Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14824 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. I, 10/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 10/07/2020), n.14824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9783/19 proposto da:

-) O.S.S., elettivamente domiciliato in Napoli, via Toledo

n. 106, difeso dall’avvocato Marco Esposito in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 7 settembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

RILEVATO

che:

O.S.S. (alias O.H.), cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il (OMISSIS) dopo avere partecipato a manifestazioni di protesta a favore del presidente, deposto con un colpo di stato, nel corso delle quali aveva incendiato alcune case;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento O.S.S. (alias O.H.) propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che la rigettò con ordinanza 18.7.2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, fu confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza 7.9.2018;

la Corte d’appello ritenne che il racconto del richiedente era “generico ed inverosimile”; che i fatti da lui narrati non evidenziavano alcun atto persecutorio, ma solo il generico timore di subirne; che del racconto fatto dal richiedente non esisteva il minimo indizio; che lo stesso richiedente aveva ammesso di non essere mai stato oggetto di persecuzione; che nella regione di provenienza del richiedente (come ammesso da lui stesso) non erano in atto conflitti armati; che la protezione umanitaria non potesse essere concessa a causa innanzitutto del difetto di allegazione di specifiche condizioni di vulnerabilità;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.S.S. (alias O.H.) con ricorso fondato su un motivo;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo il ricorrente lamenta, formalmente richiamando sia l’art. 360 c.p.c., n. 3, sia l’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14 nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

nella illustrazione del motivo si sostiene che:

-) la Corte d’appello avrebbe travisato i fatti, ritenendo non sussistente una situazione di vulnerabilità; al contrario, il ricorrente aveva chiaramente indicato che, se fosse rientrato in patria, avrebbe dovuto temere per la propria incolumità;

-) la Corte d’appello avrebbe “omesso qualsiasi motivazione” sulle condizioni dei detenuti nelle carceri del (OMISSIS) e sulla effettiva imparzialità del sistema giudiziario di quel paese;

-) la Corte d’appello avrebbe omesso qualsiasi valutazione sullo stato di integrazione raggiunto in Italia dall’odierno ricorrente;

-) la Corte d’appello avrebbe omesso qualsiasi valutazione sulla condizione di vulnerabilità del ricorrente;

tutte le censure appena riassunte sono manifestamente inammissibili; la Corte d’appello, infatti, con giudizio non sindacabile in questa sede ha ritenuto “generico ed inverosimile” il racconto del richiedente asilo (p. 6, primo capoverso, della sentenza impugnata); sicchè, esclusa l’attendibilità dei fatti narrati dal ricorrente, la Corte d’appello non aveva nessun obbligo di accertare quali fossero le condizioni dei detenuti in (OMISSIS) o l’efficienza del sistema giudiziario di quel Paese; questa Corte ha infatti già ripetutamente affermato che se l’inattendibilità soggettiva del richiedente è ostativa a qualsiasi approfondimento istruttorio d’ufficio, al fine della concessione del rifugio e della protezione sussidiaria (quanto meno con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 14, lett. (a) e (b) D.Lgs. cit.), a fortiori quella inattendibilità soggettiva renderà superflua la c.d. “cooperazione istruttoria” officiosa del giudice, al fine del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

a fortiori, pertanto, l’inattendibilità del richiedente osta a qualsiasi approfondimento istruttorio officioso in merito alla sussistenza dei fatti posti a fondamento della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari: sarebbe infatti contrario ad elementari canoni di logica deduttiva ritenere che l’inattendibilità del richiedente asilo, che è ostativa all’accertamento officioso con riferimento alla richiesta di protezione maggiore, divenga irrilevante quando si tratti di accordare la forma di protezione più tenue. Anche con riferimento al riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve pertanto affermarsi che, in assenza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, il giudice non dovrà procedere ad alcuna attività istruttoria officiosa, quando ritenga non credibile il racconto dell’istante (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 21128 del 7.8.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 16465 del 19.6.2019);

discorso analogo va fatto con riferimento alla censura con cui il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe accertato l’effettiva sussistenza della sua “condizione di vulnerabilità”;

tale censura, oltre che per i motivi già detti, è altresì inammissibile in quanto il ricorrente, in violazione dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, non indica in alcun modo quali fossero le particolari circostanze (ovviamente diverse da quelle poste a fondamento delle domande di protezione umanitaria e di rifugio) dedotte in primo grado a sostegno della domanda di protezione umanitaria;

varranno dunque in questo caso le motivazioni con cui già questa Corte ha dichiarato inammissibile l’identico ricorso, contenente i medesimi motivi trascritti ad litteram, proposto dal medesimo difensore dell’odierno ricorrente, con l’ordinanza Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 19056 del 16.7.2019;

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione; se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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