non può
basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente
formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso
che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al
giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della
Cassazione. Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno
poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del
resistente costituito delle spese relative alla presente fase che liquida
in euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per
onorari di avvocato oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 aprile 2014
Il

Cons.

estensore

Il

Presidente

riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art.

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