Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14823 del 30/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14823 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 2624-2008 proposto da:
MONTISARCHIO DOMENICO MNTDNC34C011423I, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo
studio dell’avvocato CASTAGNA SERGIO, rappresentato e
difeso dall’avvocato VERALDI FRANCESCO ANTONIO;
– ricorrente contro

2014
1133

MNTMNG38L501423E,

MARIANGELA

MONTISARCHIO

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BOLOGNA 55,
presso

lo

rappresentata

k

studio dell’avvocato
e

difesa

1,›CILE0 TERESA,

dall’avvocato

PALOPOLI

Data pubblicazione: 30/06/2014

GIAMPIERO;

controricorrente

avverso la sentenza n. 191/2007 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 27/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MIGLIUCCI;
udito l’Avvocato PALAPOLI Giampiero, difensore del
resistente che ha chiesto di riportarsi agli atti
depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per la manifesta infondatezza del ricorso ex art.385
cpc 4 ° c., con condanna aggravata alle spese.

udienza del 30/04/2014 dal Consigliere Dott. EMILIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.- Mariangela Montisarchio

denunciava

al

Castrovillari lo spoglio perpetrato ai suoi danni

Pretore di
da

Domenico

Montisarchio, il quale – in relazione ad fabbricato da lui

magazzino, dove era posto l’impianto centralizzato dì
riscaldamento, trattenendo le chiavi della porta d’accesso; aveva
anche divelto – le rudimentali porte in tavole di legno, con cui
essa istante aveva chiuso l’accesso a due appartamenti di sua
proprietà, posti al penultimo ed ultimo piano del fabbricato
in questione; pertanto, chiedeva l’emissione del provvedimento di
reintegra.
Si costituiva il convenuto, chiedendo il rigetto della
domanda.
Con sentenza del 3 dicembre 2001 il tribunale di Castrovillari
rigettava la domanda, ordinando al convenuto la consegna della chiave
della porta realizzata unitamente alla parete divisoria.
Con sentenza dep. il 27 febbraio 2007 la Corte di appello di
Catanzaro, in riforma della decisione impugnata dall’attrice, accoglieva
la domanda proposta da quest’ultima. Secondo i Giudici:
– era da considerarsi ammissibile la produzione dei documenti
depositati in grado di appello ovvero delle domande di condono edilizio
relative agli appartamenti in oggetto, trovando applicazione l’art. 345
cod. proc. civ. nel testo anteriore alla modifica di cui alla novella
introdotta con la legge n. 353 del 1990;
1

costruito – aveva eretto una parete tra il vano scala ed un suo

-

da tali domande era risultato che le stesse erano state

presentate dal convenuto, nella qualità di “incaricato”;

ed invero, il medesimo, con atto del 5-10-1977, era stato

nominato procuratore generale dell’appellante;

di fatto qualificabile come di possesso sia pure mediato ex art. 1140
secondo comma cod. civ.
la chiusura da parte di Domenico Montisarchio dei due
appartamenti a mezzo installazione di due portoncini integrava uno
spoglio ex art. 1168 cod. civ.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Domenico
Montisarchio sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso l’intimata, depositando memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevata l’ammissibilità del ricorso il quale è
conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 bis cod. proc. civ.,
essendo chiaramente individuate le questioni risolutive della
controversia.
1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione
dell’art.345 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che aveva
ritenuto ammissibile la documentazione prodotta in appello, quando al
presente giudizio trovava applicazione il testo novellato dalla legge n.
353 del 1990 atteso che l’appello era stato notificato 1’11-3.2002.
1.2. – Il motivo va disatteso.
Al giudizi iniziati in primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995
2

– pertanto, doveva configurarsi in capo all’attrice una situazione

trova applicazione, quanto al giudizio di appello, prescindere dall’epoca
in cui questo si svolge, l’art. 345 cod. proc. civ. nella formulazione
anteriore alle modifiche di cui alla legge n. 353 del 1990 : nella
specie, il presente giudizio è stato instaurato con ricorso del 1992.

invocato dall’attrice in base alle domande di condono edilizio e alla
procura generale conferitagli dall’attrice, la sentenza impugnata aveva
violato i principi dettati dagli artt. 1140, 1141 e 1142 cod. civ.: nel
dare rilievo al possesso mediato esercitato attraverso il fratello, non
aveva valutato adeguatamente l’animus possidendi che in tal caso deve
essere verificato di volta in volta, atteso che la presunzione di
possesso opera a favore di chi si trova in rapporto diretto e non
mediato con la cosa.
Nella specie, secondo quanto emerso dalla istruttoria, l’attrice
non aveva avuto alcuna relazione diretta con il bene nè prima della
revoca della procura generale né dopo e fino al momento del spoglio, non
essendo stata mai accertata la chiusura dei due appartamenti al terzo e
al quarto piano con la collocazione da parte di essa attrice delle porte
in tavole.
Non era stata fornita prova del possesso intermedio fra la data di
presentazione delle istanze di condono e quella del denunciato spoglio.
3.- Il terzo motivo denuncia il vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia per
avere la Corte accolta la domanda di spoglio, nonostante che – a tale
momento – l’attrice non avesse alcun possesso né diretto né mediato.
3

2.- Il secondo motivo lamenta che, nel ritenere provato il possesso

4.- Il secondo e il terzo motivo – che, per la stretta connessione,
possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
La sentenza ha fatto corretta applicazione dell’art. 1140 secondo
comma cod. civ., avendo accertato che la attrice aveva acquistato il

compiuta dal fratello che, in virtù della procura generale conferitagli
nel 1977, ne aveva la detenzione avendone appreso la materiale
disponibilità nell’interesse e per conto della sorella.
La posizione del convenuto di detentore nell’interesse dell’attrice
aveva trovato conferma nelle istanze di condono edilizio presentate nel
1986 quale incaricato ovvero per conto dell’attrice in attuazione dunque
dei poteri gestori conferitigli con la procura : la presentazione di
tali domande nella spiegata qualità costituiva riconoscimento del potere
esercitato dall’attrice sui beni immobili
L'”animus possidendí”

de quibus quale possessore .

dell’attrice era comprovato dal mandato

conferito al fratello con la procura generale, atteso che esso consiste
unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante
l’attività corrispondente, all’esercizio della proprietà o altro diritto
reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o
della conoscenza del diritto altrui.
Appare fuori luogo il riferimento all’art. 1141 cod. civ., il
quale sancisce che la relazione di fatto intrattenuta con la cosa si
presume a titolo di possesso e non di detenzione. Ma nella specie, la
qualità di possessore dell’attrice era in concreto accertata in forza
degli acquisti compiuti dal convenuto in attuazione della procura del
4

possesso (mediato) degli appartamenti attraverso l’attività gestoria

1977 e non era conseguente alla presunzione di possesso sancita dall’art.
1141 cod. civ.
Una volta acquistato (nella specie con la procura generale del
1977 e confermato dalle istanze di condono del 1986), il possesso si
solo animo

fino a quando il possessore non perda la

disponibilità della cosa ovvero la possibilità di ripristinare in ogni
tempo il potere di fatto sulla cosa. Tale possibilità deve essere
esclusa finchè non sia intervenuto un atto o un fatto in base al quale
sia impedita tale facoltà; non assumendo alcun rilievo neppure la revoca
della procura. Ne consegue che l’attrice era nel possesso dei beni fino
al momento dello spoglio. Il richiamo ai principi sul possesso
intermedio appare del tutto inconferente. Il ricorso va rigettato. Le
spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato
soccombente: peraltro, non essendo stata ritenuta la manifesta
infondatezza del ricorso ( che è stato rigettato) ovvero la colpa grave,
va respinta la richiesta formulata dal P.G. ai sensi dell’art. 385
quarto comma cod. proc. civ.

(ratione temporis applicabile)
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente
pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente
fase che liquida in euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro
4.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali e accessori di
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 aprile 2014
Il Cons. estensore

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